«All’inizio le prove sulle cosce di pollo ora sono un artigiano del tatuaggio»

Mauro “Raion” Tampieri tra gli ospiti della mostra-esibizione del 17 aprile al Bonobolabo: stili, linguaggi, codici grafici… 

Da bambino faceva disegnini con i pennarelli sulle braccia dei Big Jim. Già da lì si poteva intuire il suo futuro: il ravennate Mauro Tampieri, 39 anni, è un tatuatore professionista da circa una quindicina d’anni. Due mesi fa ha aperto lo studio Raion Tattoo a Ravenna, in via Ruffilli, dopo aver lavorato a Rimini per dieci anni. Sarà tra i protagonisti di Ago Tattoo Art Exhibition oggi, domenica 17 aprile: dalle 12 alle 20 l’appuntamento è allo spazio Bonobolabo di via Centofanti, a Ravenna, con una mostra-performance (ingresso libero). L’esposizione presenta al pubblico il linguaggio visivo del tatuaggio, i suoi caratteristici codici grafici, gli stili e le iconografie di maggiore impatto. Saranno presenti: Piero Tat-twin (Phobos Tattoo Gallery), Lady Sara Tattoo (salottino rock), Marlen McKey (Beto Beto Tattoos), Mauro Tampieri (Raion Tattoo), Gavo Safarà (salottino rock), Lele & Rospo (Shanga Tattoo), Betties Kler Tattoo Parlour e Jam Ink Tattoo Family.

Mauro, dopo Big Jim chi è stata la prima cavia?
«Mi sono allenato molto sulle cosce di pollo, per prendere dimestichezza con gli attrezzi. Poi me ne sono fatto uno sull’interno della caviglia sinistra. È stato il primo tatuaggio che ho fatto su una persona. Ho scelto quel punto perché tenendo la gamba appoggiata sull’altra coscia era comodo per lavorare. A distanza di tanti anni devo dire che è ancora ben definito, forse la mano era già buona allora…».

Adesso quanti sono diventati i tatuaggi?
«Si fa prima a dire che ho ancora degli spazi liberi sulle gambe. Non ho nulla in faccia per scelta perché penso che non mi starebbero bene. Il primo l’ho fatto a 18 anni, il secondo due settimane dopo. Oggi non sono contabili».

L’ultimo a quando risale?
«Mi sto facendo fare tutta la schiena da un tatuatore svedese, Johan Svahn. È un lavoro lungo ancora in corso. Di solito vado in Svezia un paio di giorni e faccio sedute da sei ore al giorno. L’ultima volta è stato a novembre».

Sedute da sei ore. Non fa male?
«Fanno tutti e sempre male, deve esserci il dolore. È una pratica, ti vivi quel momento che devi portare a termine ».

E l’idea che sia qualcosa di indelebile non fa paura guardando al futuro?
«Io li faccio apposta perché non vanno via. Sarebbe stupido preoccuparsi di come staranno invecchiando, tanto si invecchia tutti e non si è un gran bel vedere in ogni caso».

Come si diventa tatuatori?
«Per quanto mi riguarda a un certo punto ho deciso che dovevo provarci. La passione per i tatuaggi l’avevo sempre avuta ma facevo altri lavori per mantenermi e mi sentivo frustrato. Ho iniziato a frequentare qualche studio prima come cliente e poi come apprendista e un po’ alla volta ho imparato».

Oggi il settore come è regolato?
«È un’attività artigianale con esigenze specifiche perché maneggiamo taglienti. Il requisito necessario è un corso di abilitazione gestito dalle Regioni con delle differenze enormi. Ad esempio in Veneto è di due settimane e costa 1.500 euro, in Emilia-Romagna è di due giorni e costa 50 euro ma sono entrambi validi. Poi siccome il business tira, tanti privati fanno corsi a pagamento che danno un attestato e mettono sul mercato gente che si sente autorizzata ad aprire uno studio».

Tra le righe si sente un po’ di nostalgia per i tempi passati…
«Io cerco di fregarmene ma ammetto che il lato romantico mi manca un po’. Il tatuaggio non è per tutti: lo dico con i miei clienti o con chi vorrebbe diventarlo. Non te lo devi fare per far parte della massa con il bollino. Una volta arrivavi a tatuarti braccia e collo perché magari eri già pieno da altre parti e facendolo era un modo per dire “Me ne frego, sono così e non mi nascondo”. Oggi vedi dei ragazzini di diciotto anni che ancora non sanno cosa faranno nella vita, si sparano un pezzo sul collo perché è di moda poi tolgono la maglietta e sono vuoti».

Invece che significato aveva il suo primo tatuaggio a 18 anni?
«In Italia, a Ravenna, a quel tempo era la realizzazione di un sogno da alternativo. Suonavo in una rock band, mi sentivo alternativo e ti distinguevi dai fighetti che andavano a fare le vasche e mai si sarebbero tatuati. Oggi invece…».

Quando entra un cliente in studio, chi decide davvero sul lavoro finale?
«Ci si confronta, però di solito cerco di indirizzare la persona verso quello che mi sembra più adatto. È capitato anche che mi sia rifiutato di fare quello che mi veniva chiesto perché non era fattibile e non era armonico con le linee del corpo».

Richieste assurde?
«Quello che voleva un serpente arrotolato attorno al pene…».

Cosa fa la differenza tra un tatuatore e l’altro?
«Siamo artigiani, la differenza sta nelle nostre mani. Ognuno si ispira a uno dei principali stili e cerca di metterci il suo tocco. Poi c’è la professionalità nel porti con le persone. La mia specializzazione ad esempio è lo stile giapponese ma mi piace fare tutto nel limite delle mie capacità».

Come viene dato un valore al lavoro del tatuatore?
«Di solito se i lavori sono grandi si fanno in più sedute quindi si tratta di dare un prezzo alle ore di lavoro ma anche alla posizione del tatuaggio. Ovviamente è un lavoro artigiano quindi ognuno ha il suo prezzo».

Ci sono ancora pregiudizi sul tatuato?
«Certo. Non vedrai mai un bancario con le braccia tatuate anche se pensandoci la sua professionalità non ha nulla a che fare con i tatuaggi. Però un po’ la mentalità sta cambiando. I tatuaggi in giro si vedono più spesso e la gente ci si abitua».

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