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    Categoria: società

Darsena, moschea, piazza Kennedy Matteucci racconta i suoi dieci anni

Il sindaco uscente: «L’errore? Mi do l’insufficienza nel campo delle infrastrutture. Il porto? Doveva essere Ap a scavare…»

Alle piccole comodità, come uscire di casa in tuta per due passi di domenica, non ha mai rinunciato. Perché dice che dopo dieci anni da sindaco è rimasto la persona semplice che è sempre stato: «E poi senza cravatta c’era qualcuno che non mi riconosceva». Le elezioni amministrative di giugno segneranno la fine dell’esperienza di Fabrizio Matteucci alla guida della città. Lo abbiamo ospitato nella nostra redazione per una chiacchierata tra bilanci di quanto fatto e desideri dopo dieci anni. Partendo da una sua constatazione: «Sono molto contento di aver fatto il sindaco della mia città».

Sindaco, cominciamo con l’album dei ricordi. Il momento più bello?
«La nascita della Raviplast (la cooperativa fondata da una parte degli stessi ex lavoratori della Pansac, ndr): nel campo occu- pazionale abbiamo avuto tanti momenti brutti per via della crisi generale, basta citare la vicenda drammatica della Vinyls, quindi quello fu un momento che mi ha dato soddisfazione».
E il più brutto?
«Tutti quelli in cui moriva un bambino in un incidente stradale, perché ti chiedi cosa puoi fare per evitarlo. Il prima fu Andrea Di Caprio investito a Punta Marina a luglio del 2006 quando aveva otto anni. Anche da lì è nato il mio impegno contro lo sballo».
Che ha avuto l’apice con il famoso secchiello versato nel tombino. Rifarebbe quella campagna?
«Sì. L’unica vera cosa che ho cambiato è stato spezzare i tre giorni di fila venerdì-sabato-domenica nelle feste in spiaggia. In ogni caso non ho dubbi: non metto quella battaglia tra gli errori fatti. Forse c’è qualche smemorato, ma vorrei ricordare che a quei tempi avevamo una incidentalità molto elevata».
Ha fatto degli errori in dieci anni?
«In totale ho firmato oltre 50mila atti sensibili, che in buona sostanza corrispondono a 50mila decisioni. Nel complesso mi permetto di darmi la sufficienza. Ma il campo dove invece non posso darmela è nelle infrastrutture. In dieci anni non sono riuscito a fare qualcosa per i collegamenti stradali e ferroviari di Ravenna, non sono riuscito a far valere le esigenze della città nell’interlocuzione con le istituzioni. Potrei giustificarmi dicendo che non dipendeva solo da me ma non lo faccio e dico che questo è il punto che mi lascia insoddisfatto. Spero che il mio successore faccia meglio».
C’è stato invece un errore più specifico nelle decisioni prese?
«La prima versione del regolamento per gli artisti di strada. Ci vuole proporzionalità e infatti poi è stato corretto e alla prima infrazione deve corrispondere un avviso e non una multa, così come succede oggi».
Tra gli errori di cui ha responsabilità non va elencato il mancato escavo del porto canale?
«In quella partita ho sbagliato a delegare tutto all’Autorità portuale che alla prova dei fatti non ha concluso niente sugli escavi. L’errore è stato dare una delega in bianco all’Ap: spettano a quell’ente le opere, ma sarei falso se dicessi che il sindaco non ha potere di esercitare la sua influenza e io non l’ho fatto».
Si è avuta la sensazione che con l’ex presidente Galliano Di Marco i rapporti siano improvvisamente virati da idilliaci a ostili. Cosa è successo?
«A un certo punto si è interrotto il rapporto di fiducia».
Quindi tutte le critiche attorno al ruolo di Sapir e ai suoi conflitti di interessi non hanno avuto peso?
«Come azionista della Sapir attraverso Ravenna Holding il Comune può dare gli indirizzi ma poi c’è l’autonomia degli amministratori. Non è un paradosso che Sapir abbia fatto ricorso al Tar contro le decisioni di Ap perché si è mossa secondo le indicazioni dei suoi legali. Ora credo che per Sapir sia arrivato davvero il momento di dare atto a quello di cui si
parla da 35 anni: la separazione tra parte patrimoniale e attività terminalistica».
Il porto arriva fino alla Darsena di città. Si può dire che rimane il grande rimpianto di questi dieci anni?
«Intanto non ha senso fare paragoni con altre darsene europee come sento fare da qualcuno perché se pensiamo a Valencia o Barcellona la nostra ha tre differenze importanti: è più grande, è tutta di proprietà privata e lo Stato non ha soldi da investirci. Però credo che la darsena rimanga una potenzialità intatta e ora bisognerà inventarsi qualcosa per incoraggiare l’iniziativa privata, mancata anche perchè sono cambiate le condizioni di mercato».
Sarà anche dei privati ma se nell’unico immobile pubblico del Comune ci vanno i vigili urbani…
«È una soluzione temporanea. Per fare altre cose servono risorse che non c’erano».
Il bando per lo scavalco della stazione è atteso dal 2007.
«Il nodo della stazione fa parte di una questione molto più che decennale con le Ferrovie dello Stato».
La tanto desiderata riqualificazione dovrà passare anche dalla chiusura dell’ultima attività industriale che è il bitumificio del gruppo Cmc. Un Comune può fare qualcosa per intervenire volendo dare una diversa connotazione a un quartiere?
«La dislocazione della Sic si è bloccata per ragioni note che sono legate a indagini della procura sui terreni di Porto Fuori. Credo si troverà una soluzione. Noi l’avevamo trovata ma ci siamo fermati (ormai quasi due anni fa, ndr) per rispetto di altri poteri».
Ha detto che sono mancate le risorse per più di un intervento. Proprio ora che i suoi dieci anni si chiudono arriva un allentamento dei vincoli del patto di stabilità. Fa rabbia?
«No, sono felice per la città. Abbiamo vissuto dieci anni di tagli ininterrotti, da Prodi nel 2006 a Renzi. Nel 2005 Ravenna poteva investire 70 milioni all’anno, l’anno scorso un decimo. Chiaro che così si fanno le nozze con i fichi secchi. Sono stato il sindaco degli anni della crisi e ho cercato di salvare alcuni aspetti della vita cittadina: nel 2011 in campagna elettorale dissi che ci saremmo tenuti parecchie buche nelle strade ma anche la qualità dei servizi a cui eravamo abituati. Credo che questo sia avvenuto».
Adesso però le buche si stanno riparando anche grazie alla vendita di azioni Hera. Vi accusano di fare campagna elettorale con i lavori pubblici…
«Abbiamo venduto le azioni nel momento giusto per avere una plusvalenza. E non è vero che si riparano le strade per la campagna elettorale. Ad esempio confermo che piazza Kennedy si aprirà in giugno ma a prescindere dalla data non andrei a inaugurarla».
Sarà quello il segno lasciato dal decennio Matteucci sul centro storico della città?
«La pedonalizzazione era presente nel mandato di almeno quattro sindaci, siamo riusciti a portarla a termine».
I resti archeologici che fine faranno? Si era impegnato perché una parte restasse visibile…
«La mia opinione è che la parte più pregiata debba rimanere scoperta. Capisco la valutazione della Soprintendenza che dice non si tratta di resti di pregio, ma credo anche che ci siano ragioni di abbellimento che competono all’amministrazione e possano andare al di là del valore architettonico-storico. Lasciare una parte aperta credo sia bello e spero si faccia».
Magari a disposizione dei futuri turisti. I numeri di questi dieci anni sono in chiaroscuro…
«I dati non dicono niente. Non siamo riusciti a crescere ma abbiamo tenuto. Il problema è duplice: i collegamenti e la capacità di vendere il prodotto. Mi auguro che il mio successore faccia meglio e se sarà così non avrò il complesso per non averlo fatto io. Il futuro di Ravenna è più importante di me e anche di chiunque verrà dopo di me. Ho difetti ma tra questi non c’è l’invidia».
Per il turismo, anche quello culturale che è il principale a Ravenna, non ha inciso il titolo di Capitale italiana della cultura che è tra i lasciti della corsa al 2019. Cos’altro resta?
«La vita culturale di Ravenna si può paragonare a quella delle grandi capitali europee. È un campo in cui si può sempre fare meglio ma in cui Ravenna è un’eccellenza assoluta. Secondo me la cosa più importante che ci lascia il percorso di Ravenna 2019 sono le forze nuove fatte emergere e messe in rete. I progetti richiedono risorse e tempi più lunghi ma abbiamo un deposito di idee che non morirà. Deve essere chiaro che le sfide non si fanno solo se sei sicuro di arrivare primo».
C’è una promessa che ha fatto ai ravennati in diretta tv sulla Rai e non ha mantenuto…
«La mini Imu. Valeva 350mila euro e dissi che i ravennati non l’avrebbero pagata in nessuno modo, per una questione di principio nei rapporti col fisco. Nel momento in cui espressi la mia intenzione era prevista una penalizzazione per il mancato pagamento. Poi il Governo ha messo norme per cui il ragioniere capo non avrebbe firmato il bilancio comunale se non avessi fatto pagare la mini Imu. Io però vorrei ricordare che quello stesso anno Ravenna è stato l’unico comune ad applicare la Tia sui rifiuti che ha fatto risparmiare 1,8 milioni di euro alle nostre imprese. Di questo nessuno ne parla…».
Rispetto a dieci anni fa Ravenna ha una moschea che non aveva. Matteucci è il sindaco della moschea?
«Poter pregare il proprio dio in un luogo dignito- so è un diritto ed è un successo dei valori che condividiamo. A chi continua a ribadire che è enorme faccio notare che è più piccola della parrocchia del mio quartiere e di quasi tutte le parrocchie di Ravenna. Per quanto riguarda la sicurezza qualunque investigatore vi dirà che è meglio una moschea ufficiale piuttosto che scantinati clandestini».
La campagna elettorale vissuta da sindaco uscente com’è?
«Il livello di scontro mi pare simile a cinque anni fa. Non ho trovato particolari asprezze».
Il vicepresidente di Confindustria settimane fa ha detto che non si vedono politici all’altezza in città da almeno un decennio.
«Non ho avuto modo di leggere le dichiarazioni di Beppe Rossi. Andrò a recuperarle».
Guardando gli schieramenti in campo in questa campagna elettorale si può dire che la sua coalizione di cinque anni fa abbia perso dei pezzi…
«Sono riflessi di cose nazionali (il riferimento è alla sinistra che ora si schiera contro il Pd, ndr). Mi porto dietro il 70 percento del 2006 che era drogato di almeno dieci punti per un voto arrivato un mese dopo la vittoria di Prodi con un centrodestra sbriciolato. Questi dieci anni valgono più dei dieci anni precedenti come peso nei cambiamenti della politica. Non c’era il Pd, ad esempio. C’era il bipolarismo e ora c’è un sistema tripolare. È come fare un paragone tra un calciatore di adesso a uno di quarant’anni fa».
Che consiglio lascia al suo successore?
«Voler bene a Ravenna e distinguere sempre bene fra la propria persona e la funzione che ricopre. Questo mi ha permesso di restare la persona semplice che ero. Ho cercato di evitare l’errore di chi si sente più intelligente solo perché lo hanno eletto sindaco».
Ha già prenotato le vacanze dal 20 giugno?
«Una settimana in Sicilia con mia moglie. È da parecchio che non ci prendiamo un periodo così lungo di ferie. Sia chiaro che non mi sto lamentando, mi sento un privilegiato. Ma credo di poter dire di non essermi risparmiato in questi anni».
E quando tornerà dalle vacanze cosa farà l’ex sindaco di Ravenna?
«Non ricoprirò più incarichi politici e istituzionali di primo piano, l’ho già detto e lo confermo. Al momento preferisco non parlare di cosa farò. Però posso dire che le nuove normative hanno spostato la data della mia pensione dal 2017 al 2024».
Come vorrebbe essere ricordato?
«Una persona onesta, generosa e innamorata di Ravenna, come mi ha definito Michele De Pascale sul vostro giornale».