«Violenza sulle donne, è un’emergenza» Ogni anno Linea Rosa aiuta 500 persone

La presidente dell’associazione ravennate racconta come è cambiato il supporto e quali sono le strade per la protezione

Consulenza, assistenza psicologica e legale verso un percorso di autonomia, la possibilità di essere accolte in case rifugio sicure per sfuggire alla violenza dei partner. Linea Rosa è dal 1991 il riferimento sul territorio ravennate (e oggi anche a Cervia e Russi) per le donne vittime di violenza a cui ogni anno si rivolgono circa 500 persone. Da gennaio 2016 sono state 210 le donne a rivolgersi al servizio (di queste 83 stanno continuando il percorso iniziato lo scorso anno).

Alessandra Bagnara, vicecomandante della Polizia Municipale di Ravenna, è la presidente dell’associazione. Le chiediamo come sia cambiata la loro attività. «Ci troviamo rispetto ad anni fa a gestire più situazioni di emergenza, sono molto aumentate le chiamate per esempio delle Forze dell’Ordine che intervengono durante un litigio o dagli operatori del Pronto Soccorso. Si erano rivolti a noi anche per la ragazza aggredita con l’acido pochi giorni fa, per chiederci di ospitarla, poi non è stato necessario perché l’aggressore è stato arrestato». In caso di necessità, la ragazza sfregiata sarebbe finita in una delle tre case rifugio a Ravenna dove possono essere accolti fino a tre nuclei ognuna per un massimo di circa nove persone (spesso le donne fuggono di casa insieme ai figli) oltre a un’altra casa a Cervia dove possono essere accolte quattro o cinque persone.

Le donne che si rivolgono a Linea Rosa sono di età e di estrazione sociale molto diversa tra loro, ci spiega Bagnara, ma spesso ad avere l’effettiva necessità della casa rifugio è chi qui non ha una rete familiare o amicale consolidata e ha anche un più basso livello di istruzione. Le più fragili, insomma. Quasi tutte, comunque, arrivano all’associazione dopo una lunga storia di violenze alle spalle.

Oggi il fatto che si parli spesso di femminicidio forse ha reso tanti più consapevoli del fatto che quasi sempre c’erano stati importanti segnali premonitori. «Sì, è vero, ci sono quasi sempre segnali non colti nella loro gravità e oggi anche le forze dell’ordine forse si rivolgono a noi con più frequenza proprio perché non vogliono correre il rischio di sottovalutare alcun episodio». Cionostante, non mancano le donne che abbandonano il percorso e tornano dai loro partner violenti. «Le situazioni – ci dice Bagnara – sono sempre complesse e delicate: le donne tornano dai compagni violenti perché sperano di ritrovare l’uomo di cui si erano innamorate e che le cose possano cambiare, o magari perché si è messa in mezzo la famiglia o per salvaguardare i figli, perché temono di non poter provvedere ai loro bisogni».

Anche per questo è importante pensare a percorsi di autonomia e indipendenza effettiva. «Ma con la crisi è sempre più difficile, prima nel giro di qualche mese riuscivamo sempre a trovare qualcosa, ma adesso è impossibile. Non solo, a volte si innesca una spirale per cui rivolgersi a noi e lasciare il marito implica la perdita del lavoro». Nel percorso di assistenza non c’è tuttavia il tentativo di dissuadere le donne a tornare dai partner: «Non servirebbe a niente – dice Bagnara – le donne sono libere di decidere, anche quelle che sono accolte nelle case rifugio, quello che noi diciamo loro è che la nostra porta è sempre aperta e che possono tornare quando vogliono».

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