A Ravenna l’indagine che racconta un’altra verità sul caso Abu Omar

Nel 2003 il sequestro dell’imam: il segreto di Stato cancellò le condanne agli 007 italiani tra cui il lughese Marco Mancini. Ma forse erano innocenti

Il fascicolo d’indagine alla procura di Ravenna è per minacce di morte, reato grave ma sulla carta nulla di rilevanza nazionale, però se il destinatario delle intimidazioni è un agente segreto con anni di carriera nei Servizi allora può succedere che le carte dell’inchiesta facciano venire a galla un torbido giallo internazionale che potrebbe riscrivere la storia della più nota extraordinary rendition nota alle cronache come il sequestro dell’imam di Milano del 2003. Lo scenario è quello dipinto dal quotidiano Il Tempo.

Breve necessaria sintesi dei fatti. Il 17 febbraio 2003 a Milano viene rapito l’imam della moschea di viale Jenner, Hassan Mustafa Osama Nasr detto Abu Omar, in un’operazione condotta dalla Cia con la collaborazione del Sismi. Questo almeno dicono le carte del processo milanese che ha visto imputati 26 agenti americani e alcuni italiani tra cui il lughese Marco Mancini (fratello del procuratore capo di Ravenna). La sentenza di primo grado (2009) delibera il non luogo a procedere per Mancini e Nicolò Pollari, ai vertici del Sismi, mentre condanna a pene variabili tra tre e otto anni gli altri alla sbarra. L’appello (2010) conferma: Mancini e Pollari non sono processabili per il segreto di Stato. La Cassazione (2012) annulla con rinvio nei confronti di Mancini e Pollari: per loro ci sarebbero elementi di prova da valutare non coperti da Segreto di Stato. Appello bis (2013): dieci anni di reclusione per Pollari e nove per Mancini ma la Corte costituzionale accoglie il ricorso del Governo sul Segreto di Stato e la Cassazione (2014) annulla senza rinvio la sentenza di condanna quindi assolve definitivamente Mancini, Pollari e altri 007 italiani poiché l’azione penale non poteva essere proseguita per l’esistenza del segreto di Stato.

Nell’indagine di Ravenna per le minacce recapitate a Mancini sono stati ascoltati diversi protagonisti di quei fatti e il quadro che emerge dalle pagine del quotidiano romano, in estrema sintesi, sarebbe quello di un gigantesco insabbiamento: una fonte americana avrebbe avvicinato i servizi italiani fornendo informazioni in grado di dimostrare la totale estraneità ai fatti degli agenti italiani tra cui anche lo stesso Mancini ma questa pista, emersa da un’indagine interna al Aise (l’ex Sismi), non sarebbe mai stata portata all’attenzione della magistratura milanese per evitare imbarazzi ai più alti livelli istituzionali. Le carte del procedimento ravennate su cui pende richiesta di archiviazione sono già state trasmesse al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica).

I due articoli pubblicati oggi e ieri, 22 e 21 luglio, con la firma di Gian Marco Chiocci fanno riferimento a un contesto di guerre intestine all’Aise tra fazioni rivali in un clima teso che alimenta timori e sospetti tra gli agenti. Si parla di una relazione presentata da Mancini ai vertici dei Servizi per raccontare i contatti con l’anonima fonte straniera. Le paure di scossoni alla tenuta del Governo nazionale se fosse uscita la notizia dell’estraneità dei servizi italiani.

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