«Una volta il bar era luogo di dibattito, oggi è una vetrina per turisti»

Com’è cambiata l’anima dei caffè e dei loro clienti a Ravenna? Le riflessioni di intellettuali cresciuti discutendo della vita al bancone

«Siamo stati sfrattati dalla nostra stessa città, il bar era un luogo di incontro tra persone diverse, di confronto tra generazioni, ora è un posto per i turisti dove noi ravennati ci sentiamo estranei». Nino Carnoli, esperto di comunicazione e frequentatore dei bar ravennati dal secondo dopoguerra si fa portavoce di una protesta silenziosa. Trovarsi al bar per parlare di politica, di calcio, del mondo e della vita. Giocare a carte e trascorrere qualche ora in compagnia. Fino a non tanti anni fa il bar era il centro della vita cittadina. L’antropologo Marc Augé aveva descritto i bar italiani come i luoghi del “rapporto superficiale su cui è basata la società di una piccola realtà, dove tutti conoscono tutti”.

Nel giro di qualche anno però la trasformazione dei luoghi di incontro è profondamente mutata. «Ravenna sta perdendo una parte della sua bellezza e tutti se ne fregano – tuona lo scrittore Dedi Baroncelli -. I bar diurni chiudono i battenti per lasciare posto a locali da spritz. Una volta il bar era un luogo di meditazione, di pensiero, di scrittura e soprattutto di conversazione. Il centro è attraversato continuamente da camion che riforniscono i negozi, anche se sarebbe vietato entrare in centro dopo le 10, ma tant’è… Oggi alla bellezza e allo stare insieme tranquillamente si preferisce il commercio, a costo di far entrare nei vocabolari parole orrende come ‘aperi-cena’. Ma se nessuno dice niente, si vede che va bene così».

«Ravenna era una città di porto, oggi si è rivolta al turismo – continua Carnoli – questo va benissimo, ma significa che i luoghi che prima erano abitati dai cittadini oggi sono pensati per il turista. Piazza del Popolo era negli anni ‘30 un luogo di commercio di terre e bestiame, in cui si incontravano uomini provenienti dalla campagna e dai borghi per fare la compravendita, che veniva siglata da una stretta di mano, poi era rimasto come luogo di incontro e di dibattito in cui, nei tavolini dei bar o a cavallo di una bicicletta, gli uomini discutevano di politica, oggi è una vetrina per il turista».

Nel giro di un mese ha chiuso l’Orient Espresso, che diventerà Fresco un tapas-bar da aperitivo, Ramiro, Belli e Cavour sono passati a una società di Treviso mentre Silvano è chiuso ormai da anni. «Il rischio è la standardizzazione dell’offerta – ammonisce Carnoli –. Il proprietario del bar non è solo un gestore, è la sua anima. Ramiro era un personaggio che tutti conoscevano, collezionava pipe, era un tipo originale, e dava una sua impronta al locale. Se tutti i bar finiscono nelle mani di grandi aziende il rischio è che si uniformino come offerta e creino ambienti freddi senza personalità».

Nuovi bar hanno però rivitalizzato aree dimenticate o poco sfruttate della città. Tra le novità degli ultimi anni c’è Palumbo, gestito da un imprenditore non ravennate – forse proprio grazie a una sua visione esterna alla città – ha dato nuova vita a piazza San Francesco. Il Fricandò che ha reso vivace l’area antistante a porta Adriana, che era uno spazio dimenticato della città, il Teodora, luogo di incontro degli universitari, il Mariani che unisce bar, ristoranti, cinema in una offerta molto variegata, il Caffè Letterario che è in un’ottima posizione per accogliere i turisti che arrivano dalla stazione, la Veneziana che ha cambiato lo storico locale di via Salara con un allestimento moderno e diversi altri.

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