Il consulente smart che deve portare il Comune nel digitale: «Addio burocrati»

A Michele Vianello un incarico da 20mila euro. Tra i riferimenti dell’esperto di social e web il sito della Casa Bianca e le capacità di Obama

È in missione per conto del digitale. Michele Vianello ha ricevuto dal Comune di Ravenna due incarichi di consulenza esterna (20mila euro la spesa totale per le casse pubbliche) per la digitalizzazione dell’attività pubblica, in particolare nei rapporti con il cittadino. Vianello è esperto di smart city, agenda digitale, social network e web marketing. Conosce bene la macchina pubblica: in passato è stato per dieci anni vicesindaco di Venezia, la città dove è nato e dove vive. Ha scritto diversi libri sul tema e si occupa di formazione anche nel settore privato.

Di cosa si sta occupando con il Comune?
«Il quadro di riferimento è la digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana. Non si tratta di comprare software o hardware, perché forse le Pa ne hanno anche troppi, ma bisogna lavorare per analizzare i processi di interazione con i cittadini, digitalizzarli il più possibile, renderli trasparenti, più efficienti. È un lavoro che faccio con molte amministrazioni da tempo».

Quanto erano smart gli uffici del governo locale?
«Non collaboro da molto, per ora posso dire di aver trovato punte di eccellenza in alcuni settori e altri dove invece bisogna proprio lavorare per rispettare gli obblighi legislativi. La legge mette il cittadino al centro di tutto garantendogli libero accesso agli atti pubblici. Questi sono i principi, poi c’è la pratica».

Qual è la città smart?
«Non è quella dove c’è il wifi nel lampione in strada ma quella dove le persone utilizzano le tecnologie come strumento».

Come uscirà la pubblica ammininistrazione ravennate dalla cura Vianello?
«Il biennio 2016-17 va considerato un periodo di transizione in cui mettere le basi per i prossimi dieci anni. Una delle cose da fare è sicuramente un nuovo portale internet perché quello attuale appartiene a un’altra generazione: il cittadino deve avere la possibilità di un accesso migliore a ciò che è pubblico e, per come la vedo io, deve trovare gli spazi per interagire con il Comune che non sono i social network anche se la presenza è indispensabile. Il nuovo sito deve essere un luogo dove il sindaco parla con i cittadini: nella mia idea ci devono essere i contatti per Whatsapp e per Skype».

C’è qualche esempio di riferimento?
«Whitehouse.gov».

Abbiamo già visto in altri settori che l’innovazione ha ucciso alcuni ruoli professionali e ne ha creati di nuovi. Succede anche nella pubblica amministrazione?
«Di sicuro i ruoli burocratici più tradizionali sono a rischio: dobbiamo digitalizzare il lavoro stupido, l’assistenza compilazione moduli. Questa parte deve essere interamente online. Faccio un paragone con Amazon: non vado a uno sportello per compilare l’ordine e allo stesso modo devono esserci sempre più procedure che riguardano la pubblica amministrazione in cui il cittadino può fare tutto dal suo computer. La digitalizzazione deve togliere burocrazia per esaltare la professionalità dei lavoratori. Avremo invece bisogno di nuove figure che assistano i cittadini nella fase di transizione: abbiamo bisogno di aumentare la cultura digitale, serve un front office che spieghi il metodo digitale all’utente».

Indispensabile la presenza sui social per la Pa? Il numero di follower o fan ha un significato?
«La prima lezione che cerco di trasmettere è che non mi frega niente di quei numeri; conta la qualità. Una pubblica amministrazione non è Madonna o Bruce Springsteen che hanno milioni di follower e solo pochi following, la Pa sui social deve prima di tutto ascoltare. In questo Obama è un maestro perché ha molta interazione con i cittadini, in prima persona o tramite il suo staff. Perché quando sbarchi sui social poi devi rispondere sempre, a patto ovviamente che le domande arrivino rispettando le regole che vanno fissate. La mia pagina Fb è casa mia, entri e ti pulisci le scarpe e parli educatamente. Altrimenti ti butto fuori. Regole di ingaggio chiare e fissate a priori».

Presenza necessaria in tutti i social?
«Twitter e Facebook di sicuro, ma ognuno utilizzato in un modo specifico. Twitter ad esempio si è ormai affermato come grande strumento per le attività di protezione civile, Facebook invece è quello del dialogo anche se ammetto di odiarlo con tutto me stesso perché è un luogo in cui succede anche di dare sfogo alle peggiori pulsioni umane. Anche Instagram secondo me può essere uno strumento importante per il pubblico».

La recente Notte d’Oro ha visto il primo hackaton a Ravenna (tra i correlati l’intervista ai vincitori). Che cosa portano queste iniziative?
«Per legge le pubbliche amministrazioni devono mettere i loro dati a disposizione, i cosiddetti open data. Allora l’intuizione è questa: mettiamo sul tavolo i dati del turismo per ottenere cose che servono all’economia della città. Il concetto di open data ha senso se ne viene un beneficio per l’economia della città. In questo caso sono state sviluppate delle app utili per il turismo. Un giorno si potrebbe andare a prendere quei progetti per realizzarli o svilupparli».

L’hackaton rientra tra le iniziative a sostegno di innovazione e startup come possono essere ad esempio gli spazi di coworking sostenuti dal Comune. È giusto che il pubblico sostenga l’iniziativa privata di questi settori?
«Giusto e corretto. Per legge il pubblico oggi deve sviluppare la cultura digitale, è una novità legislativa. Perché se non c’è cultura digitale poi il pubblico può mettere in piedi tutti gli strumenti migliori ma resteranno inutilizzati. Insomma è la solita legge del mercato: bisogna lavorare sia sull’offerta che sulla domanda. Il pubblico deve migliorare la sua offerta di servizi e al tempo stesso deve insegnare ai cittadini a fare domanda di quei servizi».

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