«I pali della luce in piazza Kennedy sarebbero più adatti a un’area di servizio»

La nuova illuminazione offre lo spunto agli architetti di Nuovostudio per una riflessione a 360 gradi: «Ha lavorato chi non aveva merito»

Il percorso di riqualificazione di piazza Kennedy, da parcheggio da 130 posti a zona pedonale, ha scatenato un acceso dibattito nell’opinione pubblica. Con l’intenzione di dare spazio alle voci più qualificate, pubblichiamo volentieri la corposa riflessione ricevuta da Emilio Rambelli e Gianluca Bonini, architetti titolari di Nuovostudio che ha curato la progettazione di importanti interventi non solo a Ravenna. Lo spunto per l’intervento che potete leggere sotto viene dalla recente installazione dell’illuminazione della piazza (la fila dei lampioni simili a quelli di via Cavour è visibile nella foto sopra) ma abbraccia tutto il lavoro a monte del cantiere aperto a giugno 2015 e ormai in fase di ultimazione.

Ci eravamo riproposti di non intervenire pubblicamente sul dibattuto tema di Piazza Kennedy, tralasciando ogni considerazione anche quando apparve il criticatissimo manufatto dei bagni pubblici. Tuttavia dopo aver visto la messa in opera dei pali che andranno a realizzare l’illuminazione pubblica della piazza la misura ci è apparsa colma e una riflessione è divenuta d’obbligo, per rispetto alla professione cui stiamo dedicando un’esistenza, per la città e per i suoi cittadini.

Il ragionamento parte inevitabilmente dal progetto nel suo complesso, purtroppo a nostro avviso non riuscito, e inevitabilmente si allarga a tutta la “cosa” pubblica, prendendo le mosse dal significato della parola “merito”. Tutto, infatti, semplicemente si racchiude in questa piccola parola, merito, il cui significato sembra aver perso importanza soprattutto per chi deve dare un indirizzo etico e programmatico alla nostra società, che è proprio il soggetto pubblico, e che ha per questo una doppia responsabilità.

Il progetto di Piazza Kennedy è stato il frutto di una serie di decisioni discutibili che ha portato lo stesso a diventare la somma indefinita di esigenze, che sono probabilmente mutate nel tempo, condotte da una compagine di soggetti che invece di fare sintesi hanno fatto purtroppo confusione, a causa soprattutto della mancanza, alla base, di un progettista o gruppo di progettisti all’altezza del compito.

Non vogliamo certo puntare il dito contro i progettisti dei lavori pubblici che hanno ideato i famigerati bagni pubblici, ed ora il lay-out dei pali dell’illuminazione (che è al limite accettabile solo per un’area di servizio autostradale e non certo per una piazza del centro storico di Ravenna): loro sono incolpevoli! La responsabilità è come sempre, e purtroppo spiace rimarcarlo, della politica (e in particolare dell’amministrazione precedente) che è arrivata, dopo un iter assai frastagliato, a demandare l’incarico progettuale di un ambito tanto delicato e complesso dal punto di vista artistico/architettonico a chi non ha né titoli né competenza.

Capiamoci bene, i titoli non sono solo quelli scolastici: quando si parla di titoli facciamo riferimento anche al “merito sul campo”, ai riconoscimenti avuti, alle pubblicazioni, ai premi ricevuti… per essere ancora più chiari, non volendo in questa sede difendere quella o questa categoria di progettisti, ricordiamo che uno dei più grandi “architetti” viventi, il giapponese Tadao Ando, non è laureato, cosi come non lo era il grande Carlo Scarpa, ma pur tuttavia hanno progettato capolavori dell’architettura che hanno segnato la storia. Altri esempi, diversi certo, ma interessante come percorso professionale sono quelli che ci forniscono Massimo Carmassi, uno dei più importanti architetti Italiani, ora docente e libero professionista, formatosi negli uffici pubblici del Comune di Pisa dal quale è partito guadagnandosi stima unanime ed incarichi prestigiosi a suon di premi, pubblicazioni e riconoscimenti ricevuti. E il giovane Mauro Crepaldi, a capo dell’ufficio tecnico di Copparo, che in pochi anni ha fatto opere pubblicate nelle principali riviste di architettura. Entrembi testimoniano come anche gli architetti impegnati nel pubblico, che la classe politica ha selezionato sulla base del merito e delle capacità, non dell’anzianità, possano portare la progettazione delle strutture tecniche comunali a livelli di eccellenza.

Un intervento di riqualificazione urbana non è un’opera di servizio (una strada, una fognatura, un marciapiede, una manutenzione ad un fabbricato scolastico), ambito nel quale gli uffici tecnici dei lavori pubblici sono sicuramente più che all’altezza. Ma è un’opera di valenza ed importanza architettonica e se vogliamo paesaggistica, dove per paesaggio intendiamo quello della città storica costruita. Le competenze solo tecniche non sono sufficienti, sono sicuramente parte del processo progettuale (controllo costi, verifiche tecnico amministrative, direzione lavori ecc.), ma sono a servizio dell’idea, della sintesi della concezione dello spazio che si vuole dare al contesto e questa parte, che sinteticamente proviamo a chiamare artistico/architettonica, deve essere competenza di chi ha merito.

Per opere di rilevanza urbana la via maestra rimane quella del concorso, con un bando chiaro e semplice in grado di esplicitare le richieste del committente, limitando magari gli ambiti dell’intervento progettuale esterno alle sole fasi preliminare e definitiva e mantenendo in capo agli uffici comunali dei lavori pubblici (che hanno grande esperienza in questo) la fase esecutiva, del controllo dei costi e anche la direzione lavori. Certo è, cosa di fondamentale importanza, che nei concorsi la giuria debba essere composta da membri di alto profilo, per merito e curricula, ma qui si torna a parlare di quanto detto prima.

In questo modo anche i giovani architetti potrebbero impegnarsi fornendo idee e contributi, potendo contare, poi, sul supporto tecnico, economico ed amministrativo degli uffici pubblici in caso di vittoria, in una sinergia pubblico/privato che valorizzerebbe entrambi i ruoli e le competenze, così come, per altro, è sempre stato nel passato. Solo in Romagna abbiamo almeno una decina, veri fuoriclasse, di giovani architetti che hanno vinto premi e riconoscimenti che purtroppo vista la stagnazione economica, che a Ravenna diventa paralisi del settore, sono costretti a sbarcare il lunario con il rischio che si arrendano e abbandonino la professione, con grave danno per loro stessi e, altrettando grave, per la nostra società.

La politica deve tornare ad avere il coraggio di fare delle scelte, di prendere decisioni, di portare dibattito costruttivo, di esprimere cioè un parlato, non balbettii che si fanno scudo degli uffici tecnici, come è stato fino ad ora, i quali hanno la sola colpa di aver accettato un compito fuori dalla loro competenza e portata culturale. La politica deve tornare ad affidare incarichi diretti, a chi ne ha il merito perche semplicemente è bravo, e ha dimostrato di esserlo.

Nel caso di piazza Kennedy occorre a nostro avviso che si affidi, per esempio, il compito di ridefinire l’illuminazione della piazza, a partire dalla valorizzazione scenografica dei bei palazzi che la incorniciano, per poi passare al tema del suo utilizzo e dei manufatti che dovranno esserci progettati a servizio, ad un concorso ad inviti (definito sulla base di un programma che dovrà essere la sintesi che la politica dovrà fare coinvolgendo tutti gli attori) rivolto a giovani e meritevoli architetti romagnoli.

Oggi Ravenna ha un nuovo e giovane sindaco, in cui nutriamo grandi aspettative, il quale per età e formazione è vicino alle nuove generazioni di professionisti, i quali siamo sicuri possano essere assolutamente adeguati al compito di darci un futuro e, di certo, una piazza migliore di quella che stiamo vedendo portarsi a compimento.

Gianluca Bonini
Emilio Rambelli
Nuovostudio

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