«Per reprimere il bullismo sarebbe utile una legge unitaria sul modello stalking» 

Il pm D’Aniello e il quadro giudiziario: «Minori di 14 anni non imputabili ma famiglie e scuole hanno responsabilità»

«Per la repressione dei fenomeni inclusi nella cornice del bullismo credo che sarebbe auspicabile un intervento del legislatore per una norma unitaria che riunisca le leggi che riguardano singoli reati, sul modello di quanto fatto per lo stalking». La pensa così Cristina D’Aniello, sostituto procuratore al tribunale di Ravenna con una breve esperienza anche alla procura dei minori. Sarà la prima nella scaletta dei relatori che interverranno a Classe a un incontro dedicato proprio a bullismo e cyberbullismo (il 6 febbraio alle 20 alla sala di via Classense 88). Un appuntamento nell’ambito della prevenzione, «magari per ridurre la necessità di interventi repressivi che sono quelli di competenza della magistratura: sono vicende che non dovrebbero arrivare a noi, quando accade significa che siamo di fronte a una frattura sociale, significa che qualcosa prima di noi non ha funzionato». Fenomeni sociali che possono avere risvolti giudiziari.

E questo sarà il fulcro del suo intervento: inquadrare le conseguenze penali a cui vanno incontro gli autori dei gesti. «Partiamo dicendo che il bullismo prevede una reiterazione dei comportamenti ma quando si ha più di 14 anni può bastare un singolo episodio per essere chiamati a rispondere di reati veri e propri. Anche se a volte siamo in bilico tra attività penalmente lecita e non, perché ad esempio l’ingiuria è stata depenalizzata». Bisogna avere chiaro che il compimento del 14esimo anno è uno spartiacque: «Prima non si è imputabili ma non è la terra di nessuno: vale sempre la legge civilistica e in tribunale può anche essere stabilita la responsabilità con un risarcimento a carico della scuola o dei genitori se un ragazzo fa del male a un altro. E sopra i 14 si è indagabili a tutti gli effetti dalla procura dei minori». Tenendo presente che le conseguenze per padri e madri possono essere anche di altra natura: «Soprattutto per i casi di cyberbullismo, i giovani usano computer o cellulari che sono intestati ai genitori. Non sono così rari i casi di perquisizioni perché dal computer di casa partivano foto di un certo tipo: il minorenne che invia la foto di un coetaneo in circostanze a sfondo sessuale commette il reato di pedopornografia».

La casistica delle indagini dice che i telefonini sono sempre più protagonisti: «Ormai i giovani nascono maneggiando questi strumenti ma non hanno la percezione delle conseguenze. È una battaglia dura far capire che quando pubblichi una foto su un social network o la invii a qualcuno non è più solo tua, non è più come guardarla con gli amici in una stanza. Ma non c’è da stupirsi che sia una battaglia persa vedendo quanti genitori a tavola passano il tempo a fare foto ai piatti invece di seguire i figli…». D’Aniello non risparmia critiche alle figure educative: «So che non piace quando lo dico ma devo essere sincera. Considero sempre poco credibile lo scenario in cui tutto succede all’improvviso. Mi risulta difficile immaginare che davvero un ragazzo si comporti in maniera opposta tra casa e scuola».

L’esperienza consente di abbozzare un profilo del bullo: «Di solito ragazzini a cui non mancano le disponibilità, poco seguiti da genitori, portatori di un linguaggio in cui si capisce che manca il valore dell’altro. Dalle famiglie disastrate è più facile che vengano reati di sopravvivenza ma i reati più brutti, quelli davvero più feroci, li ho visti dai ragazzi delle famiglie più agiate». Le prime antenne a captare i segnali di rischio devono essere dentro la scuola: «Purtroppo non sempre c’è la capacità di ascoltare. Mi è capitato di fare un intervento in una scuola e c’è stato un ragazzino che si è fatto avanti dicendo che veniva picchiato spesso e lo aveva già detto più volte ma nessuno gli aveva mai dato la dovuta attenzione ». Gli episodi non mancano anche a Ravenna ma il panorama dal punto di osservazione del palazzo di giustizia appare sereno: «La città non è grande e mi pare funzioni una rete di assistenza in grado di fare la propria parte».

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