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    Categoria: società

A quarant’anni dal ‘77 quando «l’io era sempre un noi»

Alla Biennale dei giovani artisti della Romagna fino al 17 settembre anche le foto di Enrico Scuro sul festival della gioventù del ‘76 a Ravenna che segnò la prima rottura tra Pci e movimenti

 

L’1 settembre al Mar di Ravenna apre la mostra di Ram, rassegna annuale rivolta a giovani artisti dedicata quest’anno al tema del ’77. La mostra è stata arricchita da materiali inediti sul Festival nazionale della Gioventù di Ravenna organizzato dalla Fgci fra luglio e agosto 1976 per integrare quella grande fetta di giovani che da tempo aveva aderito a formazioni più a sinistra del Pci o a una pratica politica spontaneista. La memoria storica di quei giorni – che videro in scena grandi musicisti ma anche gravi scontri fra polizia e servizio d’ordine da una parte, e giovani dall’altra – è affidata alle immagini del fotografo Enrico Scuro, bolognese di adozione, che partecipando al movimento ha avuto la possibilità di realizzare un vasto archivio di immagini di quegli anni. Dalla digitalizzazione nel 2007, il suo archivio ha suscitato un interesse collettivo e i suoi scatti sono stati presentati in varie pubblicazioni e mostre fino alle recenti personali alla Cineteca e al Comunale di Bologna.

Come ha contribuito il tuo libro, I ragazzi del ’77, alla memoria di quegli anni?
«Quando nel 2011 mi sono iscritto a Facebook e ho iniziato a pubblicare un album con le foto del ’77 non immaginavo che queste avrebbero fatto da catalizzatore per tutti quei ragazzi che avevano vissuto quegli anni. Commenti come “mi hai fatto rivedere un periodo della mia vita che ormai pensavo di aver solo sognato” fanno capire cosa è successo nella singole persone che si sono ritrovate su un social a rivedere collettivamente la memoria di quegli anni».

Il ’77 è stato ben analizzato?
«Alcuni studiosi se ne sono occupati recentemente, anche all’estero, ma si tratta di una élite. In questi ultimi studi si è andato oltre l’identificazione fra movimento e anni di piombo. Si è iniziato a rivalutare la componente culturale e artistica».

Hai partecipato a diverse iniziative editoriali e a mostre tematiche, sempre più frequenti. Ciò significa che quel fenomeno è stato finalmente sdoganato dalle istituzioni?
«Questo è un fenomeno recente a Bologna, avvenuto con qualche resistenza: in una mostra dedicata alla storia del sindacato, nel 2007, è stata necessaria una lunga discussione sull’opportunità di esporre le foto del funerale di Francesco Lorusso, lo studente ucciso negli scontri. Lentamente la situazione è cambiata e da quando, nel 2011, nella collezione permanente del MAMbo (Museo d’Arte Moderna di Bologna) è entrato un pannello fotografico su Radio Alice, anche istituzioni come Comune e Università hanno dedicato mostre a quel periodo storico arrivando ad organizzare quest’anno, in occasione del 40° anniversario del 1977, iniziative di documentazione fotografica e documentale in Cineteca, Teatro Comunale, Archivio di Stato. Direi che a Bologna si è verificato un assorbimento del ’77 da parte delle istituzioni ma senza un confronto su ciò che è stato».

In un testo sul ’77 dello storico Luca Falciola, la nuova centralità dei bisogni e dei desideri soggettivi di quella generazione viene interpretata come anticipazione dell’individualismo degli anni Ottanta. Che ne pensi?
«L’individualismo degli anni Ottanta seguiva degli schemi, era uno stile di vita non spontaneo. Il movimento del ’77 era composto da una diversità molteplice dove tutti si sentivano liberi, volevano esserlo e rivendicavano la soddisfazione dei propri desideri. In questo senso l’amore di sé non possedeva una connotazione negativa: immagina un individualismo dove la tua predisposizione, il tuo desiderio di essere o fare, vengono inseriti in un contesto generale, sono a disposizione della collettività in cui ti riconosci. L’uno era sempre per tutti».

Parliamo delle tue immagini del Festival nazionale della Gioventù tenuto a Ravenna nel ’76. Cosa ricordi?
«Ci sono stato per tre-quattro giorni e furono sufficienti. Venivo, come altri, dal festival alternativo di Parco Lambro e da Umbria Jazz che furono belle esperienze a confronto con Ravenna, dove lo spazio era desolante e il festival sembrava quello dell’Unità. Il campeggio ufficiale era recintato e con una torretta di controllo; io campeggiai in quello sorto spontaneamente in mezzo al nulla, controllato però dai veicoli della polizia. In una foto, una coppia di ragazzi sono inginocchiati davanti alla scritta “Campeggio di nuova generazione = campo di concentramento fascista & SS”; in un’altra si vede lo spazio donna in cui il cartello invitava “Venite qui a scrivere la condizione della donna”. Cosa poteva esserci di più assurdo e lontano da noi?»

Sei d’accordo con la lettura che la rottura fra il Pci e il movimento si consumò prima a Ravenna, deflagrando poi a Bologna l’anno successivo?
«In parte. A Bologna agli inizi del ’77, durante le occupazioni e all’assemblea generale al Palasport, erano presenti sia Cl che la Fgci: il dialogo c’era anche se al momento di applicare le decisioni prese saltavano fuori le “grane” in quanto vincevano sempre le mozioni movimentiste. La rottura c’è stata solo dopo la morte di Lorusso, quando la Fgci decise di stare dalla parte della polizia. Ravenna rappresenta per me una prima tappa dei contrasti fra il Pci e il movimento, così come Parco Lambro aveva evidenziato gli scazzi fra i gruppi, e Umbria Jazz il contrasto fra la vita alternativa dei giovani e quella della società “normale”. A Ravenna tutto era stato organizzato in attesa degli “autonomi” a partire dalle recinzioni, dalla torretta al campeggio, dal servizio d’ordine affidato ai Portuali. Non c’è stata una ricerca di dialogo».

Quali sono i tuoi progetti ora?
«Non fotografo più ma sto lavorando al progetto di una vita: un libro e una mostra antologica su tutto il mio percorso. Credo che andrà in porto fra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, ma per adesso non voglio aggiungere altro. È un segreto».

Ram, la Biennale. I sette giovani artisti della Romagna scelti per confrontarsi con il ‘77

Ram è la Biennale dei giovani artisti della Romangna che si svolge quest’anno al Mar dal 2 settembre al 17 settembre, a cura di Elettra Stamboulis. L’inaugurazione è prevista per alle 18 (a seguire party nella terrazza della Galleria Anna Fietta di via Argentario). Il titolo su cui sono stati invitati a misurarsi i giovani artisti è “Facciamo un ‘77”. Durante la mostra ci sarà un’istallazione acustia dedicata proprio alla ricostruzione di Radio sonora e la cifra espositiva dei lavori dei vincitori rivela il cambiamento epocale che segnò il mondo dell’arte, in quegli anni. Gli artisti selezionati in mostra sono: Chiara Talacci – Fotografia (curata da Veronica Lanconelli) Elena Pagliani – Illustrazione (curata da Elettra Stamboulis) Matilde Morri – Grafica d’arte (curata da Elettra Stamboulis) Shani Militello – Performance (curata da Maria Rita Bentini) Lorenzo Jato – Pittura (curato da Antonella Perazza) Agnese Scultz – Pittura (curata da Emilie Gualtieri) Michele Argnani – Fotografia (curato da Sabina Ghinassi) Sono inoltre state selezionate per la sezione “Giovani curatori”: Emilie Gualtieri Veronica Lanconelli.