Coppia con quattro figli sfrattati per debiti: «Non possiamo dormire in un furgone»

La storia di due quarantenni che si ritrovano fuori di casa una decina di anni dopo aver smesso di pagare le rate del mutuo perché alle prese con una cartella di Equitalia dal fallimento della società del capofamiglia. Il Comune dice che entro l’anno avranno la casa popolare «ma scarsa collaborazione per la fase transitoria». Ancisi (Lpr) lancia un appello alla cittadinanza

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I due coniugi sul cancello di casa

Una famiglia di sei persone – genitori quarantenni e quattro figli, il più piccolo di tre anni e il più grande appena maggiorenne, residenti nel forese di Ravenna – si ritrova da oggi, 14 maggio, senza una casa come conseguenza di anni segnati da vicende travagliate, sia professionali che di salute, con un accumulo di debiti per decine di migliaia di euro con Equitalia, banche e Comune di Ravenna. La loro abitazione nelle campagne tra San Pietro in Vincoli e Gambellara è stata pignorata e lo scorso ottobre venduta all’asta (acquistata da un privato che vuole usarla per sé): stamani il coadiutore del custode giudiziario, accompagnato dai carabinieri, ha notificato l’obbligo immediato di abbandonare l’immobile concedendo sette giorni solo per sgombrare le stanze.

Stando alle disposizioni giudiziarie da stanotte i sei non possono dormire sotto quel tetto: «Non vogliamo ridurci nel mio furgone – dice il capofamiglia 44enne, da cinque anni operaio saldatore e invalido civile all’80 percento dopo che un anno fa gli venne diagnosticato un linfoma – ma non possiamo accettare la proposta dei Servizi sociali che vogliono dividerci mandando mia moglie con i figli in un albergo sociale e io da un’altra parte. Non è facile trovare una sistemazione, per ora speriamo che qualche amico possa ospitarci».

Lo sfratto è ormai certo e notificato ma sono divergenti le letture dei fatti che non hanno permesso di evitarlo. Moglie e marito forniscono la loro versione e dicono di non aver trovato particolare attenzione dagli uffici comunali. Dall’assessorato comunale competente invece, in buona sostanza, si sostiene che il quadro odierno sarebbe da attribuire anche a una scarsa collaborazione della famiglia, al punto da non aver permesso di concretizzare una soluzione temporanea migliore già individuata come fase transitoria verso l’alloggio popolare che potranno avere. Del caso si sta interessando il consigliere comunale di opposizione Alvaro Ancisi (Lpr) che rivolge un appello alla cittadinanza «affinché chi ne ha la possibilità, dalle istituzioni ai privati alle associazioni, offra a questa famiglia l’ospitalità di un alloggio, anche modesto, a condizioni sostenibili, per i pochi mesi entro cui il Comune potrà darle la casa popolare a cui ha diritto».

IMG 4443Per mettere in fila i passaggi della vicenda bisogna farsi indietro di una ventina d’anni. Nel 1998 Michele e Carla (i nomi sono di fantasia) si trasferiscono a Ravenna dalla Campania. Lui mette su un’azienda di impianti elettrici con un socio e arrivano ad avere tredici operai con un contratto importante nel mondo portuale: «Le cose andavano bene e nel 2007 con mia moglie decidemmo di chiedere un mutuo da 150mila euro per comprare casa». A rovinare i piani, secondo il 44enne, sarebbe stata la crisi e forse anche qualche errore di inesperienza imprenditoriale. Le pendenze aumentano e cominciano le difficoltà: «Abbiamo accumulato debiti per contributi non versati e Equitalia ci ha presentato un conto da oltre 60-70mila euro». Inizia così la rincorsa per tornare a galla: «Ho cominciato a restituire la mia parte con rate da 400 euro al mese e in quella situazione la rata mensile del mutuo da 900 euro era troppo per noi e poco dopo averlo ottenuto abbiamo smesso di pagarle». E comincia l’inevitabile declino, durato anni in cui non sono state versate rate, verso l’esecuzione e lo sfratto.

Lo stipendio da operaio di Michele è buono e lui stesso ne è consapevole: «Prendo tra duemila e duemilacinquecento euro ma siamo in sei e mia moglie non lavora per seguire i figli. A fine mese non arriviamo mai». Il capofamiglia fa l’elenco: la ricarica sul telefonino solo quando avanzano dieci euro, i vestiti al mercatino, la seconda auto lasciata guasta da mesi, il carburante per accompagnare i figli a scuola e uno a Bologna per gli allenamenti di calcio, i capelli si tagliano fai da te, niente computer a casa. «Sentire mio figlio grande che mi dice che andrà a lavorare invece che fare l’Università per aiutarci mi commuove ma come genitore fa rabbia».

Lo scorso febbraio la situazione di questa famiglia arriva alle orecchie di Ancisi che gira la segnalazione agli uffici comunali. Si mettono in moto i servizi sociali e assistono moglie e marito per presentare la domanda per la casa popolare. In quel frangente emerge anche un debito di undicimila euro con Ravenna Entrate per mancati pagamenti delle mense scolastiche comunali: «Non avevamo nemmeno i soldi per rivolgerci a un professionista per la compilazione dell’Isee da presentare – dice Carla – e ci hanno assegnato la quota più alta. Abbiamo pagato duemila euro e poi non avevamo i soldi per continuare. A febbraio del 2019 sarà chiuso il debito con Equitalia e cominceremo a pagare i debiti per le mense».

L’assessora Valentina Morigi, interpellata, illustra così la vicenda dal punto di vista del Comune: «Il nucleo non si è mai rivolto ai Servizi, nemmeno a fronte degli ingenti debiti accumulati nel corso degli anni: sono state le assistenti sociali a contattarli, dopo avere ricevuto una segnalazione, da terzi, alcune settimane fa, a ridosso dello sfratto. Il Servizio Sociale ha proposto al nucleo di fare domanda per gli alloggi Acer e si è proposto di compartecipare economicamente per il reperimento di un nuovo alloggio temporaneo in attesa che la casa popolare venga consegnata, cosa che avverrà, stando alla graduatoria, entro l’anno (la famiglia è in buona posizione, attorno al 270esimo posto, perché è un nucleo numeroso con un reddito Isee che non arriva a ottomila euro, ndr). Sempre il Servizio Sociale si è fatto da intermediario con una cooperativa di abitazione, trovando una casa nel forese a 350 euro al mese (alla stessa distanza da Ravenna rispetto alla residenza attuale, ndr), ma questa soluzione non è stata presa in considerazione: la famiglia infatti non ha fatto nemmeno fatto il sopralluogo per prendere visione della casa. Il Servizio Sociale continuerà ad adoperarsi per la presa in carico del nucleo, contando, auspicabilmente, sulla collaborazione della famiglia stessa».

La questione al centro dello scontro tra le parti riguarda la sistemazione temporanea che il Comune dice di aver trovato perché la famiglia non ha proposto altro: Michele sostiene di aver ricevuto solo dei no di fronte alle sue richieste e di aver trovato solo sistemazioni eccessivamente costose. Ora ha sette giorni di tempo per svuotare quella che era casa sua ma non sa ancora dove portare le cose. «Abbiamo provato a farcela da soli, anche per orgoglio, sempre cercando di avere il sorriso in faccia per farci forza. Spero che questo sorriso non abbia fatto pensare alle persone che stiamo troppo bene».

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