Quando la street art non era moda: «Niente permessi, disegnavamo lungo le ferrovie»

Stuko e Tails ricordano gli anni Novanta del writing a Ravenna tra hip-hop, skate e bombolette: «Per alcuni anni è stato come un secondo lavoro. Oggi c’è chi cerca di cavalcare l’onda»

Tails Broken Synth 2018 (1)

Broken Synt (Tails)

Non c’erano pareti in cui era legale disegnare ma cancelli da scavalcare, cavalcavia su cui arrampicarsi, muri lungo le linee ferroviarie e treni su cui disegnare. C’erano cappucci della felpa per non farsi vedere. Erano gli anni Novanta e anche nella sonnacchiosa provincia ravennate arrivava il writing, una delle quattro arti dell’hip hop. Un’attitudine notturna che oggi i protagonisti di quell’epoca ricordano con sorriso e nostalgia. A Ravenna le principali crew di writer attive erano due: Rds e Mkz-Taf. Un paio dei protagonisti di quell’epoca accettano di raccontare quei trascorsi presentandosi con quelle che erano le loro tag, la firma che è poi quella che nella maggior parte dei graffiti, veniva riprodotta sui muri.

Stuko è stato il primo, un pioniere del writing e anche della scena hip hop ravennate. «I primi lavori – racconta – erano fatti su pannelli in uno skate park, era la fine degli anni Ottanta e avevo circa sedici anni. Sui muri ho iniziato più tardi, la prima tag Stuko ho cominciato ad usarla nel 1994». Di quella strana arte fatta di bombolette spray era venuto a conoscenza proprio nell’ambito della sua passione per lo skate, da sempre legata a doppio filo con la cultura urbana. «Non c’era internet – ricorda – e allora guardavo videocassette e magari cercavo qualche rudimentale rivista». Già, perché negli anni Novanta i lavori giravano tramite fanzine, giornali in gran parte autoprodotti in varie parti d’Italia. Uno di questi, Aelle, diventerà un magazine vero e proprio che ha chiuso i battenti nel 2001 ma in quegli anni era un punto di riferimento della scena hip hop. Gli anni Novanta sono una sorta di periodo d’oro per il rap italiano e la tag di Stuko, che fonda la crew Rds, diventa un punto di riferimento a chi si avvicina a questo mondo a Ravenna. «Avevo vent’anni e avevo la presunzione di fare qualcosa di buono per la città – ricorda lui oggi – ed ero contento quando sentivo che la mia tag era nota tra i ragazzi più giovani di me».

Stuko aveva anche un codice etico: «Evitavo di andare sui muri appena intonacati delle case private, preferivo il muro pubblico di una zona in degrado. Ad esempio ai tempi si andava al Gallery, che poi infatti il Comune rese legale». Quando diventava legale, però, Stuko si spostava: «No, di permessi non ne ho mai chiesti. Preferivo trovare zone nuove. Treni? Mi è capitato, però non mi piaceva. Il fatto che i pezzi girassero mi interessava relativamente». Non è mai stato sorpreso dalle forze dell’ordine, una volta ci è andato vicino con una guardia giurata, seminata in bicicletta. Oggi Stuko disegna ancora ma «solo lavori legali, in privato. A una certa età direi che non è più il caso di rischiare…». Rimane anche ai margini dei festival: «Alcuni lavori di street art mi piacciono, molti altri non troppo. Credo dovrebbe esserci un po’ di selezione, perché altrimenti si rischia di fare cose standardizzate. Dall’altra parte, nel mondo più underground, molti lavori sono rimasti fermi agli anni Novanta. Se c’è qualcosa di innovativo, però, preferisco sempre il suono della bomboletta a quello del rullo».

Uno dei writer che ha iniziato qualche anno dopo Stuko è Tails. A metà degli anni Novanta fonda con un gruppo di amici Mkz-Taf, dopo aver scoperto «al mare, da un gruppo di bolognesi e milanesi, l’esistenza dell’hip hop». Bologna è del resto lo snodo dove nascono i Sangue Misto, gruppo fondamentale del rap italico. Milano non è ovviamente da meno. «Grazie a loro ho conosciuto l’hip hop – racconta Tails – e in particolare il writing. A 14 anni ho trovato non ricordo come il numero di Eron e ho convinto mia mamma a telefonargli». Eron, riminese, uno dei writer più noti in Italia, era negli anni Novanta già un nome importante per la scena e i suoi lavori sul lungo canale della città rivierasca sono considerati opere d’arte. «Fu un grande – ride Tails –: forse sorpreso perché lo chiamava mia mamma, ci accolse a Rimini e ci indicò una parete legale in cui disegnare, proprio sul porto canale. Rimase lì un quarto d’ora ma fu davvero gentilissimo». Tails da allora traffica con bombolette e vernici. «Procurarsele non era semplice, oggi ce ne sono di vari tipi ma allora era un’altra storia».

Senza internet, la caccia agli spray migliori e alle bombolette era meno semplice. Stuko ricorda ad esempio di aver montato un ago di siringa a un erogatore perché il tratto fosse più sottile.Altro dettaglio: il costo. Dodicimila lire a colore, in pratica pizza e cinema. Insomma: «Dovevi crederci. Capitava – ricorda ancora Stuko – che quando venivano commissionati dei lavori da privati, ci si faceva pagare con le bombolette. Magari ne servivano dieci ma se ne chiedevano venti. Del resto, i compensi non erano granché». Per Tails, ad esempio, quello del writing diventa un bel modo di arrotondare: «Per alcuni anni, soprattutto quando studiavo, è stato un secondo lavoro. Un’importante marca di bibite mi aveva commissionato dei disegni coordinati in vari locali. Loro sì, pagavano decentemente».

Tra i luoghi più frequentati da Tails ci sono i cosiddetti “lungo linea”, i muri accanto ai binari che potevano essere ammirati passando in treno. Non ha mai abbandonato l’arte, Tails ma anche lui, con l’età, ha smesso di disegnare dove non si può: «Ho già dato, da quel punto di vista e ho deciso di smettere con quel tipo di attività. Però se capitano occasioni per tirare fuori le vernici in tranquillità lo faccio ancora volentieri, tutto legalmente». Anche per questo suo nuovo modo di porsi, verso i festival di street art non c’è ostilità. «Ma no – dice – non ho niente contro queste iniziative che magari rivitalizzano le città, anche se è vero che si è un po’ perso lo spirito iniziale. D’altra parte, non poteva rimanere così per sempre: la vedo come un’evoluzione normale. Certo, il fatto che sia così popolare, sulla bocca di tutti mi porta a vedere che c’è gente che per un certo verso cavalca l’onda e si improvvisa artista, anche se non è mai stata nella scena. Ecco: questo mi dispiace un po’».

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