Se la violenza avviene ai margini: un convegno su donne e Lgbt homeless

I volontari di Avvocato di Strada: «Le donne senzatetto spesso sono vittime di chi offre un rifugio “sicuro”. Vivono lo stigma della loro situazione, molto volte non sono consapevoli della violenza subita»

ViolenzaGiovedì 8 novembre si tiene a Ravenna, per tutta la giornata, un convegno su un tema particolarmente specifico nell’ambito delle iniziative in vista della giornata contro la violenza sulle donne. La Scuola di Giurisprudenza dell’Alma Mater Studiorum, Campus di Ravenna e Avvocato di Strada, con il patrocinio del Comune e nell’ambito del cartellone “Una società per relazioni” dà infatti vita a “Donne, persone lgbt, violenza e marginalità sociale: quali diritti e quali percorsi?”.

L’appuntamento è alla sala don Minzoni di piazza Duomo 4.

Francesca Curi, professoressa di Diritto Penale, curatrice scientifica dell’iniziativa, dichiara: «Il Dipartimento di Scienze giuridiche, Università di Bologna, Campus di Ravenna, ha collaborato alla realizzazione di questo importante convegno nell’ottica di rafforzare la propria terza missione, la quale comporta un impegno attivo nella trasformazione dei risultati dell’attività di ricerca in conoscenza produttiva, suscettibile di applicazioni di natura sociale, educativa e culturale. Si è voluto così mettere a disposizione del territorio, delle istituzioni locali e delle organizzazioni private il prodotto delle ricerche scientifiche maturate in seno al Dipartimento». Per fare questo, come si vede dal programma si sono coinvolte diverse realtà che lavorano sul territorio sotto profili diversi. Non sarà, insomma, un evento per accademici. E infatti, insieme all’Università, a organizzare il convegno i volontari di Avvocato di strada Onlus, associazione che offre consulenza gratuita a un’utenza debole e spesso ai margini. Abbiamo rivolto loro qualche domanda per approfondire meglio il tema, incontrando Ilaria Morigi, Sonia Lama e la coordinatrice Emanuela Casadio.

Perché un convegno su un tema così specifico? Quali sono i bisogni che rendono queste vittime di violenza diverse dalle altre?
«La situazione di marginalità, disagio economico, culturale e condizioni di fragilità come la tossicodipendenza e il disagio mentale rendono queste persone più esposte di altre al rischio di violenza. Abbiamo sentito i il bisogno di analizzare questo problema che esiste, seppur in bassa percentuale . L’esigenza è quella di coinvolgere quanti più interlocutori possibili (associazioni , forze dell’ordine, assistenti sociali e operatori sanitari e operatori giuridici e istituzionali) per analizzare le criticità e rafforzare e migliorare le capacità d’intervento. Anche perché la violenza di genere contro le donne senza fissa dimora che vivono in strada o di strada sottende sempre ad una ulteriore colpevolizzazione della vittima. Le donne homeless che spesso sono vittime di violenza da parte di chi offre loro un rifugio “sicuro” vivono lo stigma della loro situazione, molte volte loro stesse non hanno consapevolezza della violenza subita. Essere per strada vuole dire essere costantemente ricattate, non avere servizi sociali e sanitari adeguati , essere senza residenza , senza assistenza sociale. Se si denuncia la violenza spesso si ritorna a vivere nel posto da dove si era partite, in una sorta di coazione a ripetere. Vivere per strada vuole dire non avere la forza di entrare in una questura in un pronto soccorso, non sapere che esistono centri anti violenza, avere difficoltà burocratiche spesso superiori a tante altre persone. Con questo convegno vorremmo auspicare che venga considerata questa particolare situazione nei protocolli di intesa fra istituzioni che si occupano di violenza per individuare reti è prassi ad hoc».
C’è paura a denunciare? Quando la vittima è straniera e irregolare, può temere che, andando a denunciare l’aggressione, finisca con il denunciare se stessa?
«Se un soggetto che subisce violenza è un soggetto extra Ue priva di titolo di soggiorno che lo autorizzi alla permanenza in Italia verrà contestato il reato di clandestinità e anche quello di non aver lasciato il territorio nazionale come ordinato dal Questore se destinatario di un decreto di espulsione. L’unica protezione è l’inserimento e la partecipazione in un percorso programma al quale, se poi per un qualsiasi ci si sottrae si perde l’autorizzazione alla permanenza. Sul piano legislativo manca un approccio che prenda atto dell’esistenza delle difficoltà specifiche in cui vivono queste persone».
E dal punto di vista della protezione sociale? Esistono oggi strutture ad hoc dove accogliere le vittime di violenza? Come si assistono queste persone?
«Ci sono strutture per donne che subiscono violenza, non, ad esempio per persone transgender. Non sono necessarie strutture ad hoc, bensì si avverte la necessità di creare percorsi ad hoc con personale che ha ricevuto anche una formazione ad hoc».
Qual è la situazione a Ravenna? Siamo adeguatamente pronti a questo tipo di assistenza, anche dal punto di vista dell’eventuale necessità di un sostegno psicologico?
«Ravenna è una realtà virtuosa. La sessione pomeridiana articolata in tavoli di lavoro, prenderà spunto dal protocollo già sottoscritto dalle istituzioni nel 2011. Scopo del convegno è quello di elaborare piani d’intervento interdisciplinare che meglio possano rispondere alle specifiche esigenze dei casi che, di volta in volta, si prospettano».

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