La pediatra Serenella Pignotti ospite al convegno organizzato a Ravenna dall’Unione donne italiane sulle conseguenze del Disegno di legge Pillon in tema di divorzio e affidamento dei figli. Appuntamento l’8 febbraio alla biblioteca Classense
Dottoressa Pignotti, ma quanto è diffuso il fenomeno? E qual è il rischio principale?
«È assolutamente diffuso e anzi inquina la quasi totalità dei casi di separazioni conflittuali in cui un bambino rifuta di vedere un genitore. Si tratta di un baratro che ha come rischio principale un picco di femminicidi, che si è verificato di recente. Perché una volta che viene tirata in ballo questa presunta sindrome si cessano le indagini nei casi di violenza, che molto spesso sono invece alla base di questi rifiuti».
Lei sostiene che questa cosiddetta sindrome non esista, eppure nei tribunali è diffusa. Come viene stabilita?
«Da psicologi nominati dal tribunale. Il problema è che i magistrati spesso pensano si tratti di un elemento scientifico e provato quando non è affatto così. È stato invece introdotto nei paesi in cui le donne stavano iniziando a conquistare un’indipendenza, per riaffermare il patriarcato, per sminuire il ruolo della madre. Come la diagnosticano? Vanno a cercare disperatamente ogni frase che la madre può aver detto contro il padre, anche le più comuni e frequenti, anche all’interno di una coppia che non si separa. E poi, per i casi in cui sia impossibile trovare alcunché, si sono inventati addirittura l’alienazione incoscia, che finisce per imbavagliare qualsiasi argomento che possa opporsi».
Ma, invece, nella sua esperienza, quando un bambino rifiuta di incontrare un genitore, quali sono le ragioni profonde?
«Dietro queste situazioni c’è quasi sempre un contesto di violenza familiare. Ma proprio in questi giorni ho sulla scrivania il caso di un bambino giudicato “affetto” da questa sindrome nonostante ci sia una sentenza di primo grado che affermi come il piccolo abbia assistito a episodi di violenza sulla madre! Ma nemmeno questo è sufficiente. In realtà la letteratura scientifica dice che quando un genitore denigra l’altro genera piuttosto un rifiuto verso chi denigra. Quando un bambino rifiuta di vedere un genitore, c’è una ragione ben più profonda. E ignorarla può voler dire mettere a repentaglio la sua sicurezza e la sua incolumità».
La situazione sembra già grave così com’è. Come può il Disegno di legge Pillon peggiorare ancora la situazione, come denunciano tante associazioni?
«Con questo disegno di legge arriva la ciliegina sul babà alla crema. Perché addirittura, Pillon dice che anche quando non sia riconosciuta alcuna alienazione, se un bambino rifiuta un genitore si può procedere per l’interruzione dei rapporti con l’altro. Pensi solo a quello che può significare quando magari si ha a che fare con un adolescente. Dietro a tante storie di fughe da casa dei ragazzi, ci sono propri casi come questi. Non si può costringere un ragazzo a stare dove non vuole».
Tutto questo che conseguenze ha e può avere sulla scelta di tante donne? E riguarda famiglie di ogni fascia sociali?
«Sì, ma naturalmente le donne più fragili, con meno denaro a disposizione o senza una rete parentale, soccombono più spesso perché hanno meno mezzi per difendersi. E questo fa sì che, per paura di vedersi togliere i figli, non li mandano più a scuola. O restino in una situazione di coppia dove subiscono violenze, invece di denunciare. È una situazione che mi preoccupa tantissimo, perché già molto frequente. E che si associa a una narrazione, purtroppo diffusa da tanti media, che racconta troppo spesso i padri come la parte debole nelle separazioni. Ma non è vero che sono loro quelli a impoverirsi di più in caso di divorzio, è piuttosto vero il contrario, così come sono più spesso gli uomini a rifarsi una vita dopo una separazione e non le donne. Peraltro ormai nelle separazioni consensuali l’affido congiunto a entrambi i genitori è sempre più diffuso. Quando parliamo di situazioni in cui si tira in ballo l’alienazione parentale siamo in presenza di casi di violenza o di malattia mentale, che può riguardare ovviamente uomini e donne. Ma anche in questo caso, non possono essere i consulenti dei tribunali a fare la diagnosi, ma un’équipe ospedaliera. Sa quante psicosi sono decretate tali nei tribunali, ma non negli ospedali?».