venerdì
04 Luglio 2025
l'intervista

Ora è Greta anche all’Anagrafe: «Le terapie ormonali hanno salvato mia figlia»

Parla la mamma della giovane trans diventata un caso nazionale: «Abbiamo cercato di aiutare tutte le persone come lei. E condividere la nostra esperienza è servito a tanti genitori per diventare padroni delle proprie paure»

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Cinzia Messina
Cinzia Messina

Difficile trovare un giornale o un’emittente televisiva che non abbia dedicato neppure un breve servizio a Greta, giovanissima transgender ravennate, e ai suoi genitori. «Forse per questa sovraesposizione mediatica ci ha rimesso un po’ nostra figlia – ci dice la madre, rispondendo a una nostra domanda –, ma credo che grazie anche a Greta moltissime altre persone come lei siano oggi un po’ più serene. No, quindi, non sono pentita di averci messo le nostre facce. È stato anche un modo per far vedere a Greta che non ci siamo mai vergognati di lei. Sono altri quelli che si dovrebbero vergognare…».

Cinzia Messina sulla storia di sua figlia ci ha scritto un libro (Io sono io, con la collaborazione di Francesca Mazzoni, edito nel 2020 dal Ponte Vecchio di Cesena) e sulla base di questa esperienza vissuta in prima persona ha fondato un’associazione, “Affetti oltre il genere”. «Sono due modi per cercare di promuovere in primis l’informazione su questo tema, che spesso manca. E per potersi confrontare con chi ci è già passato. Gli incontri promossi dall’associazione o le presentazioni del libro aiutano i genitori a capire che avere figli transessuali non è un problema, che i problemi al limite sono nelle persone che sono attorno a noi. C’è chi ha paura di perdere il proprio rapporto con i fratelli, i vicini di casa, i colleghi, ma poi capisce che così facendo si crea solo un altro carico che va solo a schiacciare i propri figli. Con la condivisione delle esperienze e delle informazioni è invece possibile diventare padroni delle proprie paure».

Io Sono IoCome è iniziata, con Greta?
«Già quando aveva 3 anni, mio figlio si sentiva una bambina. E non capiva perché fossimo così cattivi da non vestirlo da femmina, perché non lo assecondassimo. Noi genitori non sapevamo dare un nome a tutto questo. Sono stati anni di grande disagio per tutti. Era un bambino pieno di rabbia, con grosse problematiche. Lo diceva con tutti, che si sentiva una femmina, a volte era come impazzire, erano lotte continue su tutto e ovunque. A me non fregava nulla, sia chiaro, volevo solo che fosse felice. Ma con tutti gli altri dovevamo sempre giustificarci, che fosse per il palloncino con le principesse o lo zaino delle Winx».

Fino alle medie, quando arriva l’ufficiale coming out, a 12 anni.
«A quel punto ha smesso di dire “mi sento”, per passare più semplicemente a un “io sono”. Il mondo transgender era lontanissimo dal mio, non ne sapevo nulla. In quel periodo ho letto Mio figlio in rosa, libro di Camilla Vivian (madre che ha assecondato il figlio che a 10 anni diceva di voler essere una bambina, ndr) e dopo un’ora ero al telefono con lei. È stato un nuovo inizio per me, ho scoperto tante cose: che si nasce così, per esempio, che quella condizione aveva un nome. Era arrivato il momento che io capissi quello che potevo fare per aiutare mia figlia Greta, per farla vivere nel modo più sereno possibile».

Alle medie, però, immagino non sia stato facile.
«Per fortuna è arrivato il Covid, devo dire, e le lezioni in presenza sono finite: lei in quella situazione non sarebbe riuscita più ad andare a scuola. Nel frattempo io ho continuato a leggere decine di libri sull’argomento, mi sono documentata e mi sembrava impossibile che non si riuscisse a sfruttare invece il caso di Greta, anche a scuola, per parlare di orientamento sessuale, identità di genere, per fare informazione».

Le difficoltà, ora, per Greta, sono finite?
«No, e credo non finiranno mai. È molto sola, è cresciuta sola e adesso è difficile trovare amici. In più le istituzioni, la politica, riescono solo a creare ulteriore disagio. Con questo nuovo Governo la situazione sta già peggiorando. Si sta mettendo in discussione per esempio la Carriera Alias (la possibilità, per chi abbia iniziato un percorso di transizione di genere, di scegliere un nome di adozione, in ambito scolastico, introdotta a Ravenna dal liceo artistico, su spinta proprio di Greta e della sua famiglia, che già erano riusciti a ottenere lo stesso diritto per l’abbonamento del bus, ndr)…».

Qual è l’appello più grande che si sente di fare al mondo della politica?
«Quello di abrogare la 164 del 1982 e sostituirla con una nuova legge più adeguata (Greta e i suoi genitori hanno lanciato per questo anche una petizione, firmata da quasi 20mila persone, ndr) che preveda in primis la possibilità di effettuare la rettifica anagrafica attraverso una procedura più snella e meno onerosa di quella attuale. Per riconoscere l’identità delle persone transgender in ogni momento del proprio percorso di transizione. Senza il cambio anagrafico le persone si bloccano, quando il nome non corrisponde più all’aspetto smettono di lavorare, di andare a scuola, non prendono la patente… Molti si scoraggiano e credono non sia neppure possibile, soprattutto da minorenni, invece Greta ce l’ha fatta: ci abbiamo messo tanto, un anno e mezzo, tra mille difcoltà, notti insonni, ma adesso abbiamo ottenuto il cambio anagrafico e nostra figlia ha nuovi documenti».

Nella petizione si chiedeva anche di riconoscere le terapie necessarie nel percorso di transizione, tornate sotto accusa nelle ultime settimane, con la Società Psicoanalitica Italiana che parla dei rischi di danni fisici e psichici.
«Tutti i farmaci hanno anche effetti collaterali, ma di certo i “bloccanti” per Greta sono stati un salvavita. Impediscono lo sviluppo di caratteri secondari – dalla voce al pomo d’Adamo, fino alla barba – che avrebbero reso la sua vita impossibile. Chi sta sollevando polemiche in questi giorni sta strumentalizzando persone come Greta. Da genitore non ho mai avuto dubbi, d’altronde abbiamo seguito un percorso di protocolli ed esami preliminari come per qualsiasi trattamento. Senza quelle terapie, ora, semplicemente, non ci sarebbe più Greta».

Oltre alle difficoltà nel mondo reale, non deve essere stato facile neppure quello virtuale per voi.
«Ho visto persone adulte scrivere cose terricanti contro una bambina di 12-13 anni. Anche contro di me, ovviamente, sono arrivati gli insulti, ma con il tempo ho capito che bisogna ignorarli, fare finta che non esistano. Ho preferito utilizzare la mia energia per cercare di aiutare mia figlia e tutte le persone come lei, per aiutare i genitori a riconoscersi e ad accogliere i propri figli, a capire che dietro ogni pregiudizio ci sono delle persone, con il loro dolore».

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