
Io confesso: ho fatto l’inviato e l’autore di talk show televisivi italiani per di più di vent’anni, e ora sono pentito. Quando iniziai a lavorarci sulfinire degli anni ‘90 i talk show all’italiana potevano avere un senso. Se uno si voleva informare a quell’epoca poteva guardare solo i tg, che erano seriosi e ufficiali, e in pratica si ascoltava solo la versione della politica. Poi arrivarono il “Maurizio Costanzo show”, “Samarcanda” di Michele Santoro, “Milano Italia” con Gad Lerner, e fu una rivoluzione. Finalmente potevi ascoltare Giovanni Falcone che parlava contro la mafia, mentre prima sentivi solo la versione di Andreotti, potevi vedere la gente collegata dalle piazze che protestava contro i politici, e forse non aveva tutti i torti. Certo, la gente è scomposta, poco fine, talvolta maleducata – erano gli anni del boom della Lega e della protesta del nord – ma tra ascoltare all’infinito un serioso dibattito tra Alberto Arbasino e Dacia Maraini o lo sfogo salivare e rabbioso di un tabaccaio brianzolo che urla contro le tasse, io tutta la vita preferisco ascoltare il tabaccaio perché i due intellettuali dopo un po’ sfrantumano i cabbasisi.
Poi però i talk show hanno cominciato a marcire come l’uva sui tralci. Per colpa di due cose: la par condicio e lo strapotere della gente. Un tempo i talk show avevano un senso perché i politici che si scontravano sul palco rappresentavano due visioni del mondo opposte: sinistra contro destra, progressisti contro conservatori, oppure anti-berlusconiani contro Berlusconi. E la par condicio era giusta perché si doveva dare rappresentanza a queste due opinioni o visioni del mondo diverse. Ma a quell’epoca esistevano le ideologie e ci si scontrava sui massimi sistemi. La mafia esiste oppure no? Pare impossibile ma si discuteva anche di questo. Posto garantito o flessibilità? Più diritti civili alle donne oppure no?
Invece adesso le ideologie sono crollate, non si dibatte più su questioni ideali e i politici si devono scontrare su questioni pratiche minuscole, più adatte a un ragioniere del catasto o a un muratore. Ci sono troppe buche nelle strade? A Roma c’è un’emergenza spazzatura, come si risolve? E che ne so, chiamate uno stradino o uno spazzino.
Oppure si inventano dibattiti su grandi temi nei quali non ci sarebbe niente da discutere. Esiste il riscaldamento globale? No, ma davvero invitate due politici a parlare di questo? I migranti che affogano nel Mediterraneo: li salviamo oppure no? No, ma dai, discutiamo di questo? Ma state scherzando? L’Ucraina l’ha invasa la Nato o Putin? Sono stati gli Ufo, signora, gli Ufo.
Ma la colpa più grande dei talk show all’italiana è avere creato il falso mito populista del “bisogna ascoltare la voce della gente”, che poi è diventato “uno vale uno”. Uno vale uno un cavolo. Perché se devi invitare uno della gente a raccontare i fatti suoi va bene, ma se invece vuoi invitare un barista di Bergamo a discutere di Covid-19 con un Nobel della medicina allora non ci siamo. Uno non vale uno. Uno dei due è competente e l’altro non sa nulla, e deve stare zitto.
La crisi definitiva del modello dei talk show all’italiana è arrivata con la pandemia del Covid-19. Ricordo benissimo la scena: ero a casa, avevo appenafinito una call collettiva con una decina di miei amici scienziati e medici (in realtà sono un ex neuroscienziato e medico) sparsi nei quattro angoli del pianeta, che mi avevano raccontato cose atroci su quanto fosse aggressivo e mortale il virus, quanti morti facesse in Cina, e quanto rapidamente si stesse diffondendo, quando mi sintonizzai su un talk show italiano dove a discutere di Covid il conduttore aveva invitato Vittorio Sgarbi, Selvaggia Lucarelli, Philippe Daverio e un ristoratore di non ricordo dove. Loro dicevano che era come un’influenza, che il virus non sarebbe mai arrivato in Italia, che si potevano mangiare gli involtini primavera perché i cinesi non erano contagiosi, e poi si è visto com’è andata. Dalla rabbia ho tirato una Crocs contro la tv. E il giorno dopo chiamai il conduttore per protestare. In una trasmissione giornalistica di informazione non si può fare così, non puoi invitare quattro incompetenti – sul tema, ovviamente – a discutere questioni così importanti come il Covid, per il quale un’informazione sbagliata può influenzare i comportamenti della gente e causare la morte di molte persone che di te si sonofidate. Il dovere etico di ogni buon giornalista dovrebbe essere quello di riportare in maniera imparziale tutte le opinioni in campo su una determinata questione. Quando la questione è di natura politica o sociale l’imparzialità – cioè il presentare gli argomenti principali di ogni parte in campo assicurando a ciascuna di esse spazio – è fondamentale. Ma quando si applica alla scienza l’imparzialità può causare problemi: può sembrare che richieda al giornalista di presentare i diversi punti di vista in competizione su una questione come se essi avessero uguale peso scientifico, quando in realtà non l’hanno affatto. Quando il 99,9 per cento degli scienziati sostengono una tesi, verificata dai fatti sperimentali, e lo 0,1 quella contraria, non verificata, se inviti a parlare un esperto che sostiene la prima posizione e un “esperto” che sostiene quella opposta stai dando l’impressione che ci sia un dibattito tra pari che invece non esiste, e stai manipolando la realtà. Ti nascondi dietro al paravento della par condicio,fingi di essere imparziale e invece sei fazioso, e stai pure dalla parte sbagliata. E durante una pandemia dare voce a chi spara fandonie non suffragate dai fatti sperimentali può significare anche avere dei morti sulla coscienza. E sul riscaldamento globale stiamo commettendo gli stessi errori.
Quindi, bisognava dare voce a tutti? Bisognava dare voce solo a chi sosteneva che il Covid è una malattia letale che stava mietendo milioni di morti, oppure anche a chi diceva che il Covid è come una banale influenza? Solo a chi sosteneva che i vaccini anti-Covid ci proteggono dal contagio, dalla malattia e dalla morte, oppure anche a chi diceva che sono terapie geniche sperimentali e che causano effetti avversi a lungo termine a noi ignoti perché la ricerca era stata fatta troppo in fretta? Pe me no. Bisognava chiamare solo i competenti che parlavano basandosi su prove documentali. Difatti i media seri come il New York Times o la BBC durante la pandemia hanno deciso di dare voce solo a chi diceva che il virus era letale e i vaccini erano fondamentali.
In realtà lo stesso modello si dovrebbe applicare anche a molti temi politici. Invitare politici a discutere se sia giusto o no salvare i migranti che affogano nel Mediterraneo mi pare tragicamente comico. Come aprire un dibattito sulla questione se una donna che ha bevuto e poi è stata violentata se l’è cercata oppure no. Ridicolmente lugubre. I giornalisti italiani hanno la preparazione e la competenza sufficiente? Spesso, no. E se ce l’hanno non la usano. Sulle questioni politiche i giornalisti italiani ancora se la cavano perché basta dare la voce a un politico e poi all’altro senza prendere posizione. Ma quando ci sono in ballo questioni tecniche e scientifiche dove la competenza e la preparazione sono fondamentali i giornalisti italiani rivelano spesso il loro pressappochismo e la loro impreparazione. Non puoi cavartela con un «Adesso ascoltiamo il signore che dice che i vaccini salvano la vita… e adesso ascoltiamo il signore che dice che i vaccini uccidono la gente!». Tu devi sapere quali delle due affermazioni è vera e quale invece non è fondata sui fatti, perciò dovresti dire: «Adesso ascoltiamo il signore che dice che i vaccini salvano la vita… E poi adesso questo pazzo che dice che invece uccidono», oppure non invitarlo neppure.
Ma stiamo parlando inutilmente: bisogna accettare che i talk show non fanno informazione ma sono solo uno spettacolo di intrattenimento, sono un circo e come ogni circo deve avere i suoi protagonisti fissi: il politico impegnato, l’industriale brianzolo che urla contro le tasse, il vecchio guru della televisione che dice che lo censurano perché ha opinioni scomode eppure sono trent’anni che compare indisturbato in Tv, il critico d’arte che gioca a fare il bastian contrario eppure esprime sempre e solo l’opinione della maggioranza, l’esperto di guerre appena fuggito da un Tso, il montanaro eremita che solo perché vive nei boschi e ha scalato due cime possiede la saggezza per parlare di tutto, dalla metafisica ai pomodorini biologici.
Se sono così in crisi, perché di talk show ce ne sono così tanti? Innanzitutto perché costano poco: un talk show di quattro ore con studio e servizifilmati costa 100mila euro, uno solo con un conduttore e tre ospiti attorno a un tavolo costa 15mila euro, mentre un’ora di fiction anche senza attori noti ti costa come minimo 1 milione di euro. E poi i protagonisti dei talk show – che sono i politici – neanche li paghi, così risparmi, ma quelli ci vengono volentieri perché così fanno passerella. E i conduttori del talk show che lasciano parlare i politici senza fargli domande scomode puoi stare tranquillo che dopo fanno carriera. Ma l’informazione vera sta di casa da un’altra parte.