«L’unico tratto comune tra i femminicidi sono i segnali di allarme sottovalutati»

L’avvocato Scudellari ha difeso sia imputati che familiari delle vittime: «Ancora tanti pregiudizi nelle sentenze, ma abbiamo fatto passi avanti»

RAVENNA 15/12/2017. PROCESSO CAGNONI, ACCUSATO DELL’ OMICIDIO DELLA MOGLIE GIULIA BALLESTRI.

L’avvocato Scudellari durante il processo Cagnoni con la madre e il fratello della vittima, Giulia Ballestri

«L’unico aspetto che vedo ricorrente in tutti i femminicidi di cui mi sono occupato è che sono sempre stati preceduti da segnali che qualcuno ha sottovalutato». All’avvocato Giovanni Scudellari non manca un bagaglio di esperienze in tribunale: una trentina i processi seguiti in corte d’assise, di cui diversi per l’omicidio di una donna per mano di qualcuno che diceva di amarla. «Uomini di qualunque contesto che non potevi che ritenere persone normali, per quello che può significare. Per questo davvero non ha alcun senso dire “a lui può succedere e a me no”».

 Il legale ravennate è stato su entrambi i fronti dell’aula: sia accanto ai familiari della vittima come parte civile (ad esempio con il fratello e la madre di Giulia Ballestri) e sia in difesa dell’imputato (ad esempio con Marco Cantini). Da una parte o dall’altra non è la stessa cosa: «L’avvocato dovrebbe essere sempre distaccato per concentrarsi sugli aspetti tecnici, dovrebbe essere come un chirurgo che nemmeno vede in volto il paziente, ma la reazione emotiva è diversa quando in studio entrano i familiari di una donna uccisa». Però in un Stato di diritto anche un imputato di omicidio merita un’assistenza legale: «Purtroppo si finisce per sovrapporre l’accusato all’avvocato che invece sta solo facendo il suo lavoro. Quando mi sono trovato in quella posizione mi è capitato anche di ricevere lettere anonime di minacce con l’augurio di fare la stessa fine delle donna uccisa. Sono reati considerati schifosi dall’opinione pubblica e schifoso è considerato chi ne è accusato e chi gli è vicino. Per questo capisco chi rinuncia a quell’incarico se non si sente a posto con la sua coscienza o se ha paura per la sua incolumità. Su questo aspetto bisogna maturare molto perché fa parte dei passi necessari per migliorare in generale».

Tante altre sono le cose che vanno cambiate e Scudellari è convinto che l’esempio del passato mostri come i cambiamenti siano possibili: «Non possiamo dimenticare che fino al 1981 esistevano ancora il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Lo stupratore sposava la vittima per riparare al reato e lei doveva accettarlo. Le arringhe erano piene di frasi come “il disonore rende folli gli uomini”: le pene partivano da tre anni, le difese trovavano sempre una provocazione da attribuire alla vittima e si ottenevano le attenuanti generiche che portavano a sentenze così leggere da non finire mai in carcere». E quante volte la gelosia veniva portata in aula come giustificazione perché collegabile a uno stato emotivo passionale: «Ora la gelosia è diventata un aggravante perché uccidere per gelosia è equiparato a un motivo futile».

Ma la giurisprudenza è lenta a cambiare. I pregiudizi sono duri da sradicare. Le tracce emergono ancora, anche in sentenze recenti: «Nel 2020 una pronuncia della Cassazione ha stabilito che un tradimento non giustifica un tentato omicidio. E non è passato molto tempo da sentenze in cui si leggeva che l’offesa sessuale era da considerare minore perché l’aggressore indossava il preservativo o perché la vittima non ha urlato e quindi si poteva interpretare come un consenso. Ora si sta facendo largo la consapevolezza che una donna abusata può reagire in molti modi diversi». Molte difese fanno leva sui tempi: «Nonostante il Codice Rosso del 2019 che riorganizza le leggi in materia conceda un anno di tempo per presentare querela per stupro, sentiamo ancora disquisire sulla credibilità di una denuncia perché è arrivata un mese dopo il fatto. Questo non significa che ogni denuncia vada accettata acriticamente senza doverose verifiche, ma i tempi non possono essere un argomento».

La giustizia interviene quando il fatto è ormai accaduto e si cerca di punire il presunto autore. Ma la necessità contingente della società è intervenire a monte. Come? «Ben vengano corsi di educazione nelle scuole, purché fatti da persone qualificate. Così come di figure qualificate abbiamo bisogno tra i magistrati e nella polizia giudiziaria. Però è interessante leggere i risultati dei centri per uomini maltrattanti. Chi si è sottoposto a un percorso racconta che ne è uscito diverso: lo scatto di rabbia c’è ancora ma non sfocia in violenza e aggressività verso la donna. L’importante è che sia un percorso intrapreso con convinzione e non solo per ottenere i benefici concessi dal Codice Rosso».

E poi un plauso alle iniziative di sensibilizzazione portate avanti dagli uomini, come ad esempio il corteo delle scarpe rosse: «Purtroppo sono ancora poche, ma mi rendo conto che non è sempre facile partecipare e invece gli uomini devono essere accanto alle donne in questa battaglia».

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