L’intelligenza artificiale spiegata alle ragazze: «Un camp contro i pregiudizi»

La professoressa Carbonaro (Unibo) è la referente di un corso introduttivo riservato alle studentesse delle scuole superiori

Braccia

“Intelligenza artificiale per ragazze digitali” è il titolo del camp estivo organizzato dal 2018, ogni anno a settembre, dal dipartimento di Informatica dell’università di Bologna nelle sue quattro sedi in Romagna (Cesena, Forlì, Ravenna, Rimini, in totale 125 posti). Il corso di 40 ore, gratuito per le partecipanti grazie al contributo economico della Regione, è riservato a studentesse che hanno concluso il terzo o quarto anno di scuola superiore, ma non richiede alcuna competenza pregressa (la prossima edizione sarà dal 2 al 13 settembre, a Ravenna a Palazzo Corradini in via Mariani, iscrizioni a questo indirizzo internet: www.serinar.unibo.it/ragazze-digitali-2024).

Antonella CarbonaroLa professoressa Antonella Carbonaro, docente al corso di laurea di Cesena, è la referente del camp. «Prima della nostra iniziativa c’era qualcosa di simile a Modena. Poi il nostro progetto ha avuto apprezzamenti dall’Unione europea, che l’ha inserito in un report come attività che favoriva la conoscenza informatica, e l’Emilia-Romagna ha deciso di finanziarlo e dall’anno scorso è presente in tutte le province della regione».

L’accesso riservato alle studentesse è una scelta dettata dai numeri che spiega la stessa Carbonaro: «La componente femminile è quasi assente da alcuni percorsi di laurea: non si va oltre il 15 percento delle iscrizioni ai corsi Stem, cioè quelli nelle aree scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Ma spesso è un risultato di un pregiudizio, perché molte volte le ragazze non conoscono le possibili applicazioni di questi studi. E poi si ripercuote sul mondo del lavoro. E in ogni caso oggi è necessario maneggiare una base di informatica anche se non serve per il lavoro, ma per consultare il fascicolo elettronico e prenotare una visita».

In cattedra salgono neo laureati in informatica e ai partecipanti viene rilasciato un attestato di partecipazione che può essere incluso nel curriculum vitae e da alcune scuole è riconosciuto come attività extra scolastiche che integrano il percorso di studi in aula.

Dalla prima edizione del camp sono passati sei anni, un lasso di tempo che in informatica è enorme: «Ogni anno dobbiamo aggiornare i temi perché le cose evolvono continuamente. Faccio un esempio: oggi un servizio chatbot con intelligenza artificiale lo troviamo quando ci rivolgiamo ormai a qualunque attività commerciale, sei anni fa non si sapeva quasi cosa fosse un agente conversazionale».

Qualche centinaio di studentesse incontrate nel corso degli anni rappresentano anche un buon campione per misurare il polso dei giovani in questo tema: «Il feedback più ricorrente è la sorpresa nello scoprire cosa si può fare. Si nota la grande facilità a utilizzare gli strumenti, anche a capire come usare quelli nuovi che non conoscevano. Ma c’è grande difficoltà a capire le strutture su cui poggiano e funzionano questi strumenti, ma è una difficoltà che vediamo anche negli studenti universitari del primo anno».

E la percezione dei rischi quanto è consolidata? «Poco. Se una funzione è consentita dal software si pensa che sia anche sempre lecito utilizzarla. È difficile che si pongano interrogativi sulle implicazioni di una condivisione di foto o di contenuti».

La professoressa Carbonaro si occupa di intelligenza artificiale da molto tempo. Tra i temi di attualità c’è la regolamentazione dell’uso di questi nuovi strumenti: «Sono ottimista. Vedo molti sforzi da parte dell’Ue e del governo italiano che negli ultimi giorni di aprile ha approvato un Ddl anticipando le imminenti disposizioni europee. Per la regolamentazione dei rischi vedo sempre più fondamentale un approccio multi disciplinare: l’ingegnere informatico da solo non basta, servono anche il giurista e l’esperto di dati. Ma anche figure capaci di valutare le ricadute sull’economia sociale: dobbiamo ragionare di quali ricadute avrà uno strumento di intelligenza artificiale sulla comunità, non solo in termini di economia ma più in generale di benessere collettivo».

Su una cosa non ha dubbi la docente: «Non vanno vietati gli strumenti. In questo anche il mondo della scuola deve fare un cambiamento e capire che gli strumenti esistono, quindi anche la didattica deve tenerne conto. È inutile assegnare una ricerca da fare a casa, finirebbe per essere fatta da ChatGpt. Allo studente devo chiedere di elaborare un processo cognitivo per cui non può avere risposte dal bot».

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