martedì
24 Giugno 2025
cervia

Da 72 anni ripara scarpe: «Oggi anche i modelli costosi hanno materiali scadenti»

Questo lavoro ha iniziato a farlo nel 1952, quando aveva appena 13 anni. E ora che ha superato gli 85, è arrivato per lui il momento del ritiro

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Battigaglia«Venga a prenderle entro la prossima settimana, perché poi Marcello chiude». Sembra una frase comune, in un periodo in cui molti negozi si preparano ad abbassare le serrande per qualche giorno di ferie. Ma in questo caso non lo è, perché la chiusura è per sempre e soprattutto perché a pronunciarla, mentre ritira un paio di scarpe da riparare, è un punto di riferimento per un’intera città. Marcello Battigaglia è conosciuto da tutti a Cervia come “il calzolaio Marcello”, come recita la piccola insegna all’ingresso della sua bottega in Borgo Saffi, sul retro delle storiche case dei salinari, dove esercita questo mestiere dal 1981.

Ma questo lavoro ha iniziato a farlo trent’anni prima, nel 1952, quando aveva appena 13 anni. E ora che ha superato gli 85, è arrivato per lui il momento del ritiro. «Ho appena subito tre operazioni e inizio a essere stanco», racconta. «Ma non smetterò di lavorare, anzi spero di poter accontentare i clienti ancora per qualche anno. Però mi sposterò a casa, tanto hanno tutti il mio numero di telefono».

Il negozio ha chiuso il 31 luglio e dopo qualche settimana di meritato riposo, inizierà il trasloco di tutti gli attrezzi e gli scaffali. «Non riuscirei mai a smettere, conto di tornare operativo entro la fine di settembre», dice Battigaglia. «La scorsa primavera sono rimasto sotto i ferri per tre ore e non ho fatto altro che pensare alle scarpe rimaste qui in bottega da finire».
Marcello ha fatto questo mestiere per una vita intera, seguendo la tradizione di suo padre, suo nonno e suo bisnonno. Ora il passaggio di consegne si interrompe: «Mio figlio è ingegnere elettronico e solo uno dei miei quattro fratelli ha fatto il calzolaio come me. Entrambi non abbiamo avuto eredi. Avrei tanto voluto trovarlo, ma è stato impossibile. Gli introiti della mia attività sono diventati molto bassi e se avessi assunto un allievo, non avrei avuto abbastanza per me. Lo Stato avrebbe dovuto trovare il modo di favorire la trasmissione di questi mestieri in via di estinzione».

La famiglia Battigaglia è originaria di Isola Capo Rizzuto, dove è nato anche Marcello, come è facile capire dall’accento calabrese che non è scomparso, nonostante abbia lasciato la sua terra natia quando era appena ventenne. «Al sud si faceva la fame, perciò nel 1958 mi sono trasferito a Milano. Ho avuto una bottega per più di vent’anni nel quartiere di Quarto Oggiaro, e lì sono arrivato all’apice del successo. I clienti erano tanti e benestanti».
A quei tempi il lavoro riguardava soprattutto la creazione di scarpe su misura, ma con il predominio della produzione industriale che ha affossato gli artigiani, Marcello ha iniziato a concentrarsi sulla riparazione di calzature, cinture e altri oggetti di pelle. Soprattutto quando si è spostato in riviera. «Una ricca cliente romagnola mi parlò bene di questa terra e provò a vendermi la sua casa a Cesenatico. La trattativa non andò a buon fine, ma decisi comunque di trasferirmi qui. A Milano sono dovuto andare per sopravvivere, mentre la Romagna è stata una scelta. Grazie ai risparmi ho potuto acquistare un ettaro di terreno e una bottega a Cervia, dove mi sono trasferito nel 1981».

Battigaglia lavora con gli stessi macchinari che utilizzava da giovane. «Arrivano dalla Calabria e li ho sempre portati con me. Sono dei cimeli, li ho più volte riparati da solo e funzionano ancora alla perfezione. Ma rispondono solo ai miei comandi», dice scherzando.
In città tutti conoscono il suo talento nel riuscire anche nelle riparazioni più difficili, l’antica calligrafia con cui annota il nome dei clienti, il suo parlare di sé in terza persona, la memoria con cui estrae le scarpe riparate non appena il loro proprietario arriva a ritirarle. «È un mito, un artista», dice una signora entrando nel negozio, quando vede il calzolaio in posa per la foto. Alle sue spalle ci sono centinaia di paia di scarpe. «Alcune sono qui da anni», sbotta. «Le persone si dimenticano di venire a prenderle, nonostante abbia sempre fatto pagare in anticipo». La regola è riportata anche nel cartello stampato al suo fianco, l’unico elemento di origine digitale in questo luogo d’altri tempi. Ma cosa ne farà di tutte le scarpe rimaste? «Le regalerò a chi interessano oppure le darò in beneficienza», risponde il calzolaio.

La bottega testimonia un mondo che non c’è più, quando le scarpe rotte si riparavano anziché buttarle. «Oggi, invece, si compra un paio nuovo anche se si strappa un laccio», dice scherzando, ma non troppo. La fast fashion ci ha abituati così, a scapito della qualità e della durata. «Ma non è una questione di denaro», conclude il calzolaio. «Spesso i clienti mi portano da riparare delle scarpe molto costose, a cui si è scollata la suola dopo il primo utilizzo. Quelle di oggi non si possono nemmeno chiamare scarpe: mentre una volta erano fatte tutte di cuoio e duravano una vita, oggi la pelle è solo uno strato superficiale, mentre sotto c’è la plastica. Per questo le calzature si distruggono dopo pochi anni. Anzi, talvolta iniziano a sbriciolarsi quando sono ancora nella scatola. In questi anni ho visto i peggiori difetti della produzione industriale».

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