Sul cruscotto della Toyota Yaris del 2003 ribattezzata “la Fogna” si è accesa la spia dell’avaria motore il 23 agosto, giorno dell’arrivo al traguardo: 14mila km in 42 giorni, da Ravenna a Oskemen, città di 300mila abitanti Kazakistan e traguardo del Mongol Rally 2024. Missione compiuta per i tre ravennati che hanno preso parte alla corsa non competitiva ideata da una società inglese per raccogliere fondi a scopo benefico. Non vinceva chi arrivava per primo, ma chi arrivava. Ce l’ha fatta la metà dei circa 50 equipaggi che hanno messo in moto alla partenza ufficiale di Praga il 14 luglio scorso. I tre “Topi di fogna”, soprannome scelto prendendo spunto dal film Rat Race, rientreranno in Italia in aereo da Almaty il 30 agosto.
«Quella spia che si accesa è sembrato un segnale evidente del limite raggiunto dall’auto – racconta Massimiliano Farina che sta viaggiando con Antonio Capone e Luca Senni, tutti trentenni –. Abbiamo dovuto portarla da un meccanico per fare un altro migliaio di km per raggiungere Almaty da dove l’auto verrà spedita a Tallin in Estonia. Arriverà là fra un mese e penseremo come andarla a riprendere: ci siamo affezionati dopo questo viaggio e poi è piena di scritte e dediche ci hanno lasciato sulla carrozzeria tante persone incontrate sul percorso attraverso 15 Stati».
Il 24 agosto i tre della Yaris non erano gli unici ravennati al party promosso dagli organizzatori con i partecipanti arrivati al traguardo. «Accanto all’auto parcheggiata ci siamo trovati una coppia, Gilberto e Natalia, lui di Punta Marina e lei di Oskemen». Carramba, che sorpresa!, direbbe qualcuno. «Vivono a Ravenna, si sono conosciuti quando lui lavorava in Kazakistan e tutti gli anni in agosto ci tornano in vacanza a trovare la famiglia di lei. Hanno saputo del nostro viaggio e ci hanno trovato con il tracciamento gps di tutte le auto sul sito del Rally. Sono venuti apposta a salutarci e offrirci un pranzo, sono stati veramente gentilissimi».
Tra i luoghi simbolici del viaggio vanno citati i luna park di memoria sovietica: «In quasi ogni città ci sono giostre e attrazioni nei parchi pubblici. È una cosa che ritorna spesso, c’è proprio una passione per queste attrazioni dentro alle città. Non abbiamo potuto fare a meno di salire sulle montagne russe e sul bruco mela».
Il diario di bordo dell’ultima fetta di viaggio (qui le puntate precedenti: uno, due e tre) si è arricchito di un paio di pernottamenti da ricordare. Quello nell’albergo di Ayagoz con il sottofondo delle zampette di topi nel controsoffitto della camera. Ma soprattutto quello in tenda accanto a un fiume, con una cena a base di fagioli cotti sul fuoco acceso tra i sassi. Un pizzico di wild in più per dare pepe al viaggio? No, una soluzione di ripiego dopo aver sbagliato strada seguendo il navigatore. «Eravamo diretti verso la capitale Biskek e secondo il racconto di tante persone dovevano essere strade asfaltate dopo le mulattiere del Kirghizistan. Invece ci siamo trovati in un sentiero. A un certo punto dei pastori a cavallo, dei cowboy kazaki che conducevano un gregge di pecore, ci hanno spiegato che dovevamo tornare indietro. Ormai era troppo tardi per farla in auto prima del buio e non c’è stata altra soluzione che montare le tende». Vi starete chiedendo come sia avvenuto lo scambio comunicativo tra pastori e viaggiatori. «A gesti siamo riusciti a farci capire».
Deve essere stata particolarmente coinvolgente anche la conversazione con un’anziana al bazar di Ayagoz. In quel caso è venuta in soccorso la musica italiana: «Noi non parliamo una parola di russo o di kazako e lei continuava a ripeterci “totocutugno, totocutugno”. In quel bazar ci siamo sentiti dei vip, ci hanno fermato tutti per farsi foto e salutarci».