lunedì
16 Giugno 2025
Cambiamento Climatico

L’Adriatico si sta “tropicalizzando”. E non è una buona notizia

La temperatura superficiale dell’acqua nei primi venti giorni di agosto è stata tra 29 e 30 gradi e il mare si sta popolando di specie aliene, con problemi invece per mitili, anemoni e spugne

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Granchio

Sono passati i tempi in cui un tuffo in mare serviva a rinfrescarsi dalla calura estiva. Quest’estate, immergersi nelle acque dell’Adriatico era un’esperienza simile a una nuotata nel brodo caldo, con tanto di banchi di mucillagine a evocare le chiazze oleose che galleggiano tra i cappelletti della nonna. D’altronde i primi pescatori che avvistarono questa sostanza nel 1700 la battezzarono “grasso” o “unto di mare”.
In base alle rilevazioni della boa ondametrica Nausicaa di Arpae (la più vicina a Ravenna, situata al largo di Cesenatico), la temperatura superficiale dell’acqua nei primi venti giorni di agosto è sempre stata tra 29 e 30°C. Secondo i dati del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente sulla temperatura del mare Adriatico, dal 1961 a oggi la media annuale è aumentata di quasi 2°C. I fan delle acque termali hanno trovato il tepore gradevole, tuttavia si tratta di una delle preoccupanti conseguenze del riscaldamento globale di causa antropica. Oltre alla mucillagine – che come abbiamo spiegato nell’Oblò di luglio, ha proliferato anche a causa della temperatura elevata dell’acqua – chi vive sui lidi ravennati avrà notato che la brezza pomeridiana dal mare non aveva la stessa freschezza del passato.

Ma oltre che sul nostro benessere, l’anomalia termica ha molte altre ripercussioni sull’ambiente. Gli scienziati affermano che l’Adriatico si sta “tropicalizzando”, ovvero sta raggiungendo condizioni simili a quelle dei mari più caldi. La parola ricorda i meravigliosi fondali di Cuba o dell’Indonesia, ma in realtà non c’è nulla di positivo. «L’Adriatico sta diventando tropicale come le Maldive, ma senza gli stessi colori», si legge in un recente articolo del Guardian dedicato ai problemi dei pescatori locali. Il fenomeno è più accentuato nelle nostre acque poiché si tratta di un mare basso e chiuso, stretto tra due coste vicine e con fondali che non superano i 50 metri di profondità. Per questo, le escursioni termiche sono più pronunciate rispetto ad altri mari e anche in condizioni di normalità, vanno dai 5 gradi d’inverno ai 25 d’estate. Ma col riscaldamento globale, si sono ormai raggiunti i 30°C stabili. Il problema non è nel singolo giorno di anomalia, bensì nella condizione persistente che ha caratterizzato questa bollente stagione, provocando problemi soprattutto alle specie non mobili come mitili, anemoni e spugne. Inoltre l’Adriatico si sta popolando di specie aliene che gradiscono il caldo, e che fino a pochi anni fa non avevano mai frequentato le acque al largo della costa romagnola. L’esemplare più famoso è il granchio blu, salito alla ribalta delle cronache la scorsa estate per avere compromesso gli allevamenti locali di vongole; ma Ispra ne ha contate altre 90, di cui 9 potenzialmente nocive. Il numero rende l’Adriatico il mare italiano con il maggiore numero di specie non indigene, in particolare nella sua parte nord.

Tra le più nocive c’è il pesce palla maculato, un genere tropicale tra i più invasivi del Mediterraneo. Per l’elevato contenuto di tetrodotossina, è altamente tossico al consumo e ha già causato severe intossicazioni.

Da segnalare anche il pesce coniglio striato, originario degli oceani Indiano e Pacifico e ormai abitante fisso dell’Adriatico, che si riproduce molto rapidamente e compromette la fauna marina. Insieme a loro ci sono vegetali come la Caulerpa cylindracea, un’alga verde che può svilupparsi in grandi abbondanze coprendo il fondale, con severi impatti sugli organismi che lo abitano. Per eliminarla non si può consumare, poiché produce troppe sostanze tossiche. Altre specie invasive sono invece buone da mangiare, come il pesce  flauto dai puntini blu e il pesce pappagallo mediterraneo, molto amato dagli antichi romani e oggi consumato come prelibatezza nelle isole Canarie e Azzorre. In Italia non c’è ancora interesse commerciale, ma con la tropicalizzazione del mare le cose potrebbero cambiare, come avvenuto col granchio blu che ha invaso anche i banchi delle pescherie.

Ma come arrivano queste creature acquatiche? Le strade sono le più svariate: alcune vengono trasportate dalle acque di zavorra delle navi, tramite l’industria dell’acquacoltura o come animali da acquario poi abbandonati in mare; altre sono specie tropicali che hanno attraversato da sé il canale di Suez; infine ci sono specie atlantiche che entrano dallo stretto di Gibilterra e specie native del Mediterraneo che stanno espandendo la loro distribuzione geografica verso nord, grazie all’innalzamento della temperatura.

Comunque arrivino, l’esito è sempre lo stesso: le specie aliene di origine tropicale trovano nell’Adriatico un mare più accogliente rispetto al passato e decidono di stabilirsi qui.

Un altro effetto del riscaldamento del mare lo vediamo sulla spiaggia, con l’aumento dei nidi di tartarughe marine in corso da alcuni anni. Fino a pochi anni fa le Caretta caretta deponevano le uova solo nel Mediterraneo orientale (Libia, Grecia, Turchia e Cipro), mentre oggi sono una presenza fissa in Italia, Francia e Spagna, anche in zone insolitamente a nord come l’alto Adriatico. Lo scorso anno è stato rinvenuto a Milano Marittima il primo nido di Caretta in Emilia-Romagna. Al caos del Papeete, mamma tartaruga ha preferito la spiaggia libera davanti alla ex Colonia Varese e su 91 uova deposte, sono nati 81 piccoli che hanno tutti raggiunto il mare. Trattandosi di una specie in via di estinzione, si tratta in questo caso di un evento positivo, ma anche di una delle contraddizioni del riscaldamento globale: alcuni animali ne traggono vantaggio e proliferano, altri invece rischiano la scomparsa.

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