Ostriche e vermi di mare per salvare la spiaggia dall’erosione Seguici su Telegram e resta aggiornato Al largo della foce del Bevano un progetto innovativo di difesa naturale della costa. Nel solco di una lunga storia… Oltre a essere una prelibatezza gastronomica, le ostriche possono difendere la spiaggia dall’erosione costiera. Lo potrà dimostrare un innovativo progetto attuato al largo di Ravenna, in prossimità della foce del Bevano, a circa 150 metri dalla battigia. Si chiama NatuReef, è finanziato dalla Commissione europea ed è coordinato dall’Università di Bologna, col coinvolgimento di vari altri enti. Insieme alle ostriche, NatuReef consentirà l’incubazione delle sabellarie, delle specie di vermi marini che cementano la sabbia con il loro muco per costruire delle strutture simili agli alveari, dentro cui si rifugiano. Le due creature acquatiche erigeranno delle barriere che potrebbero attenuare l’azione delle onde e quindi l’accorciamento della spiaggia, piuttosto accentuato in questa zona. Il condizionale è d’obbligo, vista la natura sperimentale del progetto, ma le premesse sono fiduciose. NatuReef avrà un costo di circa un milione di euro, di cui 650 mila finanziati dalla Commissione Ue e il resto dal Comune di Ravenna. I lavori per l’installazione della struttura, che sarà posta in senso nord-sud per una lunghezza di 200 metri e una larghezza di 50, inizieranno il prossimo autunno. Ci vorrà ovviamente qualche anno affinché i gusci delle ostriche e le tane delle sabellarie inizino a cementificarsi e innalzarsi a sufficienza. Il sopralluogo della Commissione europea alla foce del Bevano per il progetto NatuReef Il progetto di questa barriera è un raro esempio di ingegneria naturale per la difesa della costa. Sul litorale ravennate – e in generale lungo tutto l’Adriatico – siamo abituati alla presenza delle scogliere frangiflutti, che nel giro di pochi decenni sono diventate l’opera artificiale dominante per contrastare l’erosione costiera, pur essendo molto impattanti e costose. Al contrario, le opere di ingegneria naturale non hanno effetti collaterali, anzi rappresentano un beneficio per l’ambiente. Nel caso del progetto NatuReef la struttura, oltre a difendere la spiaggia, nel tempo potrà diventare un habitat per altre specie marine come tartarughe, cavallucci marini, spugne e ricci di mare, contribuendo così al ripristino della biodiversità. Oggi questo genere di tecnica è definito “green engineering”, ma ha una lunga storia alle spalle. Quando gli esseri umani non disponevano di mezzi e tecnologie per costruire le scogliere frangiflutti (e quando la spiaggia non aveva nessun valore economico né turistico), per difendersi dalle mareggiate piantavano delle file di pali di legno lungo la spiaggia. Si trattava di strutture rudimentali ma efficaci, fabbricate dagli agricoltori per difendere i loro campi dalle ingressioni marine. Essendo composte da materiali organici, queste barriere non hanno lasciato reperti, ma le prime testimonianze della loro esistenza risalgono al sesto secolo a Venezia. Sulla costa tedesca si preferivano invece i muri di argilla, di cui si ha prova a partire dall’undicesimo secolo; mentre in Cina esistono memorie di dighe realizzate con terra, pietre e canne di bambù a partire dall’anno 713. A Venezia le strutture di difesa dalle mareggiate erano molto diffuse, e non c’è da stupirsi, vista la conformazione della città lagunare e il suo rapporto con l’acqua. È proprio qui che le barriere hanno iniziato a evolversi: nelle carte del 1500 sono ritratte molte file parallele di pali riempite di sassi, che rappresentano le prime forme dei moderni pennelli anti-erosione. Alcuni documenti storici ritraggono l’esistenza di strutture simili in Belgio e in Perù già nel periodo rinascimentale, ma non esistono certezze su chi abbia inventato e diffuso tali tecniche nel pianeta. I pali in legno sulla spiaggia di Milano Marittima Ancora oggi i pali in legno vengono utilizzati in alcune spiagge italiane, sia per difenderle dall’erosione, sia per favorire il ripristino delle dune naturali. Un esempio si trova anche nel litorale ravennate, sulla spiaggia di Milano Marittima nord, vicino all’ex colonia Varese. Si tratta di una tecnica efficace ed economica, il cui principale effetto collaterale è la deperibilità del materiale: il legno a contatto con l’acqua marcisce e deve essere periodicamente sostituito. È anche per questo che, nella modernità, abbiamo iniziato a preferire le scogliere. Tuttavia, come abbiamo spiegato in un precedente articolo di questa rubrica, negli anni queste file di massi al largo hanno dimostrato la loro inadeguatezza. Infatti le scogliere risolvono l’erosione nel tratto di spiaggia davanti a cui sono collocate, ma spesso lo innescano nella spiaggia adiacente, alla quale rubano la sabbia portata dalle correnti. Inoltre le barriere frangiflutti hanno un pesante impatto visivo e impediscono il ricircolo dell’acqua, trasformando lo specchio di mare in una laguna stagnante e fangosa. Non da ultimo, le scogliere possono provocare le “rip current”, le pericolose correnti che trascinano al largo i nuotatori meno esperti. Grazie alla comprensione degli effetti negativi delle scogliere, negli ultimi anni sono aumentati i progetti e i fondi per incentivare la difesa naturale delle spiagge, come nel caso del NatuReef. Non si tratta più delle rudimentali barriere costruite dai nostri avi, bensì di strutture più resistenti, che si avvalgono delle moderne tecniche e tecnologie, ma che comunque hanno come principio di base il rispetto degli equilibri naturali. Che è qualcosa che nell’ultimo mezzo secolo ci siamo dimenticati, soprattutto sulla spiaggia. Total0 0 0 0 Forse può interessarti... L’erosione costiera nel Ravennate: quanto ci costa e come ci difendiamo Pasquetta, allerta meteo gialla per vento nel Ravennate Sciopero Cgil-Uil, alta adesione nel territorio ravennate Seguici su Telegram e resta aggiornato