L’erosione costiera nel Ravennate: quanto ci costa e come ci difendiamo

Tra le cause, la subsidenza. Tra le strategie, le scogliere frangiflutti (con effetti controproducenti)

Ripascimento

Scogliere frangiflutti, lavori di ripascimento e ruspe che innalzano dune di sabbia d’inverno sono diventati una costante della costa romagnola; delle presenze a cui siamo talmente abituati, da non farci quasi nemmeno più caso. In realtà si tratta di opere artificiali entrate a far parte del nostro paesaggio da pochi decenni, per difenderci da un fenomeno che altrimenti porterebbe alla rapida scomparsa di molti tratti di spiaggia fra Ravenna e Cervia e non solo: quello dell’erosione costiera.

La spiaggia è un ambiente in costante mutamento, che si allunga o si accorcia a seconda di un’ampia serie di variabili legate al minore o maggiore apporto di sedimenti. Alcune di queste hanno origini naturali, come le correnti del mare, l’azione del vento e l’arrivo di detriti dai fiumi, ma la maggior parte è di causa antropica: l’innalzamento del livello del mare, la cementificazione degli alvei dei fiumi, la pulizia meccanica della spiaggia e la costruzione di porti sono tra le cause di responsabilità umana che hanno provocato fenomeni di erosione su circa la metà delle coste italiane. Nella provincia di Ravenna, i tratti più colpiti da questo fenomeno sono le spiagge di Marina Romea nord, Punta Marina, Lido Adriano, Lido di Dante, Lido di Savio e Milano Marittima nord.

Tra le cause più incisive dell’erosione costiera nel litorale ravennate c’è la subsidenza del suolo, che Arpae stima in circa 10 millimetri all’anno. Questa è generata da una molteplicità di fattori legati al peso dei grandi edifici di cemento costruiti lungo la fascia costiera e all’estrazione di acqua dolce e di gas metano dal sottosuolo, che determinano l’abbassamento del terreno: sommando questo fenomeno al mare in innalzamento per lo scioglimento dei ghiacciai, a sua volta dovuto al riscaldamento globale di causa antropica, abbiamo una micidiale combinazione che sta determinando la rapida scomparsa di molti tratti di spiaggia. Per ripristinarne la lunghezza, i Comuni e la Regione investono centinaia di migliaia di euro ogni anno in lavori di ripascimento, che tuttavia sono interventi molto controversi: perché vanno a eliminare il sintomo ma non la causa, perché si tratta di consistenti quantità di sabbia movimentate per farle nuovamente divorare dal mare nel giro di pochi anni, e perché si spendono molti soldi pubblici per salvaguardare solo una fascia di popolazione e di attività, quelle legate alla spiaggia e al turismo balneare.

Nell’ultimo triennio, tra i lidi di Ravenna e Cervia la Regione ha speso 350.000 euro nel 2021 per dei ripascimenti ordinari e circa 5 dei 22 milioni disposti per i ripascimenti straordinari del “Progettone 4” avvenuti nel 2022 lungo tutta la costa romagnola, a cui si sommano i 210.000 euro stanziati lo stesso anno dal Comune di Ravenna per il ripascimento di Lido Adriano.

Queste cifre sono in linea col resto d’Italia, dove secondo Legambiente si spendono circa 100 milioni di euro all’anno per opere di difesa costiera. D’altronde, nel nostro sistema, l’entità di un’azione di difesa dipende dal valore economico di ciò che si difende: perciò è diventato del tutto normale che la spiaggia venga tutelata non in quanto ambiente naturale da salvaguardare, bensì come risorsa che genera più profitto quanto maggiori sono gli ombrelloni che vi possono essere piantati. E sappiamo come in riviera romagnola l’economia del turismo balneare sia considerata troppo importante per permettere che le spiagge si accorcino.

Una strategia più strutturale di difesa all’erosione costiera è quella delle scogliere frangiflutti, che lungo la costa di Ravenna si trovano davanti a quasi tutti i lidi sud, da Lido di Savio a Punta Marina, e a nord a Casalborsetti. Tuttavia, anche queste opere presentano forti criticità: la funzione delle scogliere è infatti quella di trattenere la sabbia portata dalle correnti marine, in modo da far riallungare la spiaggia davanti a cui si trovano; ma la sabbia fermata in quel tratto viene “rubata” alla spiaggia adiacente, provocando l’erosione dove altrimenti non sarebbe avvenuta. Nonostante questo effetto controproducente sia noto ormai da anni, il nostro è l’unico paese al mondo a presentare una quantità così elevata di scogliere, 1.300 chilometri su un totale di 7.500 di coste, mentre nel resto del mondo sono quasi inesistenti perché ritenute obsolete e dannose. In Italia sono diffuse soprattutto lungo il versante adriatico, e non a caso. Viene infatti da pensare che, se lungo le nostre coste il sole tramontasse sul mare anziché sorgervi, l’esigenza estetica di far scattare foto da cartolina ai vacanzieri avrebbe forse prevalso rispetto al circolo vizioso delle scogliere frangiflutti.

Contro l’erosione costiera, insomma, non esistono rimedi artificiali definitivi e il fenomeno sta purtroppo diventando via via più grave, tanto che la sabbia per i ripascimenti è una risorsa sempre più scarsa, richiesta e costosa, già oggi al centro di contrabbandi illegali e conflitti in alcune aree del mondo. Oltre a ciò, c’è da considerare che negli anni a venire non potremo più permetterci di spendere una quantità sempre più elevata di soldi pubblici in ripascimenti e barriere contro il costante innalzamento del mare, perciò saremo costretti a decidere quali coste salvare e quali invece sacrificare. Si spera non solo in base al loro valore economico, ma anche a quello ambientale: anche perché l’unica difesa efficace contro le onde che divorano la sabbia è quella naturale, rappresentata dalle dune costiere ancora superstiti in alcuni tratti della costa ravennate.

Della loro importanza parleremo nel prossimo articolo.

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