lunedì
16 Giugno 2025
l'emergenza

Alluvioni annuali e ricostruzioni, la nuova “normalità” del Ravennate

Scampato il rischio di un’altra diffusa inondazione, nel territorio si fanno i conti con la gestione delle precipitazioni sempre più intense e frequenti. Ma i lavori in corso non bastano

Condividi
Brisighella Lamone
Campi allagati a Brisighella (14 marzo)

Nel Ravennate si è sfiorata un’altra grande alluvione. Tra il 13 e il 14 marzo due intensi temporali hanno messo a rischio la tenuta degli argini, in particolare del fiume Lamone, e provocato allagamenti e danni a Brisighella. La quantità media di pioggia caduta è stata inferiore rispetto agli eventi del 2023 e 2024 (50-150 mm, contro i 250-350 dello scorso anno) e solo per questo si è evitato il peggio. Ma il territorio resta molto fragile e compromesso dai precedenti eventi, e ogni volta che piove tanto, i pericoli e le criticità sono enormi. Sono le conseguenze del riscaldamento globale di causa antropica, che in Romagna colpiscono più che altrove, e che i lavori della Regione non possono bastare a contenere.

Precipitazioni Medie Randi
La tabella elaborata da Pierluigi Randi, presidente dell’associazione meteorologi professionisti

La cronaca: cosa è accaduto
L’evento temporalesco era atteso. La Protezione civile ha diramato l’allerta rossa per venerdì e sabato, e in tutta la provincia di Ravenna è stata ordinata la chiusura delle scuole, al fine di diminuire gli spostamenti. Le precipitazioni si sono accanite sulla fascia appenninica e hanno ingrossato i fiumi, facendo temere per l’arrivo delle piene in pianura. Tutti i sindaci del territorio coinvolto hanno disposto l’evacuazione delle case più a rischio, l’allestimento dei presidi di accoglienza e la chiusura delle strade vicino ai fiumi. Nel primo pomeriggio di venerdì il Santerno e il Lamone hanno superato la soglia rossa; il Senio, il Marzeno e il Ronco quella arancione. Ma gli argini hanno per lo più tenuto. Gli unici danni sono avvenuti a Brisighella, dove il Lamone ha allagato i campi e le case di circa 50 famiglie.

Il dibattito
Una nota della Regione Emilia-Romagna ha erroneamente paragonato le precipitazioni della settimana scorsa con quelle delle precedenti alluvioni, affermando che «la situazione è rimasta sotto controllo anche grazie ai lavori effettuati negli ultimi due anni». Ma la realtà è più complessa. Secondo i dati Arpae, le ultime precipitazioni sono state meno della metà rispetto alle alluvioni del 2023 e 2024. «Non è vero che questa volta non ci siamo allagati grazie ai lavori», ha commentato lo scienziato ambientale ravennate Antonio Lazzari. «I dati ci dicono altro: non ci siamo allagati solo perché è caduta meno acqua». Ad ammetterlo è anche il presidente della Regione Michele De Pascale: «Gli interventi fatti negli ultimi due anni sono stati molto importanti, ma non sono ancora sufficienti a fronteggiare questa nuova normalità di eventi di pioggia violenti e frequenti. Se avesse piovuto ancora di più, difficilmente saremmo riusciti a contenere le acque nell’area di pianura».

La situazione, sottolinea Lazzari, è di emergenza costante: «Il nostro territorio non è in grado di accogliere grandi quantitativi di pioggia. L’aumento della temperatura è direttamente proporzionale alla quantità di acqua che rimane in sospensione nell’atmosfera. Oggi siamo solo a marzo, ma purtroppo nei prossimi mesi potremmo aspettarci molto peggio di ciò che è accaduto negli anni precedenti. E ogni anno sarà sempre più grave. Prima ce ne rendiamo conto e smettiamo di blaterare sui social, prima potremo trovare delle soluzioni, che sono molto complesse e difficili». Ma quanti e quali sono i lavori in corso? La Regione ha pubblicato un database che elenca oltre mille interventi, di cui 395 conclusi e il resto da avviare o terminare. Ma nella lista sono state inserite sia le opere urgenti di ricostruzione e ripristino, sia quelle di ordinaria manutenzione, che si effettuano a prescindere dalle emergenze. Inoltre, tutto ciò non può bastare a mettere in sicurezza il territorio.

 

Gli interventi: come evitare che accada di nuovo
La crisi climatica è un fenomeno globale con conseguenze locali. Con l’aumento delle temperature dovuto alle emissioni di anidride carbonica, l’acqua evapora in maggiore quantità e si accumula nell’atmosfera, provocando precipitazioni sempre più intense e violente. Questo accade soprattutto nell’alto Adriatico, che essendo un mare basso, si riscalda più velocemente. Ma c’è un altro motivo per cui la Romagna è ritenuta un “hotspot climatico”, ovvero un luogo dove le conseguenze del riscaldamento globale sono più gravi che altrove: si tratta dell’eccessiva antropizzazione del territorio, favorita dalle politiche degli ultimi decenni. Il cemento, l’asfalto e la riduzione del verde contribuiscono ad aggravare le conseguenze delle forti piogge, poiché il suolo è più impermeabile e meno in grado di assorbire l’acqua. A ciò si aggiungono la deviazione e la costrizione dei fiumi in argini artificiali, che hanno eliminato lo spazio libero nel quale l’acqua poteva uscire in caso di piene. Peraltro, ogni piena stressa gli argini e quindi li rende più fragili e meno pronti a contenere l’evento successivo. In un territorio pianeggiante come l’Emilia- Romagna, un’ex palude con molte aree sotto il livello del mare, colpite dalla subsidenza e tenute all’asciutto da bonifiche e idrovore, tutto ciò è un mix esplosivo di cui oggi stiamo vedendo solo le prime conseguenze.

La situazione di emergenza è ormai costante. «È vietato utilizzare le parole eccezionale e straordinario», ha detto De Pascale al Post. «Se dopo una pioggia abbondante il livello sale fino a dieci metri, bisogna dare l’allerta. È come vivere in una zona sismica. Non è bello affrontare questo senso di precarietà, però non possiamo mentire alle persone». La consapevolezza sembra diversa rispetto a quella di maggio 2023, quando l’allora sindaco di Ravenna additava le tane delle nutrie (e gli ambientalisti che le difendevano) tra le cause delle esondazioni.

Mentre la duplice alluvione del 2023 ha rappresentato un trauma in un territorio ancora in gran parte inconsapevole, le repliche di settembre e ottobre 2024 sono state uno spartiacque necessario a far capire che questo tipo di evento sarà ricorrente e frequente. Le istituzioni locali sono dunque chiamate a ripensare subito e profondamente la gestione del territorio. Non per evitare altre alluvioni – che sono ormai certe – bensì per limitare i danni e invertire la rotta. L’interruzione delle emissioni inquinanti è una responsabilità delle politiche nazionali e globali, ma a livello regionale e comunale si può impedire altro consumo di suolo, smettere di costruire e rinaturalizzare il territorio. Oltre a ciò, sarà necessario spostare i complessi industriali e residenziali costruiti troppo vicino all’acqua, in zone oggi a elevato rischio di inondazione, e restituire più spazio ai fiumi.

I lavori propagandati da via Aldo Moro potranno cercare di tranquillizzare i cittadini impauriti, ma non bastano ad affrontare la situazione. Dopo l’evento del 2023, la Regione sta lavorando a un “Piano speciale per la ricostruzione post alluvione”. Si tratta di una serie di interventi per ridurre il dissesto idrogeologico, ripristinare o rafforzare le infrastrutture e potenziare la laminazione. Gran parte delle opere riguarda la ricostruzione di argini, strade ed edifici e la difesa attraverso muri e bacini di contenimento. In provincia di Ravenna, secondo il database della Regione, 99 interventi sono stati conclusi (per un totale di oltre 8 miliardi) e altri 205 devono ancora essere avviati o progettati. Tuttavia, il pensiero dietro il piano sembra quello di ripristinare la situazione pre-esistente e difenderla, anziché ripensarla. Nel piano non si parla di decementificare e delocalizzare interi quartieri o città, per dare più spazio ad acqua e piante, come la scienza suggerisce da tempo. Solo nelle aree più esposte alle inondazioni, i cittadini dovranno decidere se seguire il consiglio di traslocare oppure restare a proprio rischio e pericolo.

«Non parliamo di migliaia di abitazioni, ma sicuramente di qualche centinaio su cui agire in tempi rapidi, prevedendo per i cittadini un indennizzo per poter riacquistare una casa nuova», ha detto De Pascale. Tuttavia, le previsioni scientifiche prevedono che ad andare sott’acqua nei prossimi decenni non saranno poche centinaia di case, bensì un’intera regione. Per questo, anziché intervenire in post-emergenza, servirebbero visioni più lungimiranti e ingenti risorse.

Ad oggi il governo ha stanziato 2,5 miliardi per le opere più urgenti in tutta la regione, a cui si aggiungono 375 milioni dal Fondo di solidarietà europea, ma un’operazione di tale portata ha bisogno di molti più soldi – 40 miliardi solo nella provincia di Ravenna – e non è chiaro da dove arriveranno. Il rischio è che non basteranno per tutto, e che si sarà costretti a decidere quali zone salvare e quali sacrificare.

Condividi

Notizie correlate

Contenuti promozionali

DENTRO IL MERCATO IMMOBILIARE

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

La casa di Anne

Il progetto di un'abitazione del centro di Ravenna a cura dello studio di Giovanni Mecozzi

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi