Il primo sottomarino costruito in Italia dopo la seconda guerra mondiale, alla scadenza delle clausole di divieto contenute nel trattato di pace, ha da poco celebrato i vent’anni di ingresso al museo della scienza e della tecnologia di Milano. Nei trent’anni di servizio (1967-1997) un ravennate è stato membro dell’equipaggio. Marco Mascellani, direttore di macchina dal 1990 al 1995: «Venni assegnato al Toti poco prima di compiere 25 anni – ricorda Mascellani – e divenni il più giovane direttore di macchina». Ma non è che il resto dell’equipaggio fosse molto più vecchio: «In totale 33-34 persone, di cui 28 andavano a bordo nelle uscite in mare. Il più giovane aveva 17 anni e il più vecchio 40, il comandante era un trentenne. La permanenza in un sommergibile è piuttosto impegnativa, per questo si tende ad avere un equipaggio giovane».
Il direttore di macchina è il responsabile della piattaforma: «Il sottomarino deve immergersi, ma non affondare, e poi tornare in superficie. E quando è immerso è in una condizione instabile, in equilibrio costante tra la spinta di Archimede che lo porta a galla e il peso che lo manda sul fondo». Mantenere l’assetto è uno dei compiti in capo al direttore di macchina e richiede grande perizia: «Ricordo che c’era un sottoufficiale un po’ robusto e quando si alzava dalla branda a prora per andare in bagno a poppa cambiava l’assetto e serviva una correzione».
In 46 metri di lunghezza e 4,75 di larghezza c’era tutto il necessario per la sopravvivenza: «Lo spazio era diviso in tre parti. A poppa c’erano il bagno, uno per tutto l’equipaggio, e la camera operativa con il periscopio, il timone, il controllo dei siluri, il sonar e la radio. Al centro un semilocale con la cucina e il camerino del comandante. A prora un ambiente che svolgeva diverse funzioni a seconda del momento della giornata, lì si mangiava, si passavano i momenti di riposo con una partita a carte e si dormiva». In gergo si parla di “branda calda”: «Ogni letto era per due persone che si davano il cambio nei turni».
L’elica per il movimento era spinta da un motore elettrico: «Le batterie servivano anche per tutte le attività in immersione perché cos’ erano più silenziose. La ricarica avveniva con un generatore a diesel: si saliva a quota periscopica in modo da avere fuori dall’acqua solo una canna snorkel che aspirava aria per il motore a scoppio e poi si tornava in immersione».
Il sottomarino S-506 venne costruito a Monfalcone dalla Italcantieri a partire dal 1965 e varato nel 1967, progettato con caratteristiche antisottomarino: «Era un battello concepito per sorvegliare il Mediterraneo in tempi di guerra fredda e intercettare i sovietici che si stavano espandendo. La base di appoggio era Augusta, in Sicilia, per essere vicini ai passaggi obbligati delle rotte marine. Per le sue funzioni si pensava potesse restare in mare per missioni di pochi giorni, invece si rivelò più performante del previsto e io stesso ho trascorso fino a 40 giorni in navigazione».
Mascellani prestò servizio a bordo già dopo la caduta del Muro di Berlino, ma non mancarono momenti delicati: «Era frequente che uscissimo in mare con un altro sottomarino italiano per fare addestramento. Una volta in cui il Toti faceva “la preda” ci rendemmo conto che a poca distanza c’era un altro sottomarino di cui non avevamo informazioni e che quindi non avrebbe dovuto essere della Nato. Dopo qualche tempo venimmo invece a sapere che era un sottomarino nucleare americano in sosta».
Il sottomarino Enrico Toti è esposto al museo nazionale di Scienza e Tecnologia di Milano. Da metà luglio è tornato visitabile dal pubblico dopo un intervento di riqualificazione. Portarlo nel capoluogo lombardo, notoriamente non una città di mare, fu una sfida logistica di grande impatto nel 2005. Il viaggio cominciò nel 2001 da Augusta (Siracusa): trainato dal rimorchiatore Polifemo, il sottomarino S-506 raggiunse Chioggia in una ventina di giorni. Risalendo il Po, il battello arrivò al porto fluviale di Cremona e lì rimase per quattro anni. Con la rimozione di alcune parti, venne alleggerito fino a 375 tonnellate totali per essere sollevato dall’acqua e caricato su mega convoglio con 240 ruote, lungo 62 metri e largo cinque che, dopo quattro notti di viaggio alla velocità di 7 chilometri l’ora raggiunse il museo milanese.
Oltre al Toti, altri due sottomarini sono musealizzati in Italia: il Dandolo a Venezia e il Sauro a Genova. Marco Mascellani ha prestato servizio a bordo di tutti e tre: «Quando portai mia figlia a visitarne uno mi disse che allora anche io ero un pezzo da museo». La vita negli abissi è diventa il tema per il romanzo Delfini d’acciaio (ed. Il girasole, 2006) scritto da Mascellani: «L’idea nacque in una conversazione con un vicino di ombrellone che era sorpreso che la Marina italiana avesse dei sottomarini. Scelsi la narrativa perché i saggi tecnici li leggono solo gli addetti ai lavori. La missione descritta nella storia è ovviamente inventata, ma il Toti di cui si parla è proprio quello che ora è a Milano».
Oggi la Marina italiana ha otto sottomarini: quattro della classe Sauro che sono più vecchi dell’età che aveva il Toti quando andò in disarmo e stanno per essere dismessi, e quattro U212 Todaro. «Sono in costruzione quattro nuovi battelli chiamati Nfs che arriveranno tra il 2028 e il 2030 per sostituire i Sauro».