«Ho pensato fosse il momento di fare qualcosa, che sarebbe stato da codardo non esserci, di fronte alla perdurante impassibilità delle istituzioni europee». Così, Carlo Alberto Biasioli, 39enne operatore culturale ravennate, sintetizza i motivi che lo hanno spinto a partecipare – unico dalla nostra provincia, a quanto ci risulta – alla Global Sumud Flotilla, la grande iniziativa umanitaria internazionale che ha l’obiettivo di rompere il blocco navale israeliano per la Striscia di Gaza e rifornire di viveri e medicinali la popolazione palestinese.
«Partecipare è stato piuttosto semplice: ho scritto nei canali ufficiali e sono riuscito a superare un paio di colloqui di selezione, dove gli organizzatori praticamente vogliono verificare cosa ti spinge e il tuo livello di approfondimento sul tema palestinese». Mentre ci parliamo al telefono (l’ultimo contatto è del 10 settembre), Biasioli è ancora in Sicilia in attesa di istruzioni, in procinto di imbarcarsi per Gaza, su una delle navi messe a disposizione dagli organizzatori. «La nostra partenza è legata alla flotta partita da Barcellona: quando prenderanno il mare da Tunisi si saprà che noi partiremo il giorno dopo. Ma qui in Sicilia non è di certo tempo perso: stiamo migliorando le nostre navi, che non sono proprio all’avanguardia, stiamo caricando il materiale, abbiamo creato dei gruppi di lavoro. E poi ci stiamo formando: abbiamo fatto vere e proprie simulazioni di quello che ci potrà aspettare, con anche le fascette elettriche ai polsi. Ci prepariamo per affrontare diversi scenari».
Hai paura?
«Molta, ma non ce la facevo più a voltare la faccia. Se nessuno fa niente io credo che la politica prenderà nota ed esporterà il “metodo Israele” anche altrove».
Eri già un attivista?
«No, non ho mai fatto nulla di simile. Sono un semplice operatore culturale, organizzo rassegne (in particolare, il festival Respira, tra arte e musica, con l’associazione Respira di Nuovo Aps, ndr)».
Cosa pensi vi possa succedere?
«Sappiamo che sono in grado perfino di sparare per affossare le navi. Possono speronarci. Nella migliore delle ipotesi prenderò qualche cazzotto. È probabile che ci prenderanno prigionieri. Dal mio punto di vista, credo di essere un privilegiato, avendo passaporto italiano. Per quanto la premier Meloni abbia disincentivato la partenza, ha anche detto che ci tratterà come tutti gli altri italiani in difficoltà all’estero, credo che avremo un occhio di riguardo, anche perché siamo una trentina dall’Italia. Ma ci sono tanti che partono con noi che sono invece iraniani, turchi, malesi. Ecco, loro dimostrano di avere ancora più coraggio, loro potrebbero fare anche una brutta fine».
Quali sono le sensazioni che stai provando al momento?
«Ce ne sono di belle e di brutte. Queste ultime sono dovute soprattutto alla pressione psicologica che dobbiamo subire. Anche qui in Sicilia ci sono aerei militari che ci controllano, abbiamo visto anche 5 droni sorvolarci contemporaneamente. Ci aspettiamo dei boicottaggi».
Cosa ne pensi degli attacchi esplosivi subiti finora dalle vostre imbarcazioni?
«Credo siano stati dei diversivi, per distrarre l’opinione pubblica internazionale dal fatto che in questi giorni hanno intimato ai palestinesi di abbandonare definitivamente Gaza city».
La sensazione positiva, invece?
«La vicinanza della gente. Ci sono state due manifestazioni anche in Sicilia, con migliaia di persone scese in piazza. A Siracusa, in particolare, due bambini ci hanno consegnato due pacchi di pasta, dicendoci che li avevano comprati con i loro soldi e di portarli ai bambini palestinesi. Ancora mi commuovo a pensarci».
Familiari e amici come hanno preso la tua decisione?
«All’inizio la reazione è stata più che altro di sorpresa, non avendo mai fatto prima niente del genere. La mia compagna, con cui vivo da 15 anni, ha capito: non mi sento da solo, sento l’appoggio dei miei cari. Al momento poi non l’ho detto a molti amici, aspettavo di partire realmente…».