Il sindaco di Bagnacavallo, Matteo Giacomoni, è stato eletto nella primavera del 2024, un anno dopo l’alluvione per la rottura dell’argine del Lamone a Boncellino e pochi mesi prima della rottura del rivale a Traversara. Il 51enne, ex progettista meccanico alla scuderia Toro Rosso di Faenza, arriva al primo anniversario della tragica alluvione con la consapevolezza dei ritardi della pubblica amministrazione ma anche l’ottimismo dettato dai recenti passi avanti.
Giacomoni risponde alla nostra intervista, in un incontro in municipio, affiancato dai colleghi di giunta Caterina Corzani (vicesindaca), Francesco Ravagli (Lavori pubblici) e Maura Zavaglini (Politiche sociali).
Sindaco, a Traversara c’è ancora la zona rossa inaccessibile con i proprietari delle case che non sanno se dovranno demolirle o potranno ristrutturarle. Perché?
«La zona rossa di Traversara è un’area molto ristretta di tutto il territorio comunale che è stato colpito: non dimentichiamo che anche le frazioni di Villanova e Boncellino si sono allagate. La prima cosa da dire è che la ricostruzione passa dalla struttura commissariale e il commissario per le alluvioni del 2024 è ufficialmente in carica solo dal 4 luglio 2025. Il ritardo della nomina è sicuramente una questione che ha pesato».
Le foto sono di Massimo Argnani e sono di pochi giorni fa, un anno dopo l’alluvione
Arrivare a Travesara e trovare un tratto di via Torri a senso unico alternato con semaforo non è una bella immagine.
«La cosa che mi dà più fastidio è proprio il messaggio che dà. Numericamente le case non sono tantissime e i residenti sono pochi e hanno trovato altre sistemazioni, ma meritano risposte. E dobbiamo evitare che passi un messaggio di abbandono, che non fa bene alla ricostruzione della comunità».
Non si potevano accelerare le procedure?
«Siamo di fronte a uno scenario simile a quello di un terremoto, ma causato da una alluvione. È una situazione anomala, perché di solito un’alluvione non lascia danni strutturali agli immobili. Questo ha fatto sì che a livello normativo bisognasse un po’ inventarsi qualcosa per la gestione. Per esempio, la commissione tecnica appena nominata è prassi per i terremoti e ha un formulario preciso da seguire per decretare cosa demolire e cosa recuperare. Per l’alluvione invece i danni sono diversi».
La commissione è già operativa?
«La prima riunione si è tenuta il 10 settembre. Il suo compito è dare indicazioni su come trattare le case in zona rossa: cosa deve essere demolito perché non recuperabile e cosa è ristrutturabile. Sarà poi il commissario, in concerto con Comune e Regione, a prendere le decisioni, cercando di tenere insieme le istanze tecniche e le istanze dei cittadini».
Commissione tecnica e ordinanza Delocalizzazioni (appena pubblicata) come dialogano?
«Sono due percorsi paralleli. Un esempio: la commissione potrebbe dire che un immobile danneggiato è da demolire perché non è recuperabile, ma si può ricostruire su quel lotto. Dalle bozze che abbiamo visto, a Traversara la maggior parte delle case non sarà da delocalizzare. La partenza di un cantiere unico nella zona rossa sarà un segnale di rinascita per tutta la frazione: ci siamo dati l’obiettivo di mantenere viva Traversara e abbiamo dato disponibilità a occuparci noi della partenza dei lavori, se questo può ridurre i tempi rispetto alla struttura commissariale».
A distanza di un anno, le attività commerciali hanno riaperto?
«La farmacia, il negozio di alimentari, il bar e la parrucchiera sono immediatamente ripartite dopo l’alluvione. È stato un passo importante per il senso di comunità. Grazie alla fondazione Rava tornerà il campo da calcetto dove era prima, dietro al bar, e il campo da calcio è stato riseminato per essere usato dal Bagnacavallo nella primavera 2026».
La piattaforma Sfinge è il portale realizzato dalla Regione per raccogliere le richieste dei cittadini per gli indennizzi per gli immobili alluvionati. Al momento nessuna domanda è stata presentata da Traversara per gli eventi del 2024. Come è possibile?
«C’è stato un problema tecnico nella procedura informativa, ma abbiamo comunque consigliato ai cittadini di attendere per arrivare a una situazione più definita. Per gli eventi del 2023 ci sono già casi di persone rimborsate: all’inizio la procedura era macchinosa e rigida, ora è più accessibile. In teoria l’impegno dello Stato è il rimborso totale dei danni strutturali a beni immobili: molto dipende dalla qualità della perizia giurata elaborata dai professionisti. Per gli arredi invece le somme sono molto basse».
Un’immagine d’impatto a Traversara oggi è la distesa di montagne di terra dietro la chiesa, recuperata dai campi. Che fine faranno?
«È stato fatto un lavoro immenso per raschiare il materiale lasciato dal fiume sui campi agricoli, in alcuni casi si è lavorato a mano per separare i rifiuti tra i frutteti. La terra è stata ripulita: una parte servirà per rialzare i livelli in paese».
Per il Comune c’è stato una carenza di risorse umane negli uffici per l’emergenza?
«Il ruolo dell’Unione della Bassa Romagna è stato fondamentale. Se avessimo dovuto fare tutto da soli, la sola gestione di Cis, Cas e Sfinge ci avrebbe bloccato per due anni. Non possiamo dimenticare che c’è sempre tutta l’attività ordinaria, per esempio sei cantieri Pnrr in corso. Con il coordinamento dell’Unione abbiamo un pool di persone, anche con assunzioni aggiuntive a tempo determinato tramite la struttura commissariale. Purtroppo facciamo i conti con la difficoltà a trovare persone interessate: il posto pubblico è meno appetibile e il tempo determinato non è un incentivo».
Articoli di stampa in agosto hanno anticipato la consulenza dei periti incaricati dalla procura. Il senso, in sintesi, è che l’evento non era imprevedibile.
«Commentare le anticipazioni di stampa non è una cosa che mi piace molto, aspetterò di leggere la documentazione quando sarà possibile. Però anche i terremoti sappiamo che possono venire…».
Qui però non mancano i documenti della Regione che in passato constatavano i rischi del territorio proprio riferendosi ai fiumi che hanno ceduto.
«Si poteva fare di più? Sì, ma la ricerca delle colpe ci porta poco lontano. Tutti dobbiamo assumerci il nostro pezzettino di responsabilità e il mio obiettivo è lavorare perché non succeda più. Con la consapevolezza che fino a qualche anno fa la sicurezza idraulica del territorio non era in cima alle priorità per la cittadinanza».
Proprio la capacità di capire in anticipo le necessità di una comunità non dovrebbe essere la missione più alta di un amministratore pubblico?
«Parliamo di un sistema di gestione delle acque che non aveva mai dato segni di crisi fino a quel livello. In precedenza i problemi di allagamenti erano stati causati solo dai canali. Se qualcuno avesse proposto di spendere milioni per l’argine di un fiume sarebbe stato accusato di sprechi. In questo scenario va inserito il dato del cambiamento climatico, troppo sottovalutato. Il Lamone è sempre stato considerato un fiume di cui non preoccuparsi, invece di recente raggiunge la soglia rossa più volte in un anno».
Alberi sì o alberi no sugli argini e nelle golene?
«Non c’è una ricetta unica che vale per tutti i fiumi e anche lo stesso fiume è diverso lungo il suo corso. Il Lamone in montagna è tra i boschi e non ha argini, se frana la montagna è ovvio che porta a valle detriti e tronchi. Il soggetto competente è l’Autorità di bacino del Po che uscirà a breve con un aggiornamento delle linee guida per le manutenzioni. Si terrà conto di cosa ci ha insegnato la storia recente e ci dirà come si vive vicino ai fiumi. Magari è ora di mettere in conto che è meglio non avere la camera da letto al piano terra».