Docente di Pianificazione territoriale al Politecnico di Milano, Paolo Pileri si occupa di consumo di suolo e delle sue conseguenze sull’ambiente. Ha scritto L’intelligenza del suolo (Altreconomia 2022).
L’ultimo rapporto Ispra sul consumo di suolo ha bacchettato Ravenna: gli 85 ettari cementificati in un anno superano persino quelli di Roma.
«Le cause sono molteplici. Riguardano soprattutto gli enormi cantieri per infrastrutture avviati nell’area del porto e nell’entroterra. Ma ci sono anche i nuovi capannoni industriali e l’edilizia civile, che pesa per il 5%. La somma di queste voci ha generato il disastroso dato, ma nel resto della regione non va tanto meglio».
Con 1.013 ettari consumati nel 2024, l’Emilia-Romagna è in cima alla classifica nazionale.
«La responsabilità principale è della legge urbanistica 24/2017: è stata promossa come una norma per contrastare il consumo di suolo, ma in realtà ha fatto il contrario. I dati Ispra lo dimostrano».
Le alluvioni del 2023 e 2024, aggravate dall’eccessiva quantità di terreno impermeabilizzato, non sono bastate a far cambiare direzione?
«Purtroppo sembra che quegli eventi non abbiano insegnato nulla a chi amministra il territorio. Ravenna è stata la provincia più colpita, eppure continua a essere in cima alla classifica Ispra. Peraltro il 70% del consumo di suolo in regione ha riguardato aree alluvionabili».
Cosa dovrebbe cambiare?
«L’idea di urbanistica. Il futuro non può più essere agganciato alle infrastrutture stradali, alle betoniere e al cemento. Il nostro concetto di sviluppo va del tutto ripensato».
Il sindaco di Ravenna Alessandro Barattoni si è impegnato a favorire la regola del 3-30-300: ogni cittadino dovrebbe vedere tre alberi dalla finestra e vivere a meno di 300 metri da un parco, grazie alla piantumazione del 30% dei quartieri.
«È una teoria fantastica, che ha almeno dieci anni di vita. Finalmente qualche sindaco se n’è accorto. Ma non è credibile sentirne parlare da un amministratore che ha sulle spalle 85 ettari di consumo di suolo. Lo sarebbe solo se il bilancio fosse zero; questo è l’unico numero importante. Non si può giocare a piantare qualche albero con una mano e continuare a cementificare con l’altra. Quello che dovrebbe attuare Barattoni – al contrario di ciò che ha fatto il suo predecessore – è un piano di depavimentazione».
Le conseguenze negative del consumo di suolo sono ormai note. Perché a Ravenna si continua a farlo in modo così assiduo?
«Perseverare è diabolico. Ma va detto che i Comuni non sono incentivati a contenere il fenomeno. Ognuno è solo a fronteggiare l’investitore di turno che propone oneri di urbanizzazione in cambio della possibilità di costruire, e le amministrazioni locali lo accettano perché sono a corto di risorse a causa dei tagli statali. Inoltre mancano strumenti normativi per aiutare i sindaci a contrastare il consumo di suolo. La Regione Emilia-Romagna continua a concedere deroghe; lo ha fatto persino dopo l’alluvione».
È anche un problema culturale?
«Sì. Nessuno spiega agli amministratori l’importanza dell’ecologia e i danni del consumo di suolo. Dopo l’alluvione del 2023, la Regione avrebbe potuto avviare un tavolo formativo per i decisori politici; invece ha pensato solo a ricostruire tutto come prima. Nonostante certe scelte non vadano più fatte».
Per esempio?
«Smettere di urbanizzare nelle aree alluvionabili e anziché far costruire nuovi capannoni, obbligare a utilizzare gli edifici già esistenti e abbandonati. È un altro modo di gestire il territorio, che impone di cambiare il concetto di urbanistica a cui siamo abituati. La politica può farlo».
Esistono degli strumenti per invertire la rotta?
«Il più importante è la Nature Restoration Law, il regolamento europeo che impone di ripristinare gli ecosistemi degradati entro il 2030, compreso il suolo. Nessuno ne parla, ma è già in vigore. Se la Regione e il governo continueranno a far finta di nulla, ne avranno la responsabilità politica, culturale e civile».



