Dai campi della serie A ai giovani talenti, ricordi e consigli di Claudio Rivalta

L’ex difensore ravennate è ora allenatore della Primavera del Cesena e ai genitori dice: «Fate vivere lo sport ai figli come tale»

Claudio Rivalta

Claudio Rivalta con la maglia dell’Atalanta attaccato da Alessandro Del Piero

«Contro Vieri e Batistuta era davvero dura, Chiesa era fortissimo, Nedved non si fermava mai, a Inzaghi e Trezeguet non potevi lasciare un solo centimetro che ti facevano gol…». Erano i tempi in cui la serie A era il campionato di calcio più bello del mondo e tra i difensori («La mia forza era soprattutto caratteriale, non avendo particolari qualità tecniche o fisiche, ero il classico giocatore affidabile») c’era anche Claudio Rivalta, oggi 39enne, oltre 150 presenze dal 1999 al 2009 nel massimo campionato con Perugia, Atalanta e (in minima parte) Torino. Probabilmente l’unico ravennate doc ad aver calcato i campi della serie A di calcio (allargando lo sguardo alla provincia si contano l’ex Atletico Madrid Stefano Torrisi, da Villanova di Bagnacavallo, il faentino Damiano Longhi, il cervese Alberto “Jimmy” Fontana e il bagnacavallese Cristian Servidei, oltre al lughese Mirko Valdifiori attualmente in forza al Torino). «Lo stadio più difficile in cui ho giocato? Senza dubbio quello di Napoli – racconta Rivalta –: nonostante abbia la pista a separare il campo dalle tribune, i tifosi sono veramente molto caldi. Ricordo una partita con il Vicenza (in serie B, ndr), eravamo in vantaggio e ogni volta che avevamo palla tutto lo stadio fischiava, non si sentiva veramente nulla».
Oggi Rivalta allena i ragazzi e quest’anno è passato al “top” nel settore, la Primavera, 17-18enni che sono a un passo dal realizzare il proprio sogno di diventare calciatori professionisti, a Cesena, con la prima squadra in serie B, e dopo aver allenato per tre anni con ottimi risultati Under 14 e Under 15 (il battesimo in panchina ancora prima nel Romagna Centro di Martorano). «Non ho mai pensato di allenare, in realtà. Poi mi è capitato di dare una mano nei settori giovanili e mi sono accorto che mi sarebbe piaciuto stare coi ragazzi in campo, trasmettere loro qualcosa. Coi più piccoli il ruolo di educatore e di guida è quasi più importante di quello di allenatore, dobbiamo ricordarci che non tutti faranno i calciatori e comunque cercare di trasmettere valori che in qualche modo possano rimanere ai ragazzi da adulti, in qualsiasi ambito. Oggi – continua Rivalta – i giovani sono molto più svegli, più ricettivi, ma molto più fragili: noi eravamo un po’ più “testoni” ma anche più forti, sapevamo reagire meglio a un rimprovero». I maestri di Rivalta, in questo senso, sono stati tre, sempre nel settore giovanile del Cesena, dove è cresciuto: «Fusco Cono da più piccolo, poi da ragazzo Corrado Benedetti e Davide Ballardini (ex tecnico ravennate di Palermo, Genoa, Cagliari e Lazio, ndr); quest’ultimo per come ci ha insegnato a leggere e capire il calcio e, insieme a Benedetti, anche per il punto di vista caratteriale: ci hanno preparato e formato, in maniera a volte dura, tosta e cruda». In prima squadra, invece, Rivalta sottolinea la bravura in particolare di suoi ex tecnici come Mandorlini (che ha avuto a Vicenza e a Bergano nell’Atalanta), Colantuono («caratterialmente era un martello pneumatico»), Delneri («Per avermi mostrato una visione differente dell’aspetto difensivo di una squadra») e, sempre a Bergamo, Delio Rossi. Oggi i suoi modelli, pur essendo un allenatore molto «flessibile», sono invece Guardiola e Thomas Tuchel, ex Borussia Dortmund.
Tra i suoi compagni di squadra – dice rispondendo alle nostre domande di fronte a un caffè – i più forti che ricorda, senza pensarci troppo, sono stati Marco Materazzi (che insieme a Rivalta nel Perugia mise a segno nel campionato 2000-2001 ben 12 gol, siglando il record per un difensore in una singola stagione in A), «che poi ci ha fatto pure vincere i Mondiali», poi sempre a Perugia il croato Milan Rapaic e il giapponese Hidetoshi Nakata («con cui però non avevamo praticamente rapporti, non dicendo una parola…»), oltre all’idolo dei tifosi atalantini (prima di essere implicato nell’inchiesta sul calcio-scommesse) Cristiano Doni. Tra gli avversari, oltre ai nomi più noti di cui sopra (con Batistuta, tra l’altro, Rivalta ci ha pure trascorso un po’ di tempo in vacanza), ricorda senza esitazioni Dario Morello, vincitore con il Bologna del campionato di serie B ai tempi in cui lui era a Cesena: «Imprendibile».
A casa Rivalta ha qualche maglia-ricordo, ma non è mai stato un collezionista: «Quella di Cannavaro deve essere in un armadio dei miei, tanto per farti capire quanto ci tenga a queste cose. Sono comunque legato a quelle di Maldini (Rivalta da piccolo era tifoso milanista, ndr) e Blanc, mentre mi piaceva scambiarla con i miei ex compagni di squadra, come Blasi (ex centrocampista anche della Juve, con cui Rivalta ha giocato a Perugia, ndr)».
«I momenti più belli della mia carriera? La vittoria del campionato di serie C con il Cesena, il secondo anno di Perugia in cui ho iniziato a giocare con continuità e ad affermarmi in serie A e poi i 4 anni e mezzo di Bergamo, all’Atalanta, dove mi sono sempre sentito a casa e dove c’era un grande rapporto con i tifosi, che ci hanno applaudito anche dopo la retrocessione in serie B. Ma le cinque partite più belle di tutte sono state quelle dopo l’intervento (Rivalta scoprì di avere un tumore all’apparato intestinale a fine 2011, quando stava concludendo la carriera in serie C nello Spezia, ndr): giocavo senza limiti mentali, solo per il gusto di farlo, dopo quello che avevo passato, solo per il gusto di vincere, come da bambino. Sentivo di dover ripagare la società che mi era stata vicina in un periodo molto duro ed è stato bello in quelle ultime partite passare da secondi a primi (lo Spezia è stato poi promosso in B, ndr) e vincere anche Coppa Italia e Supercoppa».
Ora che scendere in campo è ormai un ricordo e che ha a che fare quotidianamente con ragazzi e famiglie, Rivalta è in una posizione in cui si può permettere di dare consigli. «Il primo è quello di far vivere lo sport ai propri figli come tale, senza intromettersi su questioni tecniche: ai genitori racconto spesso come mio padre non mi abbia mai detto una parola su cosa fare in campo, eppure sono riuscito ugualmente a fare il calciatore ad alti livelli. Ai ragazzi invece il consiglio è di perseguire il proprio sogno, di impegnarsi sempre al massimo, essere onesti con se stessi, di sfruttare al massimo le occasioni e di vivere quei momenti senza troppa ansia». Se poi si ha la fortuna di finire in serie A, l’augurio è di affrontarla come Rivalta, lui che ha continuato la vita di sempre, senza eccessi, «seguendo i valori con cui mi hanno cresciuto i miei genitori e continuando a stare con quella che poi è diventata mia moglie, a Ravenna, dove ho messo su famiglia. Nella mia carriera ho visto tanti ragazzi che si facevano molto condizionare dagli altri, da chi cerca di avvicinarti quando hai fatto carriera: sentendosi più insicuri sentivano di doversi togliere delle voglie per far vedere agli altri chissà cosa. Io non ho mai avuto questi bisogni, sono sempre stato attento e tranquillo, non ho neppure mai cambiato procuratore…».

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