Federico Gaio, tennista professionista: «La mia vita da nomade. Sinner? Un fenomeno»

Il faentino è l’undicesimo italiano nel ranking mondiale in un momento d’oro per il movimento azzurro. «Obiettivo top 100»

Federico GaioÈ un momento d’oro per il tennis italiano che, trainato dal fenomeno Sinner (19esimo al mondo a 20 anni non ancora compiuti), per la prima volta si ritrova con dieci atleti nella top 100 del ranking Atp. E il primo tennista del nostro Paese a inseguire i suoi dieci più celebrati colleghi è un faentino, unico emiliano-romagnolo tra i primi 400 al mondo (sui 28 italiani presenti).

Si tratta di Federico Gaio, 29 anni compiuti da poco, professionista dal 2009 e al momento numero 136 del ranking (un anno fa era 124, suo miglior piazzamento in carriera).

Lo abbiamo intervistato all’indomani della bella vittoria contro il francese Paire (35 al mondo) al Torneo Godò Atp di Barcellona, dove poi è stato eliminato ai sedicesimi di finale. In questi giorni è invece arrivati fino agli ottavi al Challenger di Roma.

Federico Gaio In AzioneFederico, partiamo dall’inizio. Quando hai iniziato a giocare a tennis?
«A 5 anni, grazie alla passione di mia madre. Ho iniziato, come molti a Faenza, al centro estivo. Da lì non ho mai smesso, iniziando a fare sul serio dopo le medie, quando sono entrato nel centro federale di Tirrenia».

Quando hai capito che il tennis sarebbe diventato il tuo lavoro?
«Da ragazzo pensi solo a giocare, al divertimento. Poi ogni anno che passa incominci a sperarci, consapevole delle difficoltà. Nel 2009, con il primo punto conquistato nel ranking Atp, sono entrato davvero nel tennis che conta».

Com’è la vita del tennista?
«Sei un nomade, nel vero senso della parola. Dai 13 anni in poi mi sono sempre allenato e quasi mai nella mia città. Diciamo che in un anno normale a Faenza ci passo 2-3 settimane in tutto. Con una di trentina di tornei all’anno, prendi in continuazione voli, sei sempre fuori: il tuo armadio è una valigia, la tua casa un hotel».

Ma ti senti anche un privilegiato?
«Certo, perché sono riuscito a fare dello sport che amo un lavoro. È una grande soddisfazione».

E come riesci a conciliare la vita privata?
«Non è facile. Devi trovare una persona che ti capisca. Io, per esempio, sono fidanzato con una hostess (una cabin manager spagnola, ndr), che capisce bene cosa significhi essere sempre in viaggio».

Cosa conta di più nel tennis: talento, sacrificio o fortuna?
«Un po’ di fortuna ci vuole sempre. Ma credo che l’impegno e il metodo siano fondamentali, la costanza, credere in un progetto. Sono pochi i tennisti ad avere la fortuna di saltare le varie tappe e arrivare direttamente al top».

I momenti più difficili e i più belli della carriera?
«Ci sono tanti momenti belli, a partire dalle vittorie dei tornei (Gaio in singolare ha vinto 4 tornei challenger, l’ultimo lo scorso anno, a Bangkok, ndr). Sono importanti soprattutto nei momenti difficili, quando quasi hai pensato di mollare e invece ripensando alle soddisfazioni capisci che non ti sta certo andando tanto male…».

Un anno fa hai raggiunto il punto più alto nel ranking Atp. Obiettivi?
«L’obiettivo è quello di entrare nella top 100. Purtroppo una volta raggiunto il 124esimo posto è arrivata la pandemia e tutto si è fatto più difficile. Adesso è più complicato scalare il ranking, la federazione ha impostato un punteggio tenendo conto anche di chi magari in questo periodo preferisce non fare troppi tornei».

Ecco, arriviamo alla pandemia. Come l’hai vissuta?
«Oggi il calendario è tornato quasi normale, anche se molti tornei fanno fatica a sostenersi senza il pubblico, ma per noi atleti è ripartita una sorta di routine. Durante il lockdown dell’anno scorso invece è stata dura, alcuni miei colleghi dichiarano di sentirsi tuttora stressati. Io fortunatamente ho una casa grande, con giardino, e non posso lamentarmi, ma non poter frequentare il circolo, allenarsi, per mesi, quando lo fai da tutta la vita, è stato davvero pesante».

Tornando al tennis giocato, hai potuto partecipare anche ai quattro tornei più prestigiosi, quelli dello Slam. Qual è il tuo preferito?
«Finora ho potuto disputare le qualificazioni, riuscendo a entrare nel tabellone principale solo a New York. Il mio obiettivo è ora proprio quello di poter entrare nel tabellone principale di tutti e quattro gli Slam. Il mio preferito è quello australiano, organizzato davvero bene. E poi sarà che l’Australia mi piace molto e arrivare lì in gennaio, quando in Europa è ancora inverno, è molto piacevole».

Chi erano i tuoi idoli da bambino?
«Sampras e Federer, sarà per il loro rovescio a una mano, per la loro propensione ad andare a rete, cosa che piace anche a me».

Federer tra l’altro potresti ancora incontrarlo…
«Il sogno sarebbe farlo a Wimbledon, così come sfidare Nadal a Parigi. Finora con i più grandi ho potuto solo allenarmi…».

Hai però già sfidato Sinner, cosa ne pensi?
«Sì, ci ho giocato a Ortisei nel 2019. Ho perso ai quarti 6-4 6-4 (Sinner ha poi vinto il torneo, ad appena 18 anni, ndr), ho visto subito che era un fenomeno. La maturità con cui parla, gioca e sta in campo è fuori dal normale. Gli auguro il meglio. Lui e il suo team stanno facendo il massimo e può arrivare davvero al top».

In generale è un momento d’oro per tutto il movimento tennistico italiano. C’è un motivo?
«Credo che sia il merito degli investimenti della federazione di questi anni, del fatto anche di aver portato in Italia tanti tornei di alta fascia: alzare il livello ha fatto bene a tutti. Poi il fatto che Berrettini e Fognini siano al top già da qualche anno ha portato più visibilità, che non fa mai male».

Cosa farai quando chiuderai la tua carriera?
«Sinceramente non ci ho ancora pensato. Certo il tennis è sempre stato il mio mondo e ci sono molte possibilità di proseguire in questo campo anche una volta finita la carriera».

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