Ravenna turistica e l’ardua impresa dell’ospitalità

Fausto PiazzaDissolto col sole estivo l’effetto covid, per contrappasso si rivedono in massa i turisti e gli intrattenimenti culturali e spettacolari per divertirsi e rilassarsi a Ravenna e dintorni.
I segnali sono confortanti: coi primi dati positivi sulla città d’arte, il buon avvio della stagione balneare, grandi e piccoli eventi che stanno infittendo il calendario dell’estate, dalla folla di rockettari per “Beaches Brew” alle platee sold out del Ravenna Festival, dalle file ai monumenti Unesco fino agli 80mila fan di Jovanotti attesi a Marina a inizio luglio.

Al punto che viene da chiedersi: come e quanto è ospitale la città che sempre più ambisce ad emergere come importante polo turistico internazionale? Da sempre ci si lamentata che il visitatore di Ravenna è quello “mordi e fuggi”, tanti arrivi ma presenze limitate, insomma escursioni di giornata.
Il quadro in proposito è poco chiaro, cioè scarsamente analizzato e c’è da capire se si tratti di una carenza di domanda o un difetto di quantità e qualità dell’offerta ricettiva.

Un’indagine della Regione sulle strutture ospitali aggiornata al 2019 – ancora valida si suppone visti i due anni distorti dalla pandemia – registra fra Ravenna città e lidi un insieme di oltre 35mila posti letto. Il dato è notevole ma “falsato” dalla riviera, con i vacanziari stanziali che occupano molti posti e le strutture ricettive stagionali che vengono affittate solo per periodi medio-lunghi e quindi non sono disponbili per i turisti che vorrebbero pernottare solo qualche giorno.

Se ci focalizziamo sulla città, la cornice diventa più rarefatta: gli hotel sono meno di una trentina, di cui solo cinque a 4 stelle e diciannove a 3 stelle (citiamo alloggi di media qualità, precisando che a Ravenna non esistono 5 stelle).
Nel corso di vent’anni la debolezza ricettiva locale è stata in parte colmata da B&B e agriturismi che sono oltre 200, fra lussiosi ed economici. Sommati agli hotel fanno circa 3.000 posti letto complessivi. A cui vanno aggiunte alcune centinaia di “host” Airbnb, che anche se non sono imprese turistiche possono sopperire a svariate esigenze di ospitalità. Una cornice appunto che rivela una dimensione ospitale non proprio abbondante e di livello piuttosto ordinario, a parte alcune eccezioni “di fascino” che esistono anche dalle nostre parti.

Se Ravenna punta sul turismo come una delle industrie chiave della sua economia, questi numeri fotografano ancora un deficit di offerta, per diversificazione, innovazione e qualificazione degli investimenti sulle strutture ricettive, che peraltro rischiano di non correre in sintonia con le iniziative di promozione e valorizzazione del prodotto “arte+mare+natura”.
Da anni lo scenario di nuove e aggiornate forme di ospitalità all’altezza di questa ambizioni è quasi immobile: fallito il progetto dell’hotel di pregio Batani in zona Pala De André, fallito l’albergo-grattacielo a Marina (area ex Xenos), chissà se mai si farà il 5 stelle luxury nell’ex caserma Alighieri (investimento marcato CDP, cioè lo Stato, che potrebbe cambiare idea a seconda della congiuntura…).

A proposito di investimenti, cosa prevede l’intricato Piano Urbanistico Generale di Ravenna in corso di adozione come premialità, incentivi, zone vocate, meno burocrazia, da offrire a chi fosse intenzionato a costruire o ristrutturare edifici con funzioni turistico-ricettive? Sarebbe bello sapere se e come è contemplato uno stimolo del genere in questo documento strategico per lo sviluppo (sostenibile) della città, degli abitanti ma a ben vedere anche dei visitatori…

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