L’essere umano ha trasformato la Terra a tal punto che molte forme di vita – piante, animali – non possono più esistere senza la sua presenza. È come se una parte della natura avesse disimparato a vivere da sola, confidando nella prossimità dell’uomo per sopravvivere. Alcune specie oggi sono diventate appendici del nostro mondo artificiale, ospiti obbligati del nostro modo di abitare il pianeta. Nel suo libro L’alba della storia (Laterza), il genetista Guido Barbujani – che di recente ha dialogato con il pubblico dello ScrittuRa Festival – ci invita a volgere lo sguardo indietro, verso il tempo in cui l’umanità ancora non scriveva. Un tempo lungo, silenzioso, dove gli uomini non avevano ancora inventato un modo per raccontarsi, per lasciare traccia del loro passaggio. È il tempo che precede la memoria scritta, dove tutto ciò che siamo oggi prende forma nel buio di una preistoria non muta, ma afona. Barbujani ci accompagna in questo viaggio con rigore e leggerezza.
Scopriamo così che l’essere umano ha iniziato a modificare la natura molto prima di quanto potessimo immaginare. Non con le tecnologie moderne, ma con un gesto antico e radicale: la selezione. Scegliere i semi migliori, gli animali più docili, gli esemplari più adatti. Così sono nate piante come il mais e il riso, incapaci oggi di sopravvivere senza una mano che le raccolga, che le coltivi, che le protegga. Piante addomesticate, in senso stretto, che hanno perso l’autonomia dei loro antenati selvatici. Scopriamo anche che tutti i cani del mondo – dal più aristocratico levriero al più arruffato bastardino – discendono da un piccolo gruppo di lupi. Cento, forse meno. Addomesticati in un’epoca in cui l’uomo e il lupo iniziarono a guardarsi senza paura. Da lì, per creare le razze, l’uomo ha fatto incrociare fratelli con sorelle, figli con madri, in una genealogia forzata che ha prodotto bellezza, ma anche fragilità. Non a caso i cani “di razza” si ammalano più facilmente dei loro cugini meticci. Infine Barbujani ci mostra come anche l’uomo si sia addomesticato da sé. Non più cacciatore nomade, ma creatura sociale, urbana, protetta.
L’addomesticamento umano ha un nome semplice e definitivo: città. Il futuro, come sempre, incombe. La popolazione cresce, il pianeta si restringe, le risorse si assottigliano. E ogni volta che l’umanità si è trovata a un bivio, ha inserito qualcosa nel ciclo vitale: fuoco, agricoltura. Questa volta, dice Barbujani, sarà il momento degli organismi geneticamente modificati. Una tecnologia potente, forse inevitabile. Non è il male in sé – avverte il professore – ma è fondamentale che questa potenza resti sotto il controllo di enti collettivi, pubblici, trasparenti: università, stati, comunità. Perché, se lasciata ai soli interessi privati, la vita stessa potrebbe diventare un affare, e il guadagno prevalere sul bene comune. Ed è questo il vero rischio: non la tecnica, ma chi la comanda.