“Fratellino”, una storia necessaria Seguici su Telegram e resta aggiornato In questi giorni sono ospite a un festival interculturale di letteratura latino americana, italiana e spagnola, chiamato “Enquentro”. Tra i libri di cui abbiamo parlato ce n’è uno che, se fosse per me, andrebbe obbligatoriamente letto nelle scuole di ogni ordine e grado. Si intitola Miñan, in italiano Fratellino (Feltrinelli), ed è scritto da un ragazzo che non sa leggere, né scrivere. O meglio è scritto da due ragazzi, il protagonista e voce narrante e un poeta basco. Il poeta è Amets Arzallus Antia e il protagonista, che narra la vicenda in prima persona, è Ibrahima Balde. Il libro inizia così: “Non ho avuto il tempo di imparare a scrivere. Se mi dici Aminata, so che inizia con la A, se mi dici Mamadou, penso che inizi con la M. Però non chiedermi di costruire una frase intera, perché appena comincio mi ingarbuglio. Piuttosto, portami un attrezzo, per esempio una chiave di quelle che si usano per aggiustare i camion, e lasciala su quel tavolo. Io ti dirò subito: “Questa è del tredici” oppure “è del quattordici”. Anche se tu coprissi il tavolo di chiavi e mi bendassi gli occhi, dopo averla presa in mano, ti direi: “Questa è dell’otto”. Fratellino è la storia di Ibrahima che dalla Guinea parte per cercare il fratello che ha lasciato il villaggio per andare in Europa, e di lui non hanno più avuto notizie. Ibrahima parte che ha 13 anni e attraverserà l’Africa in un viaggio duro, faticoso e, a tratti terribile, attraverso il Senegal, la Liberia, l’Algeria, il Marocco e la Libia. Un cammino che dura anni e che finirà per portare Ibrahima a scoprire una strana e inquietante parola, pronunciata in francese: “Mi ha detto tutto in pulaar, eccetto quella parola in francese. Solo quella parola, naufrage. Era la prima volta che la sentivo, naufrage. “Mi puoi dire cosa significa questa parola?” gli ho chiesto. “Non è facile,” mi ha risposto, “quando un barcone ha un incidente, tutti lo chiamano naufrage.” “Naufrage?” io. “Sì, naufrage”. Ibrahima finirà in Europa suo malgrado, non voleva partire, ma si ritrova a non poter farne a meno per sfuggire alle terribili torture dei lager Libici. Una storia straziante, ma allo stesso tempo piena di vita, scritta in maniera poetica e senza fronzoli, che apre gli occhi su uno dei grandi mali del nostra epoca, di cui – in questi tempi di conflitti e paure – rischiamo di dimenticarci. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: La Biblioteca di Babele