Dal giugno 1819 fino all’autunno del 1821 Lord Byron starà a Ravenna, città nella quale era venuto per amore della bellissima Teresa Guiccioli. Questo sentimento, come ebbe modo di annotare Jules Claretie, non senza una vena polemica, doveva essere stato davvero intenso: «Ravenna è una delusione. […] Ci si domanda come lord Byron abbia potuto risiedere qui due anni, due anni interi. Quale vincolo lo tratteneva? Erano la vicinanza della tomba di Dante e i ricordi del grande fiorentino? Si sa che non è così. In ogni caso, la donna che ha potuto legare a sé per due anni un tale uomo, in un tale luogo, può vantarsi di essere stata molto amata». D’altronde, come evidenziava in una lettera il conte Giulio Rasponi, non senza un pizzico di malizia, «l’opinione comune è che il palazzo Guiccioli lo abbia colpito più che la Rotonda e gli avanzi di Teodorico».
Leggendo il diario ravennate di Byron, scritto nei primi mesi del 1821, non emergono particolari commenti sulle antiche vestigia, ma sono ricorrenti i ricordi delle lunghe cavalcate in pineta, in quegli stessi luoghi cantati da Dante, Boccaccio e Dryden. Quelle cavalcate non potranno che alimentare la sua leggenda, l’aura che lo aveva accompagnato in vita e che era accresciuta con la sua tragica morte. La stessa Marguerite Yourcenar, in Pellegrina e straniera, avrà modo di ricordarle: «Medita Byron nella Pineta, e le lente falcate del suo cavallo sono silenziose sulla coltre degli aghi caduti. Poiché è vivo, è stanco di Ravenna».