In redazione abbiamo fatto il solito giochino dei pronostici. Lista per lista, abbiamo scritto in un foglio un numerino di fianco a tutti i 18 simboli che si presentavano alle elezioni comunali di Ravenna e lo abbiamo chiuso in una busta in attesa dei risultati definitivi. Ebbene, chi tra di noi ha vinto ha sbagliato la percentuale di ogni lista dello 0,8 di media. Chi ha perso – che dovrà pagare un aperitivo – ha fatto registrare un margine di errore di poco più di 1 punto percentuale a lista in media.
Bravi noi? No, troppo scontate loro, queste elezioni. Da una parte il centrosinistra già di per sé favorito che si è riunito senza alcuna polemica in un campo largo, presentando il candidato (il segretario del primo partito da sempre) quasi un anno prima del voto. Dall’altra un centrodestra che, come noto, è arrivato con sei mesi di ritardo presentandosi oltretutto diviso e oltretutto a sostegno di tre consiglieri comunali uscenti (sigh), di cui sembrava che solo una credesse veramente di arrivare al ballottaggio, ma che in realtà non è arrivata nemmeno al 5 percento dei voti (uno di noi ha esagerato e l’ha battezzata al 5,5: si era quasi fatto convincere…).
Senza considerare la sinistra “radicale”, che dopo aver finalmente trovato la soluzione ai propri mali nel 2016, presentandosi unita sotto il cappello di un’unica lista civica senza più falci e martelli, ha ben pensato di tornare invece alle solite nostalgie, riuscendo nella non facile impresa di restare sotto al 3 percento complessivo con ben quattro liste riunite (perlomeno) in una sola coalizione.
Ora sono tutti d’accordo, nell’opposizione: «abbiamo cinque anni di tempo per preparare un’alternativa vera». Fino a che non saremo nel 2030 e ci ritroveremo con un candidato sindaco novantenne e una consigliera uscente che cercherà di convincerci sulle sue reali possibilità di diventare sindaca al ballottaggio…