Le “versioni di Taylor” e i falsi d’autore

Taylor Swifts 1989 Taylors Version

Taylor Swift1989 (Taylor’s Version) (Republic/Taylor Swift)

Spiegare la natura delle Taylor’s Version non è semplice. Si tratta di falsi d’autore, imitazioni create dall’autrice degli originali, per risolvere lateralmente un conflitto in essere. Semplificando: nella musica, la legge americana distingue tra due tipi di diritto d’autore. Il primo è quello di publishing, il diritto d’autore per come lo intendiamo di solito: se uno fa una cover di una canzone che ho scritto, mi deve pagare dei soldi.

Il secondo è il diritto legato ai master, alla proprietà della registrazione fisica: se usi una canzone nella pubblicità di un profumo, ad esempio, devi pagare soldi a chi detiene i diritti su quella versione del brano (e che per una questione di consuetudini, di solito è l’etichetta che ha fatto uscire il disco). Taylor Swift, oggi la popstar con più fatturato al mondo, ha i diritti d’autore su tutto il suo catalogo, ma non i master: quelli dei suoi primi sei album sono controllati da Big Machine Records. Swift ha provato per anni a comprarli, ma l’accordo non è mai stato raggiunto per questioni che a raccontarle sembrano un’opera di Shakespeare.

Non è la prima volta, ovviamente, che artisti ed etichette si trovano a combattere sulla questione, ma è la prima volta in cui la testardaggine delle parti in causa non ha permesso di trovare un accordo. Nel 2020, mentre Disney/Shamrock annunciava l’acquisto di quei master per 400 milioni e spicci, Taylor Swift si imbarca nel progetto Taylor’s Versions:  ri-registrare integralmente il suo catalogo Big Machine. Lo può fare, ed è senz’altro oneroso, ma meno di quanto costerebbe comprarsi i master a questo punto.

Da allora a oggi sono uscite sul mercato cinque copie pressoché identiche dei suoi stessi dischi, di cui ha il controllo al 100% e che stanno riuscendo nell’obiettivo di azzerare il valore degli originali: 1989, il penultimo titolo, è fuori da venerdì scorso. In un certo senso è una forma più sottile e sostenibile di bastard pop, Magari cinica nelle intenzioni, ma anche eccitante nel mostrarci le falle di un sistema discografico che sembra collassare sulle sue stesse assurdità. E a lato di tutto questo Taylor Swift sta facendo un discorso di livello intellettuale altissimo, indicando una terza via nel concetto di proprietà, in un sistema culturale che combatte da decenni tra la struttura feudale della discografia e il bisogno odierno di una musica che sia gratuita orizzontale e accessibile. Chapeau.

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