domenica
26 Ottobre 2025

Bellissimo “The End of the F***ing World”. E a proposito di Ligabue, un pezzo d’annata

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The End Of The Fucking WorldThe End of the F***ing World (di Jonathan Entwistle, serie Tv)
Nel 2018 tira più una serie tv di un film, diciamolo senza problemi. E succede l’impensabile, e cioè che un film di quasi tre ore venga stravolto nel suo format e presentato come mini serie composta da 8 episodi di 20 minuti ciascuno. Ma data la scarsa fortuna dei film adolescenziali degli ultimi anni, l’approdo su Netflix è una scelta vincente. Si parla di due adolescenti, che si raccontano tramite il proprio io narrante: Jason si definisce uno psicopatico e non vede l’ora di assassinare qualcuno, mentre Alyssa sogna di rivedere il padre che l’ha abbandonata lasciandola a una madre inesistente e un “f***ing” padrino. I due scappano di casa e danno il via a una serie di avventure tragicomiche, violente e assurde fino all’effettivo compimento dello scopo iniziale del viaggio. Commedia nerissima, divertente, dissacrante e piuttosto violenta, TEOTFW (acronimo) cala la carta vincente del continuo cambio di prospettiva narrante e di una libertà di spaziare nel territorio dell’assurdo che conquisterà immediatamente l’amante del politicamente scorretto, dei fratelli Coen, di Tarantino e della follia. I due ragazzi sono improbabili, parlano pochissimo e pensano molto, e non hanno mai la minima idea di come affrontare le peripezie a cui vanno incontro. A far loro compagnia una serie di personaggi adulti irresistibili (in primis le poliziotte) che, insieme a uno stile di regia che unisce flash (i pensieri) ai flashback con un ritmo incredibile, plasma un grande prodotto. Il bello è che il contesto non ha nulla di divertente, tra genitori assenti, morti, scappati, presenti ma incapaci di educare, una società che quasi invita a delinquere, e un’assenza totale di solidarietà da parte del prossimo, mai come qui travestito da nemico in agguato. È vero, tre ore passano in grande fretta, sia che si voglia vedere il film tutto di un fiato o con la cadenza seriale (difficile resistere, sappiatelo), grazie anche alla bellissima colonna sonora che ben scandisce inizio e fine di episodi. A conti fatti, a fine serie si è ancor più stupiti per il grande equilibrio del racconto e la capacità di far crescere i suoi protagonisti in così poco tempo e in maniera così realistica ed efficace. Riassumendo, se ci pensiamo bene, TEOTFW non ha nulla di originale se non la struttura con cui ci è stata presentata, che lo aiuterà a diventare una serie cult in un batter d’occhio e il suo modello episodico diventerà presto uno standard. Cosa che non aiuterà certo un cinema già di per se boccheggiante. Dura lex, sed lex: bellissimo.

Per rispondere alle proteste, a volte educate, a volte da denuncia, dei fans di Ligabue, ho trovato in rete una vecchia recensione di Radiofreccia, scritta da un allora giovane e promettente appassionato di cinema, non ancora trentenne. Riportiamo i passi salienti. «…Perché abbiamo deciso di chiudere Radio Freccia un’ora prima del suo compleanno? Mah, non so, avevamo paura di diventare maggiorenni, o forse altro. Era il 1975, quando pensammo di far sentire le nostre voci al di là dei nostri soliti amici e del nostro solito bar. Avevamo voglia di far sentire la nostra musica, col nostro stile e con le nostre storie, volevamo rendervi partecipi della nostra libertà. Cominciava a starci stretta una vita da non condividere con voi: era bello, divertente e ci faceva sentire utili. Tutto però cambia quando succede qualcosa, quando qualcuno di noi se ne va. E magari è proprio una delle persone a cui ti senti più vicino, a cui vuoi più bene. E non sei preparato, se succede all’improvviso. Non siamo più gli stessi e non lo saremo mai più, ma raccontarlo ti fa sentire molto meglio. A Luciano Ligabue scrivo un grazie per aver saputo raccontare questa storia, una storia comune a tanti di noi, anche chi non appartiene a quella generazione, e l’ha saputa raccontare in maniera appassionata e coinvolgente. Forse troppo. Non sarà puro cinema, ma quando si racconta con spontaneità, si arriva dritto al cuore. Ho perso le parole». (Francesco Della Torre, 17/11/1999)

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