Detachment – Il Distacco, di Tony Kaye (2012)
Non fidatevi di giugno, tantomeno del caldo: in questa stagione i sadici distributori sono pronti ad assestarvi colpi così bassi da non accorgervene, tipo quello di far tornare in sala, più ripulito che mai, The Blues Brothers, ma solo a metà di una settimana ormai finita; oppure far uscire questo Detachment, senza dubbio uno dei film migliori, più emozionanti e originali visti in questa stagione cinematografica. Il film racconta del mese di supplenza del solitario Henry Barthes (un grandissimo Adrien Brody) che accetta solo incarichi temporanei per mantenere quello che è il suo distacco dalle persone, determinato da una serie di eventi (che si scopriranno man mano) che ha vissuto durante l’infanzia. La scuola vive una situazione molto difficile, con gli insegnanti che non riescono a tenere l’ordine educativo e la preside continuamente incalzata dai privati che evidentemente ne finanziano la didattica. Il metodo di insegnamento di Henry è rivoluzionario, e stride con il distacco che s’impone nei confronti della gente. Ma il prossimo è dietro l’angolo, anzi sono due: una prostituta adolescente e un’alunna dotata ma emarginata per il suo fisico, faranno breccia nei sentimenti del protagonista, e… per favore basta perché della trama si è scritto ben troppo! Tony Kaye (American History X) mette in scena una storia non così diversa da altre, ma con uno spirito e un’originalità assolute: si parte da interviste in bianco e nero a insegnanti, per poi giocare su tre terreni: i flashback, con fotografia satura e sbiadita, la vicenda presente con macchina a mano nervosa come i suoi protagonisti e carica di zoom avanti spesso su corridoi vuoti per sottolineare l’alienazione del protagonista all’interno della struttura; infine, è lo stesso Barthes/Brody a raccontare, postumo, la vicenda narrata, come per suggerirci il valore di formazione dell’intera vicenda. Accadono, in soli novanta minuti, un sacco di altre cose, ed è incredibile quanti spunti l’accoppiata Brody-Kaye riescano a dare, in molte direzioni: all’inizio si può pensare a una specie di Attimo Fuggente, mentre si vira presto verso una vicenda familiare, si risvolta per guardare in modo complessivo, critico e drammatico il mondo della scuola; per poi tornare alla figura del protagonista, un eroe imperfetto, pieno di contraddizioni e di freni, che non rinuncia a cercare il prossimo e a manifestare in modo spesso travolgente la sua umanità. Attorno a lui, alcuni personaggi deboli e incisivi, che hanno bisogno del prossimo come non mai. Un film che è anche un piccolo apologo sul senso di comunità e di appartenenza che le persone sembrano non trovare più. Un film che è tantissime cose, non certamente riassumibili in poche righe, ma che riesce a dare più emozioni in un’ora e mezza di comodo cinema con aria condizionata, rispetto a un’intera settimana di sole. Film stupendo, pensateci.
Filmografia scolastica consigliata, ma non ragionata:
Il seme della violenza (Richard Brooks, 1955), The Principal – Una classe violenta (Christopher Cain, 1987), L’attimo fuggente (Peter Weir, 1988), La scuola (Daniele Luchetti, 1995), La classe (Laurent Cantet, 2008).