The Bikeriders (di Jeff Nichols, 2024)
Il legame tra cinema americano e motociclette è una storia lunga almeno settant’anni. Si parte (a quattro ruote) dal Marlon Brando di Il selvaggio e si arriva al culto di Easy Rider, film che nel 1969 ha sancito la moto come simbolo di ribellione e libertà. È a quell’immaginario che guarda Jeff Nichols, ispirandosi a un album fotografico del 1968 di Danny Lyon dedicato agli Outlaws MC, club di Chicago ribattezzato qui Vandals. Nichols usa quelle immagini come base per un racconto che mostra come una comunità di outsider, nata come famiglia di uomini soli, finisca col trasformarsi in qualcosa di più oscuro e pericoloso. Il film ha il respiro di un western, traslato dagli spazi desertici alle strade dell’Illinois. Silenzi, primi piani, presagi di tragedia: i Vandals vengono raccontati come cowboy fuori tempo massimo, incapaci di adattarsi a un mondo che cambia. Tom Hardy interpreta Johnny, il capo carismatico e tormentato, ricordando volutamente il Brando motociclista degli anni ’50.
Austin Butler è il nuovo arrivato, il bello e dannato destinato a incarnare lo spirito ribelle. Jodie Comer, voce narrante e sguardo esterno, diventa il vero punto di equilibrio emotivo: osserva, giudica, soffre, e soprattutto restituisce allo spettatore la prospettiva più concreta. Nichols costruisce un film che punta molto sull’atmosfera: bar fumosi, officine malconce, strade infinite percorse con il rombo delle Harley. I dialoghi sono ridotti al minimo, lasciando spazio a sguardi, gesti e tensioni represse. È un cinema fatto di volti segnati e silenzi pesanti, in cui la fisicità degli attori vale più di lunghe spiegazioni. Il pregio maggiore è la capacità di rendere credibile un mondo che oggi non esiste più. Guardando The Bikeriders si ha la sensazione di vivere per due ore negli anni ’60, con le contraddizioni di un’epoca che ha fatto della ribellione un mito e che presto ha visto quel mito degenerare in violenza e criminalità. Il film mostra la parabola dei Vandals senza enfasi e senza giudizi morali, raccontandoli come uomini che hanno cercato libertà e hanno trovato solo nuove prigioni. Pur con qualche momento un po’ compiaciuto, The Bikeriders resta un’opera affascinante, capace di far respirare un’epoca e di trasmettere la malinconia di un sogno spezzato. Non è un film rivoluzionario, ma sa evocare atmosfere potenti e restituisce quella nostalgia per un tempo che non abbiamo vissuto, e che pure sembra appartenere anche a noi. In streaming.
Approfitto, grazie all’affettuoso richiamo di un collega e grande maestro di visioni, per segnalare un’imprecisione nella recensione di Dept Q di un mese fa: l’Ispettore Carl Morck non è un debuttante sullo schermo, perché esiste una serie di film danesi ben fatti sul suo dipartimento. La trama del primo film è la stessa di Dept Q.