domenica
26 Ottobre 2025

Il taxi del grande Panahi e quella chicca sulla Napoli del 2020

Condividi

Taxi Teheran (di Jafar Panahi, 2014)
Jafar Panahi è uno dei registi più importanti del nostro tempo, non solo per la sua produzione cinematografica, ricca di grandi film e premi nei festival più importanti, ma anche per il suo impegno per la libertà di espressione nel suo paese, l’Iran. Per il suo attivismo infatti, il regista qualche anno fa è stato arrestato e condannato, e ora gode (si fa per dire) di una libertà parziale, caratterizzata dal divieto di realizzare film nel suo paese. Un atto non solo violento e grave, ma anche masochistico, visto che Panahi per ogni suo film fatto ha vinto un premio, dal Leone di Venezia (Il cerchio, 2000), passando per il Pardo di Locarno e vari premi a Cannes, fino ad arrivare a questo Taxi Teheran, girato clandestinamente per la capitale con la telecamera “mascherata” da smartphone, che ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino. Panahi qui è anche protagonista, visto che veste i panni di un impacciato tassista che ospita vari personaggi senza ben sapere come portarli a destinazione. Ogni passeggero è totalmente diverso dall’altro, e permette al film di fare una fotografia varia e ricca della società attuale di cui Panahi non può far parte. Anche gli attori quindi hanno rischiato la cacciata dal paese, nel girare questo film: non a caso, non ci sono titoli di coda coi crediti. Non si va a vedere Taxi Teheran per compassione o per un comunque giusto spirito solidale, ma perché siamo di fronte all’ennesima grande opera di uno dei maggiori autori moderni. Un film a suo modo semplice ma non inferiore ai lavori che lo hanno posto all’attenzione del mondo. Un film che vuole essere anche una riflessione, politica e realista, sul ruolo che la cultura può avere nell’educazione di un popolo; infine, un suo grande successo  anche di pubblico sarebbe certamente il miglior messaggio da dare a un paese che con la libertà ha ancora qualche evidente problema.

L’era legale (di Enrico Caria, 2011)
Da Teheran a Napoli, con tutt’altro spirito e realizzazione tecnica, senza creare problemi o esserne vittima, ma senza mancare di esercizio critico. Mockumentary, cioè falso documentario. La Napoli del 2020 è un paradiso di legalità, e di conseguenza una città fiorente per turismo e ricchezza di produzione. Artefice dell’impresa, il sindaco Nicolino Amore, il cui segreto, si scoprirà ben presto, è quello di aver legalizzato la droga. Enrico Caria è un vignettista le cui incursioni al cinema sono sempre degli autentici pezzi di follia, bravura e originalità, come il precedente Blek Giek (con Lillo e Greg), una chicca carica di autentica stravaganza. Il film è strutturato con interviste eccellenti a personaggi come Renzo Arbore, Carlo Lucarelli, Giancarlo de Cataldo e Pietro Grasso, alternate a momenti di pura fiction e invenzione con il mitico Patrizio Rispo (il volto più noto della soap Un posto al sole) che incarna perfettamente la napoletanità e offre il suo volto con ironia e credibilità. Un prodotto volutamente televisivo, dalla breve durata, che prende in giro il mezzo stesso ma allo stesso tempo lancia un messaggio semplice ma preciso e con il mezzo cinema vuole dimostrare a priori di avere ragione. Cosa molto probabile, come probabilmente vi siete persi questa chicca e altrettanto probabilmente fareste bene a recuperare.

Condividi
CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

La darsena di Ravenna protagonista alla Biennale di Venezia

Nel progetto "Italia Infinita 2075" che immagina una connessione veloce sotto l'Adriatico

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi