Costruire e riqualificare

Come promuovere costantemente in campo urbanistico e architettonico l’efficienza, la sufficienza e la consistenza dell’abitare

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Può sembrare un concetto ovvio ma è comunque fondamentale: ognuno di noi ha bisogno di un tetto sulla testa.
Un’abitazione è molto di più di un semplice riparo contro il freddo, il caldo e la pioggia. Essa infonde una sensazione di sicurezza, svela i gusti del proprietario, assolve funzioni di rappresentanza, esprime sogni, nostalgie e desideri e ha un effetto sul nostro benessere, oggi come nel passato.
Costruire ha sempre significato trasformare la natura in cultura ma è solo con la disponibilità di energie fossili e l’evoluzione tecnologica che questo processo ha assunto le forme e le proporzioni attuali portando alla negazione dei concetti di dimensione umana e di sostenibilità.
Fino a poche generazioni fa si costruiva prestando grande attenzione alle caratteristiche climatiche dominanti e dato che l’energia a disposizione era scarsa l’abitare era caratterizzato dalla sobrietà.
Negli anni del secondo dopoguerra l’impiego per il riscaldamento di una materia prima a buon mercato come il gasolio determinò una situazione di spreco energetico mai vista prima, tanto che l’edilizia divenne nei paesi industrializzati il settore più energivoro. Le conoscenze accumulate sin dall’antichità sul sole, come fonte d’energia, completamente dimenticate.
Gli edifici sono quindi, i primi grandi divoratori di energia della nostra civiltà e hanno tuttora un impatto rilevante sul clima globale. In Europa gli edifici hanno bisogno di almeno il 40% di tutta l’energia disponibile.
Oggi proviamo una tale ammirazione per le conquiste dell’architettura e dell’ingegneria da considerarle una delle vette più alte del genio umano. Nessuno però cerca di smascherare la follia che sta alla base della costruzione di mostri, di acciaio e vetro in cui nessun essere umano sopravvivrebbe senza l’impiego massiccio dell’energia. Solo il Burj Khalifa, il grattacielo di Dubai servito da cinquantasette ascensori e 8 scale mobili, ha un carico di punta elettrico compreso tra 36 e 50 megawatt e fa registrare un consumo d’acqua medio di circa 1.000 metri cubi al giorno. Con i suoi 828 metri il Burj Khalifa non è solo l’edificio più alto del mondo ma anche quello ecologicamente più discutibile.
Ma anche le case unifamiliari, analogamente ai grandi complessi di appartamenti, hanno un’enorme fame energetica.
Questa innovazione ha cambiato profondamente le abitudini di vita dell’umanità, tanto che ormai non è più solo il riscaldamento degli ambienti a consumare molta energia ma anche la loro climatizzazione.

Abitarejpg03 Questo modello di comportamento ha un grande impatto sul consumo energetico, dato che il raffrescamento richiede quantità di energia di gran lunga maggiori rispetto al riscaldamento: abbassare la temperatura ambiente di 1 grado Celsius tramite raffrescamento richiede circa tre volte più energia che farla salire sempre di 1 grado.
Nonostante il progredire delle nostre conoscenze si costruisce ancora con troppa poca consapevolezza verso i temi energetici e ancora troppo grandi sono gli sprechi di energia negli edifici dovuti ad errori progettuali e costruttivi ma anche ad abitudini d’uso non corrette. Cosa ancora più grave se consideriamo che nell’edilizia disponiamo da molto tempo di tecnologie, sistemi, materiali e know-how in grado di ridurre quasi a zero il fabbisogno energetico per il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici.
Gli sprechi energetici risultano problematici soprattutto in relazione agli edifici già esistenti, in particolare all’edilizia realizzata nel secondo dopoguerra durante gli anni del boom economico. In questo caso si tratta di immobili tipicamente energivori che consumano quasi dieci volte l’energia necessaria agli edifici di nuova costruzione ad alta efficienza energetica.
Dal punto di vista tecnico il patrimonio edilizio d’epoca presenta ottime potenzialità di risanamento che permetterebbero di ridurre i consumi energetici fino al 90% ma che purtroppo spesso non vengono sfruttate.
In Italia fra il ‘45 e l’81 si sono costruiti 4,5 mln di edifici, milioni di abitazioni che hanno in comune un elevato consumo energetico e un insufficiente comfort abitativo.
A pensarci bene le nostre città equivalgono ad un mare di petrolio, al punto che la forma energetica di gran lunga più importante è diventata il risparmio energetico.

La riqualificazione energetica del patrimonio abitativo è una classica operazione “win-win”, da cui cioè tutti trarrebbero benefici: migliorerebbe decisamente la qualità dell’aria, salvaguarderebbe il clima e inoltre creerebbe numerosi posti di lavoro. Allo stesso tempo si ridurrebbe notevolmente la dipendenza dalle importazioni di energia, considerando che l’Italia deve fare riferimento all’estero per l’85% del fabbisogno.
Questa modernizzazione del patrimonio edilizio potrebbe rappresentare lo stimolo principale per la crescita economica dei prossimi decenni. Numerose ricerche mostrano che potrebbero essere creati o salvaguardati centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro nell’ambito dell’edilizia in molti paesi dell’Unione Europea.
Inoltre con la diminuzione delle spese per l’energia resterebbe più denaro ai cittadini e si ridurrebbe drasticamente il trasferimento di ricchezza verso altri paesi.
Certamente in Italia sono previste misure per incentivare il risanamento degli edifici attraverso le detrazioni fiscali, misure che nel 2013 hanno determinato un volume di investimenti di circa 19 miliardi di euro e hanno dato lavoro a 280.000 persone. Questi risultati però sono insufficienti: da un lato perché non vengono effettuati controlli adeguati sulla qualità degli interventi di risparmio energetico realizzati, dall’altro perché il potenziale di risparmio non viene sfruttato fino in fondo.
Sul perché non si attinga maggiormente a questa grande forma di risparmio energetico, malgrado siano disponibili ogni genere di risorse dai materiali al know-how, ci sono certamente molte spiegazioni. Senza dubbio la scarsa conoscenza da parte dei cittadini delle tematiche sull’energia e sul clima non contribuisce a favorire gli interventi di risanamento. In più i numerosi obblighi burocratici, la giungla di normative e insufficiente trasparenza del mercato, a cui si aggiunge un’offerta carente di consulenze specialistiche e anche la scarsa qualificazione professionale della manodopera, scoraggiano i lavori di risanamento. Nel caso degli edifici plurifamiliari il frazionamento delle proprietà rappresenta un ulteriore impedimento; necessitando il consenso di molte persone. Non da ultimo anche le difficoltà economiche delle famiglie e la cattiva gestione dei finanziamenti da parte delle banche rendono più difficile la decisione di intraprendere azioni di risanamento.

62 63 ABITARE HABITAT:Layout 1 Tutti questi ostacoli mettono in evidenza come la politica persegua con poca convinzione gli obiettivi della transizione energetica. È più che legittimo chiedersi se chi ha il potere decisionale abbia realmente compreso quali siano le sfide cruciali del nostro tempo. Altrimenti non si spiega perché l’Italia possa permettersi il lusso di avere un piano energetico che risale al lontano 1987. Il nostro Paese ha bisogno urgente di definire nuovi obiettivi di politica energetica, con una completa ridefinizione delle strategie per l’energia e la salvaguardia del clima. L’azione più urgente da intraprendere è l’abolizione delle enormi sovvenzioni che vengono erogate per promuovere l’utilizzo delle energie fossili. A livello globale, secondo l’IPCC, vengono spesi 530 mld di dollari all’anno in sovvenzioni a favore dei combustibili fossili e solo 90 mld di dollari a favore delle energie rinnovabili.
Se si guarda ai potenti mezzi messi in campo dal mondo della comunicazione per promuovere beni di consumo di scarsa utilità, è assurdo che per obiettivi fondamentali come la transizione energetica si debba fare appello soltanto alla comprensione dei singoli individui. Anche nell’economia domestica si deve cercare di promuovere costantemente l’efficienza (meno energia per lo stesso scopo), la sufficienza (la giusta misura di energia) e la consistenza (il ricorso alle energie rinnovabili).
Naturalmente l’abitare ha un significato che va al di là di una semplice gestione efficiente dell’energia e delle risorse e l’ambiente costruito non può guarire esclusivamente per mezzo di tecnologie e materiali innovativi ma solo se si sviluppa contemporaneamente anche un nuovo modo di sentire, pensare e agire.
Saper costruire bene non implica solo il rispetto di regole tecniche come quelle sull’efficienza energetica ma anche la capacità di cogliere i desideri delle persone su un piano emozionale e spirituale più profondo. Sempre più persone sono alla ricerca di un ambiente di vita che renda spiritualmente più ricchi, perciò l’architettura deve tornare a rivolgersi alle persone e a riavvicinarsi alla natura.
Il futuro dell’abitare dipende fortemente dalla direzione verso cui puntiamo e da quello che progettiamo e costruiamo adesso.

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