Fra le dune nasce la potenza navale della classis ravennatis

È la grande flotta di Ottaviano Augusto

Ai primordi, Ravenna è costituita da un insediamento precario sopra dune parallele in prossimità del mare. Il fiume Lamone con percorso da Russi a Ravenna, correva lungo via Cavour e proprio all’altezza di piazza Andrea Costa piegava a Mezzogiorno, seguendo l’andamento meridiano dei festoni dunari intervallati da scorrimenti d’acque provenienti da Nord. Con il sedimentarsi di depositi alluvionali, le acque di un piccolo ramo meridionale del Po, il Padenna, si uniscono al fiume appenninico in una sorta di “y” ancora ben leggibile nel tessuto urbano cittadino. Lungo l’asse della duna che correva da via Salara a via Pasolini, importanti reperti del primo millennio a.C., testimoniano un insediamento di popolazioni umbro-italiche che a poca distanza da facili approdi costieri, trovano ben presto il modo di scambiare beni con navigatori provenienti dalla Grecia. Forse erano Tessali, di sicuro il ritrovamento di suppellettili attribuibili a questa popolazione, indirizza  alla considerazione che molti storici avanzano sulle origini di  Ravenna: «sulla riva del mare Adriatico, fondata dai Tessali in territorio umbro».
Le acque trovavano un ampio seno lagunare poco più a Sud dove adesso è localizzato Ponte Nuovo.

L’immagine scattata da Gianni Chiarini in una giornata di bassa marea all’inizio del febbraio 2016, suggerisce l’andamento dunoso della linea di costa e i suoi scorrimenti d’acque retrodunali

La linea costiera nel primo secolo corrisponde, infatti, all’andamento della ferrovia dalla stazione al ponte sui Fiumi Uniti. Le acque della Padusa arrivano in città dando il nome di Padenna a questo canale che viene percorso da imbarcazioni provenienti dal Po Eridano. L’andamento meridiano di questi scorrimenti d’acque fra un dosso litoraneo e l’altro, permette di costruire collegamenti endolagunari più a monte o più a valle, tutti afferenti alla vasta laguna che sta a Mezzogiorno della città, fra l’attuale zona ospedaliera e lo sbocco a mare localizzato all’altezza del ponte ferroviario sui Fiumi Uniti. Il grande porto di Ravenna si sviluppa qui nel 27 d.C.
A cominciare dalla metà del primo secolo, quando l’entrata in città è segnata dalla Porta Aurea, monumentale accesso ornata di splendidi marmi, viene sottolineata l’importanza del collegamento fra il “Porto Classicano” voluto da Augusto e il cuore di Ravenna. Il passaggio dalla Porta conduce alla cosiddetta zona “Ercolana” che conserva tuttora il tipico andamento viario dell’urbanizzazione romana con strade parallele che si incrociano a 90 gradi: i cardi e i decumani. Poiché Ravenna ha una pianta traslata rispetto ai punti cardinali, si può supporre che il decumanus maximus fosse quello che attraversava la Porta Aurea. Ma non è certo, poteva anche essere quello che andava da Sud-Est a Nord-Ovest, corrispondente alle parallele via D’Azeglio e via Oberdan.

Nella vasta zona portuale potevano trovare ormeggio ben 250 navi militari romane che garantivano rifornimenti e trasporti sicuri grazie al presidio armato del Mare Superum, così era chiamato l’Adriatico che proseguiva con lo Ionio e il Mediterraneo orientale.

La visione geografica dei latini era, infatti, quella di un mare “sopra” la penisola e di un mare “sotto”: il Tirreno con il canale di Sicilia presidiato dalla flotta di stanza a Capo Miseno, nei pressi di Napoli.
A quel tempo il Mediterraneo era completamente racchiuso dall’impero romano che dalle colonne d’Ercole circondava l’intero bacino: non poteva non essere chiamato Mare Nostrum. Ravenna riflette la potenza economica, militare e mercantile di Roma e il suo grande porto, per tre secoli, eccheggia di richiami nelle più svariate lingue e dialetti: dalmati, egizi e siri si mescolano con marinai cretesi e del Ponto Eusino, là dove c’è Trebisonda, importante punto di riferimento per la navigazione che, se “mancato”, avrebbe causato serie probabilità di naufragio. Da questo, ancora oggi si dice “perdere la Trebisonda” con significato di perdere l’orientamento, vacillare nel controllo.
Per mantenere inalterati i fondali dei canali portuali e quelli degli specchi lagunari, vengono adottati nel tempo diversi provvedimenti. Si tratta di impedire alle piene primaverili ed autunnali dei fiumi appenninici, di minacciare le acque portuali e il relativo sistema idroviario di collegamento con il Po, fatto scavare in epoca augustea e denominato “Fossa Augusta”. La zona compresa fra Ravenna e Classe (Classis) è popolata da una sorta di città lineare (il sobborgo di Cesarea) che corre parallela alla linea di costa, protetta da difese a mare dove vengono utilizzate massicciate di blocchi lapidei e pietrisco tenuti assieme da malte di pozzolana. Quest’ultimo materiale, viene introdotto dagli abili costruttori Romani già nel I secolo a.C. A proposito della pozzolana, così ne scrive Vitruvio nel II libro del De Architectura: «…la pozzolana di Baia o di Cuma fa gagliarda non solo ogni specie di costruzione ma in particolare quelle che si fanno in mare sott’acqua».
Ravenna mantiene così il suo rango di città portuale, “bloccando” la linea di costa con difese radenti per più di tre secoli, consolidando gli ingressi all’interno della laguna attraverso varchi protetti da poderosi moli guardiani, come quello principale situato alla bocca del porto. Probabilmente anche di fronte alla città, sulla direttrice di via Ponte Marino che suggerisce una toponomastica rivolta verso il mare, si ubicava un bacino portuale poco a Nord dell’attuale stazione ferroviaria. Le acque vengono dominate più in terra che in mare, ma i cambiamenti politici, con il trasferimento della flotta da Ravenna  a Bisanzio, avvengono nel momento in cui risulta più evidente una fase di subsidenza che compromette la funzionalità delle difese e delle opere portuali. Il suolo si abbassa e la grande potenza navale, che per più di tre secoli ha sostenuto Ravenna, abbandona i presidi che non sanno resistere alle minacce del tempo e degli elementi.
L’impero è alle corde e proprio da Bisanzio, dove sono finite le ultime navi della Classis Ravennatis, tornerà a Ravenna un nuovo potere egemonico, quello dei bizantini.

Porta Aurea e la trionfale apoteosi dell’impero romano

Di fronte alla Porta Aurea, che ne aveva evidenziato con gloria i fasti, il porto romano viene ben presto ricoperto da sedimenti alluvionali che si spingono quasi fino alla sua imboccatura. Giordanes in un suo famoso scritto (metà del VI sec.) annota: «Dove una volta vi erano alberi da cui pendevano vele, ora vi sono alberi da cui pendono frutti…».
Porta Aurea resta testimonianza del passato per tutta l’età bizantina, attraversando non senza danni il Medioevo. Nel 1582 fu distrutta: molte delle parti asportate (capitelli, frontoni, e le due bellissime patere) infine sono state collocate in una sala del Museo Nazionale di Ravenna che illustra la sua storia ai visitatori, oltre a riprodurre alcuni disegni, il più famoso dei quali venne eseguito dal Palladio.
Di seguito si riporta integralmente il testo che descrive i reperti custidi nella sala del museo, che nella traduzione inglese inizia così: «Porta Aurea, golden gate…».
«Porta Aurea voluta da Claudio, fu probabilmente inaugurata nel 43 d.C. durante il passaggio dell’imperatore a Ravenna di ritorno dalla trionfale campagna militare in Britannia. Si trattava di una costruzione celebrativa del potere imperiale con cui veniva esaltato il ruolo civico dell’imperatore come suggeriscono i motivi decorativi con corone di foglie di quercia, date in premio a coloro che avevano salvato in guerra cittadini romani.
Probabilmente legato alla presenza di Claudio a Ravenna è anche il bassorilievo con l’Apoteosi di Augusto, di committenza imperiale, esposto nel Primo Chiostro del Museo Nazionale.
Un’iscrizione, della quale rimangono due piccoli frammenti, ma il cui testo è riportato in numerose fonti, era posta lungo la trabeazione al fine di commemorare l’imperatore: TI. CLAVDIVS DRVSI FILIVS CAESAR AVGVSTVS GERMANICVS PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNICIAE POTESTATIS II CONSVL II DESIGNATVS III IMPERATOR III PATER PATRIAE DEDIT.
(Tiberio Claudio, figlio di Druso, Cesare Augusto Germanico, pontefice massimo, insignito della potestà tribunizia per la seconda volta, console designato per la terza volta, imperatore per il terzo anno, padre della patria, dedicò il monumento).
Porta Aurea venne realizzata nel tratto sud-ovest dell’antico circuito delle mura di età repubblicana in corrispondenza di uno dei maggiori assi viari dell’oppidum, di forma rettangolare, che occupava il lato sud-occidentale della città ed era circondato da mura su tre lati e, a est e a nord-est, dal flumen Padennae e dal  Flumisellum Padennae.
Tuttora rimane incerta la sua funzione: potrebbe essersi trattato di una porta urbica oppure di un arco onorario costruito lungo le antiche mura già in disuso.

In epoca tardoantica il monumento, inglobato nelle mura e inquadrato da due torri semicircolari demolite durante il dominio veneziano, ebbe funzione di ingresso meridionale alla città.

A questo periodo risalirebbe anche l’appellativo di Aurea a imitazione della porta monumentale fatta costruire a Costantinopoli da Teodosio II nella prima metà del V secolo.
Nel 1240-1241 Federico II la fece spogliare di molti dei suoi marmi, senza tuttavia distruggerla.
Nel 1472 fu realizzato un sigillo in bronzo della città di Ravenna con la rappresentazione, poco verosimile, del monumento romano a due fornici, due porte laterali sormontate da clipei e affiancate da due torrioni circolari a tre piani. Nel cerchio interno si legge la scritta: PORTA AVREA DE RAVENNA. In epoca rinascimentale Porta Aurea fu uno dei monumenti più noti della città: fu disegnata da importanti architetti come Giovanni Battista da Sangallo, Andrea Palladio e Pirro Ligorio.
Nel 1582, ormai interrata e in pessime condizioni, si decise di demolirla; non fu salvata neppure in seguito all’ipotesi di smontarla e ricomporla in prossimità della chiesa di Santa Maria in Porto. Il materiale superstite fu utilizzato nella decorazione di Porta Adriana, dove vennero incluse le due grandi patere, e successivamente nella Porta Serrata che fu restaurata nel 1648.
Nel 1906-1908, data la necessità di aumentare le aperture lungo le mura cittadine, furono eseguiti dall’allora Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna alcuni scavi e ricerche di fronte a via Porta Aurea, al fine di studiare gli eventuali resti ancora presenti sottoterra e comprendere così la conformazione della celebre struttura romana.
Gli sterri compiuti fornirono importanti informazioni; rimisero in luce i resti delle due torri circolari in mattoni (tuttora visibili in sito), gli avanzi dei nuclei interni dei piloni angolari della porta, un tratto della strada basolata in trachiti e numerosi frammenti marmorei, forse appartenenti a una fase tardoantica di riutilizzo della porta, che confluirono,assieme a quelli sopravvissuti alla distruzione cinquecentesca, nelle collezioni del Museo Nazionale di Ravenna.

La porta a due fornici, che si estendeva per una lunghezza, comprensiva delle due torri, di 36,5 metri e per una larghezza di 9 metri circa, era sostenuta da due piloni laterali in muratura e uno centrale in marmo, decorati, verso l’agro, da coppie di colonne scanalate (inv. n. 295) poste su plinti (inv. n. 306) e sormontate da semicapitelli corinzi (inv. nn. 296, 307). L’iscrizione (inv. nn.299, 300) correva lungo la trabeazione (inv. n. 302) posta sotto due frontoni che si trovavano in corrispondenza delle due arcate caratterizzate da archivolti con cassettonato a esagoni e rombi (inv. n. 297) e sorrette da colonne a girali vegetali (inv. n. 309). Ai lati delle aperture due nicchie, affiancate da piccole colonne con motivi vegetali (inv. n. 308), erano sormontate da due patere (inv. nn. 292, 293) decorate da ghirlande ornate da piccoli fusi, da un secondo giro a foglie di quercia e da una fascia più ampia a palmette».
La sala del museo contiene anche elementi architettonici frammentari provenienti da altri edifici pubblici, tra cui un cornicione di periodo medio o tardo repubblicano (inv. n. 327) e due frammenti di cornici (inv. nn. 301, 298) appartenenti probabilmente a edifici adiacenti a Porta Aurea.

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