Forme e valori del sharing design

Dal Salone del Mobile di Milano le indicazioni per il futuro condiviso e sostenuibile della designer Matali Crasset

Lei è Matali Crasset, icona francese del design contemporaneo più innovativo e sociale. Studi all’Ecole National Supérieure de Création Industrielle, lunga collaborazione prima con Denis Santachiara, poi con Philip Starck, grazie al quale ha coordinato per otto anni il Design center di Thomson Multimedia, diventando a soli 28 anni responsabile di 25 designer e della progettazione dei Dream products, i prodotti che disegnano gli scenari del futuro.  All’inizio del decennio scorso ha creato una sua società, la Matali Crasset Productions con sede a Belleville, nel cuore del quartiere multietnico e popolare parigino, dove è nata Edith Piaf e dove Daniel Pennac fa vivere la sua famiglia Malaussène.
Lì Matali Crasset ha realizzato il suo studio e la sua abitazione in un’ex tipografia ristrutturata che condivide con altre dieci famiglie in una sorta di comune allegra e piena di voci e giochi. Asserisce che l’unico spazio della casa cui non rinuncerebbe mai è la stanza dei suoi figli e non concepisce una vita senza matite colorate. Ora collabora, tra gli altri, con Artemide, Campeggi, Danese, Nodus, Fabbian illuminazione, Edra. E ha anche sviluppato diversi progetti per Ikea.
Crasset ha lunghe antenne che captano il futuro ed è aperta, intuitiva e sovversiva, positivamente sovversiva.  Del suo lavoro dice: «Mi vengono chieste sempre più spesso quali sono le mie considerazioni strategiche e le prospettive. Di solito considero i miei progetti da un punto di vista maieutico, non si tratta solo di dare una forma alla materia – l’estetica – ma piuttosto di fare emergere e di organizzare intorno a valori e intenzioni condivise, legami e reti di competenza, connivenza e socialità. La maggior parte dei progetti ai quali sto attualmente lavorando mettono in evidenza questa dimensione collaborativa e di lavoro di squadra».
Al Fuorisalone 2016 ha allestito all’Unicredit Pavillon il grande spazio “Reinventare un mondo comune”, nel quale ha messo in scena le possibili risposte agli interrogativi contemporanei sul legame tra il design e il sociale. Si è trattato di un percorso che ha invitato a riflettere sul senso del “comune” contemporaneo. Quattro erano le sezioni: la prima “Reinventare un mondo comune”,  poi  “Il mondo comune e il mondo interiore” dove l’installazione La Trama Ancestrale ha proposto tre dispositivi sperimentali in grado di creare una distorsione spaziale e temporale, punto di partenza per una riflessione sul mondo interiore, e poi “Il mondo comune immaginario”, dove ad essere illustrati sono stati tre progetti creati dalla designer per i bambini (i personaggi di Fl’om nella Blobterra , quelli di Globo e i castelli d’acqua e il gioco di costruzione interattivo Tubuland) e infine “Il mondo in divenire”, il luogo in cui giovani designer, italiani e internazionali, sono stati invitati a presentare il loro lavoro e a realizzare insieme una sperimentazione e un progetto insieme.

Nella prima sezione, che ha dato il nome all’intero allestimento, la designer ha raccontato come l’azione umana e socializzante può inventare e realizzare progressivamente, attraverso l’esempio, un progetto di sviluppo collettivo del territorio, sostenibile e bellissimo, forse anche un po’ magico. In quest’area sono stati esposti i progetti delle Les Maisons Sylvestres, realizzate dall’artista nella Meuse (Francia), come suo segno all’interno del progetto di valorizzazione del territorio “Vent de Forêst”, itinerario creativo  che ha già coinvolto decine di artisti contemporanei con la creazione di più di novanta opere d’arte site specific all’interno di un bellissimo bosco. Qui Crasset ha progettato Les Maisons Sylvestres, quattro moduli da lei definiti metaforme: venti mq leggerissimi, realizzati con una combinazione di legno d’acacia, douglasia e acciaio galvanizzato, che non presentano fondazioni e possono essere liberamente trasferiti nella foresta senza danneggiare la natura. Hanno una stanza centrale, posti letto per quattro persone, un terrazzo e una grande rete/dondolo all’esterno. I servizi sono essenziali come si conviene allo spirito del progetto, luce a gas, stufa a legna, toilette ecologica. L’acqua si trova all’esterno in un corso d’acqua che deve essere necessariamente condiviso con le creature del bosco.
Le case elfiche di Crasset s’inseriscono perfettamente nell’ambiente e sono un invito ad avvicinarsi alla natura in maniera sostenibile, lasciando un’impronta ecologica trasparente, invitano alla fusione panica con la natura e, nello stesso tempo, sono un inno al pensiero laterale, al ritrovamento di altre strade per percorrere il mondo.

Basta guardare la grande rete/nido per sdraiarsi a guardare le chiome degli alberi, ascoltando i rumori della foresta.  I piccoli rifugi sono stati collocati lungo il sentiero che collega i sei villaggi agricoli sparsi lungo il bosco di 5.000 ettari e sono stati costruiti in collaborazione con gli artigiani, gli studenti delle scuole e gli abitanti del luogo. Il mondo reinventato, o ritrovato, dalla designer francese è un mondo che guarda alla comunità, all’idea di relazione, in una visione deliberatamente micro, diffusa, locale che mette al centro l’individuo e gli fa afferrare altre cento, mille mani per potere stare bene e costruire insieme.
Lei asserisce di aver dato semplicemente un corpo all’idea di quella comunità. Nel dar corpo a quest’idea, riesce a far convivere in equilibrio la dimensione industriale con quella artigianale, senza contraddizioni.
La seconda delle utopie realizzate da Crasset al Salone del Mobile è la Trama Ancestrale, un’installazione interattiva e multimediale che, grazie ad una serie di specchi e dispositivi relazionali, richiedeva l’intervento del visitatore per passare da un’esperienza unicamente esteriore ad una prettamente interiore e profonda. Nel “Mondo come immaginario” l’artista ha presentato invece il progetto di ristrutturazione della scuola rurale di Trébédan, dove nel 2015 ha creato un ambiente condiviso, inclusivo, pedagogico, concepito come nucleo centrale di tutta la vita del piccolo villaggio di 350 persone. Tubuland è invece un gioco per bambini interattivo, mentre Fl’om nella Blobterra è uno dei personaggi che animano un altro dei progetti della designer, esposto alcuni anni fa alla Galerie des Enfants del Centre Pompidou a Parigi,  Le Blobterre, un mondo multisensoriale, che funziona secondo una logica propria e propri sistemi vegetali, abitanti e odori, con il quale i bambini, se vogliono, possono entrare in relazione, giocare e aprire scenari e storie infinite. Nell’ultima sezione invece gli scenari immaginati sono scaturiti dal lavoro condiviso di un gruppo di giovani artisti, tre collettivi, Rond Point, Studio Fludd e Wood-Skin, e una designer Isabelle Daëron che, oltre a presentare i loro progetti, hanno iniziato un progetto comune. Queste le indicazioni per un futuro condiviso di una designer che, quando progetta, per prima cosa si chiede «Che cosa voglio dare alle persone? Poi viene la forma. E il materiale di conseguenza».
E alla fine sa indicare più degli altri gli scenari della nostra vita futura.

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