Zamboni Associati Architettura e cavejastudio: il racconto e le opere

La rinascita di grandi spazi urbani in sinergia fra pubblico e privato e il discreto rispetto del genius loci nella progettazione

Gli studi Zamboni Associati Architettura (Reggio Emilia) e Cavejastudio (Forlì) sono gli ospiti del quarto incontro del ciclo 2016 delle confereze “SeDici Architettura”, in calendario giovedì 16 giugno al padiglione delle Feste delle Terme di Castrocaro. La rassegna propone incontri-confronti fra protagonisti esperti ed emergenti della progettazione contemporanea ed è promossa dalla rivista Casa Premium della società editoriale Reclam e ideata dal comitato scientifico composto da Gianluca Bonini e Giovanni Mecozzi di Nuovostudio e da Filippo Pambianco Cavejastudio, con il patrocinio degli Ordini professionali degli architetti e ingegneri di Ravenna e Forlì anche ai fini formativi. Di opere pubbliche, di parametri per i progettisti in concorso e di trasparenza, dialogano in una tavola rotonda condotta dal direttore di Casa Premium Fausto Piazza, i relatori della conferenza e altri esperti sul tema.
Andrea Zamboni, studia alla facoltà di Architettura di Ferrara e all’Accademia di Architettura di Mendrisio (Svizzera). Si laurea a Ferrara, relatori Peter Zumthor e Vittorio Savi e in seguito collabora con Nicola Di Battista a Roma e Guido Canali a Parma. Con Canali Associati segue come responsabile di progetto la realizzazione del museo di arte contemporanea di Kyong Ki (Corea del Sud) dal concorso fino alla realizzazione, oltre al progetto di riconversione della Manifattura Tabacchi di Milano. Nel 2002 è selezionato per il Premio Architettura dell’Accademia di San Luca a Roma. Dal 2005 svolge attività didattica e di ricerca nella facoltà di Architettura “Aldo Rossi” a Cesena. Dal 2010 è dottore di ricerca in Composizione Architettonica all’Università di Bologna. È autore di numerosi saggi e pubblicazioni. Dal 2013 è professore a contratto in Composizione architettonica alla Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna e fa parte del Centro Studi della rivista internazionale di architettura “Domus”, diretta da Nicola Di Battista.

Da Porta S. Pietro alla Fonderia Lombardini, opere di riqualificazione a Reggio Emilia

Sopra alcuni progetti di rilievo nazionale e internazionale firmati dallo studio Zamboni Associati Architettura

Lo studio Zamboni Associati si occupa, fra i tanti ambiti di intervento, anche di riqualificazione degli spazi pubblici come nel caso di Porta San Pietro e via Emilia Ospizio a Reggio Emilia, vincitore nel 2010 del I premio nazionale IQU (Innovazione e Qualità Urbana). Può spiegare la natura di questo progetto e in generale che tipo di approccio deve avere il progettista quando interviene su un luogo urbano per migliorarne la vivibilità, mitigare effetti stranianti e magari alimentare il senso di appartenenza dei cittadini?
«Il progetto per la riqualificazione di Porta San Pietro e via Emilia Ospizio a Reggio Emilia è quello che ad oggi ci ha dato la massima soddisfazione. Si trattava di riqualificare un tratto di via Emilia in ingresso a Reggio, invertendo la percezione che dominava in precedenza, di un’arteria di traffico a grande velocità e percorrenza dove l’auto la faceva da padrona, verso l’obiettivo di un viale urbano estensione delle strade del centro storico, a cui si riconnette in corrispondenza di Porta S. Pietro. Un progetto pilota che il Comune di Reggio Emilia ci ha chiesto di sviluppare per poi applicarlo alle altre strade di grande percorrenza in ingresso alla città, ricucendo prima periferia e centro. Abbiamo lavorato per due anni, l’obiettivo era ribaltare la gerarchia tra automobilisti, ciclisti e pedoni a favore di questi ultimi. Tutto il progetto è giocato su pochi dettagli che nel tratto di 1 km si applicano con moltissime varianti. Abbiamo lavorato sulla sezione stradale, sulla fascia centrale, sulle protezioni per gli attraversamenti, sulle immissioni laterali, sull’arredo urbano, sulla pavimentazione, sul sistema di illuminazione, sulla ricostruzione del filare di tigli, abbiamo anche raddrizzato un pezzo di strada che nel tempo aveva perso la sua linearità. Un lavoro molto complesso, immaginate il cantiere, alla fine la percezione è quella di un nuovo ordine nel quale sembra che non abbiamo fatto nulla. Il terrore di ogni architetto, ovvero non lasciare traccia del suo segno, del suo lavoro. E invece è il nostro orgoglio più grande. Per la città è diventato un nuovo spazio pubblico molto vissuto e viene portato come esempio da tutte le persone che quotidianamente lo vivono. Oggi siamo alle prese con una sfida analoga, in questo caso un complesso storico, i Chiostri di San Pietro, il più bel complesso monumentale della città di Reggio Emilia il cui chiostro grande fu disegnato da Giulio Romano. Un complesso che per ora viene aperto al pubblico in occasione della Settimana della Fotografia Europea, di cui è la sede centrale e il cuore. L’obiettivo è trasformarlo nel cuore pulsante delle attività culturali e innovative della città. Il progetto verrà finanziato tramite i bandi del POR-FESR, una bella opportunità per tante città. Presto partirà il cantiere».

A Ravenna è aperto da tempo il tema della riqualificazione della darsena di città e del recupero di molti edifici industriali dismessi. Per questi ultimi il percorso appare, al di là delle buone intenzioni, in salita. Che cosa può fare il pubblico per accompagnare e favorire buoni progetti di riconversione su beni in buona parte di proprietà privata?
«Nel 2004 abbiamo completato il recupero e riconversione della ex Fonderia Lombardini, un edificio industriale di inizio del secolo scorso dove si producevano i motori per i locomotori. Oggi è la sede stabile di Aterballetto e della Fondazione Danza, un centro dove si producono gli spettacoli della compagnia di danza, ma aperto al pubblico in occasione delle prove. Ha la forma di una cattedrale romanica, con le tre navate e coincidenza volle che la navata centrale avesse la larghezza di un palcoscenico da teatro, quindi perfetto per le prove “al vero” degli spettacoli che poi vengono portati in giro per il mondo da questa compagnia molto nota a livello internazionale.
È stata per noi la prima occasione di questo tipo, in tempi in cui ancora non si parlava così di frequente di riconversioni di complessi industriali e di rigenerazione urbana. Da allora ci capita spesso di venire chiamati per sfide di questo tipo. Di recente per esempio siamo stati coinvolti, con il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, nel grande progetto di recupero dell’area Staveco di Bologna, fortemente voluto dall’ex Rettore Ivano Dionigi, che dovrà diventare un nuovo campus universitario dell’Alma Mater a ridosso del centro storico. E negli ultimi mesi siamo coinvolti in una innovativa operazione di ri-uso temporaneo di un grande complesso industriale per la creazione di un Museo della Meccanica Reggiana. Sono tutte operazioni che hanno visto una forte sinergia tra pubblico e privato o comunque la parte pubblica è il motore o il facilitatore dell’operazione».

Il suo studio partecipa frequentemente a concorsi di progettazione in ambito pubblico in Italia e all’estero. Nel nostro Paese quali sono i cambiamenti più urgenti e quali azioni immediatamente applicabili si possono mettere in campo per migliorare le procedure concorsuali in termini di trasparenza e reale selezione?
«Abbiamo un lunga esperienza di concorsi, sia in Italia che all’estero, come del resto tutti gli studi di architettura. Non credo che per i concorsi il problema sia di trasparenza quanto di selezione. Se ci fossero concorsi per ogni commessa di rilievo, sia pubblica che privata, e se fosse applicata una selezione con una successiva chiamata ad invito che consenta, sulla base del portfolio e di un’idea basica di progetto, di poter dedicarsi a quel concorso con maggiori chance e minore perdita di tempo, come per esempio si fa in Francia, credo che tutti potremmo lavorare e tutti avremmo maggiori aspettative dai concorsi, per primi i committenti stessi. Facendone tanti, garantendo giurie di reale spessore e con una varietà di profili, credo che si garantirebbe una reale e continua rotazione tra i vincitori e chances per i più giovani. Oggi i concorsi in Italia danno la falsa illusione sia ai progettisti che ai committenti stessi di un sistema che funziona, quando invece è una grande perdita di tempo e di occasioni per tutti, di solito diventano immagini buone per i giornali, per i siti internet e poco più».

Di recente ha curato con Annalisa Trentin un volume dal titolo La casa e l’ideale, un volume nato dall’esperienza didattica all’interno del Corso di Composizione Architettonica I  del dipartimento di architettura dell’università di Bologna. Può raccontare ai lettori di Casa Premium gli esiti di questa ricognizione a più voci?
«Con Annalisa Trentin stiamo portando avanti da qualche anno un metodo didattico che ci sta dando grandi soddisfazioni, aggiungo alla scuola di Architettura e Ingegneria trovo studenti con una straordinaria capacità di ascolto e di interpretazione della sfide che proponiamo. Ogni anno scegliamo un tema molto concreto e pratico, ma la prima metà del laboratorio la passano a ridisegnare, e quindi interpretare, progetti analoghi a quelli che dovranno sviluppare, ma pensati e realizzati dai grandi maestri del Novecento. In questo modo apprendono cosa significare fare un progetto in tutta la sua complessità, un fatto tecnico, culturale, di rappresentazione e restituzione, una sfida innovativa. Poi, sulla base del progetto analizzato e restituito, chiediamo di fare il loro progetto sulla base dei principi che hanno guidato il progetto del maestro. È come a scuola-guida, prima si guida con l’istruttore e con i comandi doppi, poi l’istruttore sparisce gradualmente e ti trovi nel traffico a dover guidare e condurre l’auto da solo. E ogni anno cerchiamo di concludere con una pubblicazione dei lavori degli studenti, in modo che rimangano non solo i voti sul libretto ma anche traccia del lavoro di ricerca».

In vista della redazione di una nuova legge urbanistica regionale, quali novità si aspetta in termini di pianificazione urbana?
«Mi aspetterei, nei criteri generali, una maggiore attenzione ai temi che a tutti premono, l’effettiva attenzione al consumo del suolo, al fatto che davvero le città si possano trasformare non per espansione ma per rigenerazione di aree e fabbricati, al lavoro sugli interstizi urbani. Quando prendo un volo e guardo la pianura padana dall’alto penso che è stato compiuto uno scempio spaventoso, mi chiedo come abbiamo fatto a saturare tutto in maniera così dissennata, non ci sono altri posti al mondo con un’edilizia così dispersa nel paesaggio in modo caotico e senza criteri. Direi che oggi si vede come il boom edilizio sia stato peggio della guerra, e conto che le nuove generazioni di politici e architetti possano essere guidati da una maggiore sensibilità verso questi temi. Mi aspetto una maggiore flessibilità nell’interpretazione delle norme urbanistiche, ma non per aiutare i furbetti quanto per favorire una vera innovazione. Il progetto di ri-uso temporaneo che stiamo portando avanti con l’assessorato alla Rigenerazione urbana di Reggio Emilia è davvero innovativo ma innanzitutto nelle premesse e nei metodi, guarda a città come Amburgo, Berlino, Londra o San Francisco, e cerca di far sì che all’immobilismo segua una nuova modalità di progettazione in cui li Comune è facilitatore e il pubblico e il privato si incontrano con il tramite del progettista, che quindi non è solo un creatore di forme quanto un costruttore di opportunità».

«Solo dall’attenta conoscenza della situazione locale scaturiscono risposte di valore generale»

Nel 2014 Filippo Pambianco ed Alessandro Pretolani fondano cavejastudio. Entrambi laureati a Bologna e con alle spalle esperienze di formazione e ricerca a livello internazionale. La caveja è il simbolo più eloquente della Romagna e dell’attaccamento che quest’ultima riserva alla terra e alle tradizioni.
Cavejastudio intende valorizzare la tradizione, mantenendo una prospettiva aperta verso l’Europa ed il Mondo. Punto di partenza del lavoro è la consapevolezza che solo dall’attenta conoscenza della situazione locale si possa arrivare a risposte di carattere generale.
Lo studio di architettuttura viene inteso come “bottega” dove l’architettura si fà attraverso un processo lento,  basandosi sullo studio attento del genius loci e dei caratteri specifici che contraddistinguno ogni luogo.
Dal 2014 hanno collaborato con cavejastudio: Francesco Mariani, Laura Vestita, Michele Rinaldi, Giacomo Gresleri, Federico Tassinari, Ylenia Donati, Gaia Barbieri, Eleonora Fantini, Nicolas Piazza, Nicola Romagnoli. Cavejastudio ha ottenuto diversi riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali da Trento a Cesena e Forlì, da Terni a Napoli fino al Canton Ticino.
Tema principale della conferenza di cavejstudio  saranno i concorsi. Attraverso l’eposizione di sei progetti si cercherà di costruire un’immagine univoca del percorso ideativo che sottende il progetto architettonico. Sono forme chiare, volumi riconducibili a geometrie elementari che trovano la loro complessità nelle relazioni fra le differenti parti. Si tratta di edifici a valenza pubblica, in alcuni casi urbana, che implicano un impegno non solo architettonico ma anche sociale. Filo conduttore di questo percorso sono la ricerca e la coerenza. Stiamo assistendo ad un decadimento generale della qualità architettonica e la conseguente perdita di valori fondanti della compagine sociale, pensiamo che la “buona architettura” sia quella che rispetta il luogo in cui sorge e che preferisce farsi notare discretamente, sottovoce.

Rendering di progetti ideati da cavejastudio di Forlì

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