La campagna appena ieri, dove si può “riveder le stelle”

Pietro Barberini Campagnajpg04 Pietro Barberini • Percorre le strade della sua giovinezza a Bagnacavallo dove respira e vive i ritmi della “Romagna Estense”, nei “favolosi” anni Sessanta.
Alla ricerca di un’identità, ben presto inizia ad approfondire curiosità, interessi letterari, artistici e storici, muovendosi  su quella tavolozza multicolore che conserva la memoria del paesaggio e della parola. Fin dal suo ingresso nel mondo del lavoro si è occupato di comunicazione, dirigendo uffici stampa e testate giornalistiche. Collabora da tempo con riviste e associazioni culturali, scrivendo articoli e saggi di storia e geografia del territorio, argomenti sui quali tiene anche cicli di lezioni. Delle diverse pubblicazioni, si ricorda la prima pubblicata mel 1993 “La campagna appena ieri” (Edit Faenza).
Utilizza la macchina fotografica per prendere appunti e la penna per rendere viva l’immagine; la bici per viaggiare.
Continua a studiare indagando il paesaggio reso vivo dal lavoro e dall’esperienza dell’uomo, interrogando le persone alla ricerca di indizi bibliografici e bigrafici che insieme alla cartografia sono alla base della sua passione.
Sulla rivista Casa Premium scrive di storia, topografia, toponomastica e altre memorie del territorio.

1 – Nuvolari

Quando da bambino arrivavo a Ravenna, città acquattata in prossimità del mare, misteriosa per l’alone di caligine e foschia che ne smorzava ogni contrasto, la strada si allargava nel Borgo San Biagio, un viale di pini con distributori di benzina sui due lati. Le insegne multicolori abbracciavano la modernità ed erano un omaggio alla diffusione delle quattro ruote che riempivano le strade.
Quando negli anni del dopoguerra la Mille Miglia attraversava, rombando, la città, qui erano collocati il controllo orario e il rifornimento. Una targa ricorda gli anni dei passaggi di Nuvolari e Ascari, Borzacchini e Campari dal 1947 al 1957.
Sul mosaico a scacchi corre un bolide che assomiglia al carro del sole che Fetonte guidò all’impazzata: «La strada che mal non seppe carreggiar Feton» (Dante, Purgatorio, IV, 71-72).
Nel mito, il figlio di Apollo e Climene, muore come un pilota in gara, diventando eroico ed immortale.
L’asso del volante di ogni tempo è Nuvolari. Il suo nome resta nella storia e la sua macchina sul piccolo monumento di via Maggiore vola fiammeggiante. Non può che essere così, come viene cantato da Lucio Dalla:
«Quando corre Nuvolari mette paura
perché il motore è feroce
mentre taglia ruggendo la pianura
Gli alberi della strada
strisciano sulla piana,
sui muri cocci di bottiglia
si sciolgono come poltiglia,
tutta la polvere è spazzata via!
Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
la gente arriva in mucchio e si stende sui prati,
quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore
e finalmente quando sente il rumore
salta in piedi e lo saluta con la mano,
gli grida parole d’amore,
e lo guarda scomparire
come guarda un soldato a cavallo,
a cavallo nel cielo di Aprile!»

2 – Un’umile ghiandaia  preannuncia l’ora et labora

La ghiandaia di San Vitale, nella raffigurazione musiva posta nell’intradosso dell’arco trionfale, sembra muoversi a proprio agio nel pineto abbaziale. Il corvide dal piumaggio assai raffinato, tutti i toni del beige, ali scure e piume screziate d’azzurro, si aggira in cerca di ghiande nel sottobosco della pineta di San Vitale: un sogno proiettato dal pensiero del mosaicista che opera nel VI secolo, ben prima che i monaci dessero vita alla pineta. Un omaggio all’eleganza e alla straordinaria forza della bellezza che, luccicante nelle tessere, esce dal tempo come altri capolavori dell’arte.
La foto del mosaico è di Cetty Muscolino.

3 – Sovrapposizioni “en plein air”

I laterizi costituiscono una barriera difensiva che interventi successivi hanno assemblato in una sorta di patchwork. Sui merli della torre Zancana, fatta costruire dal podestà veneziano Andrea Zancan sul finire del XV sec., come in un sapiente gioco d’incastri, la chiesa della Madonna del Torrione, alza un copricapo dagli spigoli taglienti, sull’angolo più bello delle mura.
Dedicato a chi ricorda Paolo Fabbri, che ha scritto e riscritto delle mura di Ravenna, fra un mattone e l’altro.

4 – Il bel camìn…

L’impronta della Serenissima incastona tratti stilistici che sembrano riportare le acque a Ravenna. Le mensole e la splendida canna fumaria dell’edificio di via Paolo Costa si alzano quasi impertinenti a simbolo di un dominio economico capace di “costruire”. La rigorosa, ma buona amministrazione dei Veneziani, fu a lungo rimpianta dopo l’abbattimento del Leone di San Marco dalla colonna della Piazza del Popolo nel 1509. L’emblema di San Marco, fu sostituito dalla statua di Sant’Apollinare, ma sull’altra colonna, rimasta vuota, venne collocata molto più tardi, al posto del patrono della città, una scultura di San Vitale eseguita …a Venezia. Sparse in città, le testimonianze del “saper fare costruttivo” della parentesi veneziana, restano nel tessuto cittadino: tessere identificabili nel mosaico urbano, integrate e mai “discoste”. Tutte brillano per qualcosa: modanature, angolari, cornicioni, balconcini, fregi e decorazioni.

5 – “Braccino di misura!”

Da oltre cinque secoli, le “misure campione” sono sempre lì, sulla parete di fondo dell’ampia sala in cima allo scalone di Palazzo Merlato.
Rappresentano un tangibile contrassegno del tempo, insindacabile riferimento per compra-vendita di mercanzie e stoffe, quando il braccio del venditore era sempre troppo corto!

6 – Tagliati i Galletti Abbiosi

Ci sono cose che ormai non vedi più.
All’angolo fra via Mariani e via di Roma, dalla parte opposta al ginkgo biloba del Liceo Classico, l’angolo del palazzo Galletti Abbiosi è tagliato: la “fetta” mancante consentiva il passaggio dei binari della tranvia a vapore Ravenna-Forlì che per alcuni anni ebbe la stazione “centrale” di fronte al Teatro Alighieri.
Alle orfanelle era però proibito osservare dalle finestre il cigolante convoglio composto da una vaporiera e da una carrozza. La visione del treno era paragonabile ai fasti del Ballo Excelsior per quelle sensibili ed innocenti fanciulle.
Spariti i binari restò il Collegio Femminile legato alle volontà testamentarie del conte Galletti Abbiosi. Non era opportuno che le “Orfanelle” vedessero che cosa accadeva fuori e anche se non c’era più il treno, nuovi mezzi di trasporto passavano veloci sulle strade. Il progresso avrebbe dovuto porre fine al magrissimo vitto e alle severe punizioni, nonché ad una segregazione ingiustificabile e ingiustificata. Pare che le carte fossero di segno contrario, ma sono state (colpevolmente?) smarrite o sostituite… Rimane l’ingiustizia, l’iniquità e il mancato risarcimento che avrebbe rappresentato il minimo… Cosa resta? Un albergo, l’unico in città con annessa cappella per raccogliersi in preghiera ed un angolo mancante.
Ciò che manca veramente è quello che non si vede.

7 – La villeggiatura

“Va nei frati” sentivo dire come sfottò mai cattivo.
In convento, una volta, ci finivano in tanti e non sempre per vocazione o libera scelta.
Molti trovavano in un compito lavorativo una dimensione più appagante della preghiera. La spiritualità risiedeva in una vita austera, ma naturale, favorita e scandita dal vento che preannunciava il cambio delle stagioni.
Il castello di Ribano, sulle prime colline a monte di Savignano, ora di proprietà degli eredi Spalletti, i principi Colonna di Paliano, era residenza estiva dei monaci di Classe che qui soleano trascorrere un periodo di riposo per sfuggire alla calura e alle zanzare fameliche.
Nelle carte del parroco di Mont’Albano, la borgata vicina al castello di Ribano, spiccano alcuni appunti degli anni a metà del Seicento che ricordavano l’arrivo dei frati dalle basse ravennati: si raccomandava di avvertire i fedeli che di lì a poco sarebbero arrivati i monaci da Ravenna intimando massima attenzione e vigilanza riguardo alle fanciulle e anche alle donne maritate!

8 – Byron sulle colline cesenati

Il territorio attorno allo storico fiume Rubicone è appartenuto fin dall’epoca bizantina a Ravenna e rappresenta un ponte ideale fra la città dell’arcivescovo e la parte esarcale che si spingeva verso il centro Italia.
Il luogo del celebre passaggio di Cesare potrebbe essere accanto all’antica Pieve di San Martino in Rubicone, parrocchia di Calisese, sette chilometri a scirocco di Cesena.
Dall’antica Pieve la storia accavalla le sue pagine e risale quella vallata boscosa fino al borgo fortificato di Monteleone. La piazza, un piccolo slargo sulla mezzaluna acciottolata che circonda il castello, è intitolata a Lord Byron.
Dopo alterne vicissitudini, conteso fra Malatesta, Ordelaffi e Signori di Montefeltro, il castello nel 1745 passò alla nobile famiglia ravennate dei Guiccioli. Qui Byron fu ospite del conte Alessandro, marito di Teresa Gamba.
La strada prosegue sul crinale, dove s’allargano visioni sospese verso l’azzurro del mare.
Di quelle dolci colline, il punto più elevato è il monte Farneto, dove è eretta una chiesa sacra ai marinai. All’interno campeggia una scritta: «Il mare visto dalle nuvole».

9 – La campagna appena ieri

La campagna appena ieri è il titolo di un libro nel quale ho messo emozioni e ricordi di tutti i sensi. La mia campagna era in quel titolo, appena dietro l’angolo dei ricordi.
Quando torno sulle stradicciole della mia infanzia, alcuni tratti sono ancora “bianchi” di polvere, le ruote della mia bicicletta non risuonano di nostalgia, ma vincono l’inerzia del passato, girando verso una ri-scoperta. Che cosa troverò oltre quella curva, quali suoni, richiami e fruscii mi verranno incontro? La chiesetta delle Abbadesse, silenziosa e con un cartello che ne annuncia la vendita, al pari di tanti casolari.
Un passaggio nella campagna a Nord del “mio paese”, Bagnacavallo, lo metto sempre per far assomigliare la mia uscita di pianura alle gare ciclistiche delle quali facevo la radiocronaca quando frequentavo ancora le scuole elementari. Quei viottoli, diventavano la corsa, una classica fiamminga, dove scattava il mio idolo, Rik Van Looy. In quella dolce campagna oggi abita la “Signora Maria” creata dalla genialità artistica di Anna Tazzari.
Nella foto, la chiesetta delle Abbadesse, nella campagna di Bagnacavallo.

10 – Campagna con vista

Un angolo nella campagna contrassegnato da un albero ed un’edicola votiva dove, fino agli anni Sessanta, a maggio, si recitava il rosario. Pochi ricordi fissati su pellicola in bianco e nero, con i mille toni color nostalgia; poi altri innumerevoli passaggi, ma lasciati al tempo della buona occasione, il kairós. Un angolo del mio paesaggio agreste ha trovato nuovi occupanti: giovani coppie abitano case coloniche, badanti dell’Est europeo fanno la spola con la vicina Bagnacavallo, spopolata di mestieri ed abitanti.
Passano frettolosi pensieri, bollette da pagare, conti della spesa, furgoni e bambini da portare all’asilo. I poderi si sono allargati e le coltivazioni non sono più sorvegliate dall’occhio attento del contadino, anche perché nella sua cucina ora abita un bancario.

11 – Nell’immensità

…Dietro una cortina di stelle di una galassia lontana, c’è un pianeta che assomiglia alla Terra, avendo una banda di emissione elettromagnetica quasi identica. Le nuove frontiere dello spazio le misurano i radiotelescopi che proiettano i nostri sogni ad anni luce di distanza. È questa l’unità di misura, la vecchia luce utilizzata da Lumière che ha fatto piangere e sognare, la stessa luce (fotós) che colpisce il sensore digitale della reflex… Anche in questo caso la tecnica e l’innovazione hanno reso tutto più veloce.
Ma guardando il cielo, al di là di vicine luci, un tappeto di corpi celesti disegna l’immensità dove i pensieri si perdono nella notte dei tempi. Immaginiamo però un’altra terra dove andare e l’abbiamo trovata.
Anche i nostri antenati costruirono urne cinerarie del I sec. come quella raffigurata (custodita al Museo Nazionale di Ravenna): una piccola casa nell’immensità.

Tutte le foto sono di Pietro Barberini

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