Le mirabili alchimie dell’immaginario

Come un dente di narvalo diventa il prodigioso corno di Unicorno

Marco Polo, Libro delle meraviglie, 1410-12, Biblioteca Nazionale, Parigi

Fin dalle epoche più remote l’uomo ha intrecciato intense relazioni con gli animali, nutrendosene, impegnandoli nei lavori agricoli e nelle competizioni sportive, studiandoli, addomesticandoli, temendoli e spesso idolatrandoli per la superiorità fisica. Se ne è osservata la capacità organizzativa e la cura verso i propri piccoli, e spesso sono stati interpretati quale specchio della vita umana, come leggiamo nelle favole di Fedro, Esopo, e poi La Fontaine, in cui si cristallizzano caratteri come la cattiveria del lupo, l’innocenza dell’agnello, o la furbizia della volpe.
Gli animali, per la ricca valenza simbolica, sono entrati a viva forza nell’inconscio collettivo, quale metafora di traumi, complessi, o rappresentazioni delle fasi del processo alchemico, come ha analizzato Jung nell’opera Psychologie und Alchemie (Zurigo, 1944).
Dalla prima schedatura fatta dal vescovo di Lione Eucherio (432-450) alle compilazioni enciclopediche come le Etimologie di Isidoro di Siviglia, che danno un’interpretazione cristiana agli animali biblici, si passerà rapidamente a rappresentarli nei luoghi sacri. Le caratteristiche, o nature, degli animali vengono catalogate e connotate in positivo o in negativo, e si costruisce una sorta di alfabeto simbolico utile per prediche e dimostrazioni.
Indubbiamente nel grandioso zoo elaborato nel corso dei secoli un posto di primissimo piano è occupato dall’unicorno, la cui fortuna e lo strepitoso successo lo fa emergere fra tutti. Ma di quale bestia si tratta? Chi l’ha vista? Dove vive?
Quattrocento anni prima di Cristo il greco Ctesia di Chido, medico e viaggiatore riferisce che nei regni dell’Indostan ci sono velocissimi asini selvatici di pelo bianco, testa purpurea, occhi azzurri e provvisti di un corno acuminato in mezzo alla fronte. Il suo corno è un formidabile alessifarmaco, antidoto contro i veleni e chi beve da questo corno è immunizzato dai mali inguaribili, perché non cade preda delle convulsioni, né viene ucciso dal veleno, e se prima ha bevuto qualcosa di nocivo, vomita e guarisce. L’unicorno, prosegue Ctesia, è chiamato dai Greci rinoceros, che in latino significa “corno sul naso”; ed ha lo stesso significato di monoceros, cioè unicorno, perché ha un corno in mezzo alla fronte, di quattro piedi, così aguzzo che perfora qualunque cosa assalga .Per la tradizione greca si tratta di un animale selvaggio dotato di poteri magici e apotropaici legati al corno, fornito di grandi virtù terapeutiche, capaci di neutralizzare i veleni.
Plinio, d’altro canto, parla di una fiera, l’unicorno che per corpo assomiglia al cavallo, nella testa al cervo, nelle zampe all’elefante e nella coda al cinghiale. Muggisce forte e ha in mezzo alla fronte un lungo corno nero, e si narra che è impossibile prenderlo vivo.
L’unicorno è avvistato in molte aree geografiche poste ad oriente ed è tenuto in grande considerazione anche presso i cinesi, che lo visualizzano con corpo di cervo, coda di bue e testa di cavallo, e la sua apparizione segnala la nascita di un re virtuoso.
Fra le opere più affascinanti dedicate alla natura degli animali, che raccolgono e fondono le favole di Ctesia, Plinio, Eliano e i commentari mistici aggiunti dai primi cristiani, i Bestiari occupano un primo posto, e fra questi emerge il Physiologus, scritto in greco fra il II e il IV secolo d.C. e tradotto successivamente in armeno, siriaco, etiopico, latino.
«Il Fisiologo ha detto dell’unicorno che ha questa natura: è un piccolo animale, simile al capretto, ma ferocissimo: Non può avvicinarglisi il cacciatore a causa della sua forza straordinaria; ha un solo corno in mezzo alla testa. E allora come gli si dà la caccia? Espongono davanti ad esso una vergine immacolata, e l’animale balza nel seno della vergine, ed essa lo allatta, e lo conduce al palazzo del re. L’unicorno è un immagine del Salvatore, divenuto per noi corno di salvezza. Non hanno potuto avere dominio su di Lui gli angeli e le potenze, ma ha preso dimora nel ventre della vera e immacolata Vergine Maria, «e il Verbo si è fatto carne, e ha preso dimora fra di noi» [Giov.,1.14].


Quindi l’unicorno allude alla passione di Cristo ed è simbolo della purezza e castità di Maria in quanto si fa avvicinare solo da una fanciulla vergine; quando le va vicino per farsi accarezzare, i cacciatori, nascosti dietro gli alberi, escono allo scoperto e lo uccidono. Allo stesso modo Cristo, salvatore dell’umanità, è nato dalla Vergine Maria e poi è stato ucciso dal popolo ebraico.
Tutte le prodigiose credenziali dell’unicorno suscitavano il desiderio di possedere polvere di corno di una bestia così portentosa, o addirittura un intero corno che, trasformato in calice, si poteva utilizzare per neutralizzare i veleni.
A risolvere brillantemente il problema ci pensarono gli ingegnosi navigatori dei mari del Nord, rinvenendo sulle coste zanne di narvalo (che potevano raggiungere i tre metri di lunghezza) che, vendute come avorio pregiato, bene si prestavano allo scopo e alla creazione di un commercio fruttuoso rivolto ai sovrani delle corti d’Europa. Così ben tre corni si trovano nella Basilica di San Marco a Venezia e nell’inventario del tesoro papale di Bonifacio VIII del 1295 si fa menzione di quattro corna di unicorno, lunghe e contorte, impiegate per testare tutto quello che era presentato al Papa. Elisabetta I d’Inghilterra esibiva nella sua camera delle meraviglie un corno di unicorno portatole da un esploratore.
Nei lontani paesi esotici vivono quindi animali fantastici e stravaganti, di cui i viaggiatori narrano nei resoconti dei loro viaggi, e fra questi c’è l’unicorno, bestia selvatica e velocissima, imprendibile senza l’espediente della giovane vergine.
È interessante ricordare che quando l’unicorno fu osservato da Marco Polo e descritto nel Milione in termini più verosimili, che sfatavano la diceria di una possibile relazione fra unicorno e fanciulla,1 il singolare animale non perderà il suo potere di seduzione perché gli uomini sono troppo affascinati dai propri sogni nonostante risultino incongruenti con la realtà .
Leonardo nel suo Bestiario, lo pone quale emblema della intemperanza.2
Il tema della cattura e uccisione dell’unicorno troverà grande fortuna nei bestiari d’amore per rappresentare l’uomo perdutamente innamorato della sua donna, affidatosi a lei totalmente, e ripagato col tradimento.
Richard de Fournival nel suo Bestiario d’Amore (scritto nella metà del XIII secolo) dove espone i rituali e i paradossi dell’amore cortese attraverso le fantastiche descrizioni del mondo animale, ne sottolinea le peculiarità olfattive.
«E fui catturato per mezzo dell’odorato, come l’unicorno che si addormenta al dolce profumo della verginità di una damigella». Ribadisce la sua forza e l’impossibilità di catturarlo e di avvicinarsi, all’infuori di una fanciulla vergine. «Perché quando ne riconosce una al fiuto, si inginocchia davanti a lei e si inchina con umiltà e dolcezza come volesse mettersi al suo servizio». Così i cacciatori «mettono una vergine sul suo passaggio, e l’unicorno si addormenta nel suo grembo; allora, quand’è addormentato, giungono i cacciatori che non avevano il coraggio di attaccarlo da sveglio e lo uccidono. Nella stessa maniera Amore si è vendicato di me… E Amore, che è cacciatore avveduto, pose sul mio cammino una fanciulla alla cui dolcezza mi sono addormentato e sono morto della morte che è propria di Amore, cioè di disperazione senza speranza di grazia. Per questo dico di essere stato catturato per mezzo dell’odorato».

Orfeo incanta gli animali, Maestro di Orfeo, Italia settentrionale, 1500 circa, Museo Nazionale di Ravenna

Anche noi, a Ravenna, abbiamo la possibilità di incontrare un unicorno in due frammenti musivi pavimentali medievali: uno meno noto, proveniente dal pavimento della basilica di San Vitale, ci mostra un capro con corno spiraliforme, contraddistinto da alcuni caratteri tipici dell’unicorno, l’altro, più celebre è quello policromo che spicca nel fantastico bestiario della chiesa di San Giovanni Evangelista.
Ma ai cacciatori più curiosi e indomiti si suggerisce un’incursione al Museo Nazionale di Ravenna dove, in un bronzetto rinascimentale, fra gli animali incantati dalla musica di Orfeo compare anche un unicorno.

 

Note

1. Nella descrizione della «piccola isola di lava» (Sumatra) scrive: «Elli ànno leofanti assai salvatichi e unicorni, che no son guari minori d’elefanti; ‘e son di pelo bufali, i piedi come lefanti; nel mezzo de la fronte ànno un corno grosso e nero. E dicovi che no fanno mal co quel corno, ma co la lingua, che l’ànno spinosa tutta quanta di spine molto grandi; lo capo ànno di cinghiaro, la testa porta tuttavia inchinata ve(r)so la terra… Ell’è molto laida bestia, nè non è, come si dice qua, ch’ella si lasci prendere a la pulcella, ma è ‘l contradio». Marco Polo, Il Milione, 1982, cap. 162.
2. «L’alicorno, ovvero unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocia e selvatichezza; ponendo da canto ogni sospetto va alla sedente donzella, e se la addorment in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano».

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