Una promessa fatta alle vecchie pietre

Marco Turchettijpg02Marco Turchetti • Tre volte papà, architetto e ambientalista. In coincidenza con la laurea ha cominciato a lavorare presso lo studio di Stefano Zironi a Bologna occupandosi del restauro di edifici storici, nel 1994 apre un suo studio a Ravenna. Dal 1996 inizia una collaborazione con la Compagnia del Progetto e l’architetto Carlo Maria Sadich seguendo la progettazione e la realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione al quartiere San Giuseppe (ex Villaggio ANIC). Cooprogettista insieme a Sadich del restauro della “ex Casa del Mutilato” di Ravenna, del complesso residenziale “Coop Village” del Centro Commerciale di Vicinato “Mercato dei Goti”, tutti lavori nei quali il ruolo dell’architetto, oltre che di progettista, è anche quello di coordinatore delle diverse ed eterogenee figure professionali coinvolte nell’iter progettuale, nel quale vengono chiamati a partecipare anche artisti che, autonomamente, contribuiscono alla “narrazione” architettonica. Da sempre interessato ai temi dell’ecologia, dell’architettura biologica e della progettazione sostenibile, ha negli ultimi anni indirizzato la sua attività in questo senso facendone assunto e postulato necessario ad ogni tipo di intervento. Collabora dal 2010 con la rivista “Trova Casa Premium” ora “Casa Premium” tenendo ogni mese la rubrica “Città Sostenibile”

1 –    la Torraccia

Microsoft Word 1.Turchetti CP100 Torraccia.docx
Un ragazzo un giorno fece una promessa, la promessa di averne cura, di curarne gli affanni senili, di ridarle vita e funzione di accompagnarne un pezzo di storia, tenendole la mano.
Ormai uomo, il giovane, vive, lavora, fa e disfa, corre, sbanda, sbaglia e riparte, insomma vive, vive una vita piena, dura ma piena e fra le tante cose sovente il pensiero torna, torna alla Torre.
Sempre, passando anche da lontano, il suo sguardo la cerca, ne parla ai suoi figli, gli racconta di come si sono conosciuti e voluti bene, di come ancora se ne vogliano tanto, nonostante la lontananza, nonostante la vita.
Vorrebbe spiegargli, vorrebbe tanto che i suoi figli capissero che la bellezza, è di per se stessa una preghiera, che la natura, l’arte, le antiche architetture non sono per uomini rinchiusi nelle loro gabbie di paura.
Che bisogna sempre avere un punto di partenza o di arrivo, un punto di riferimento continuo che non può essere abbandonato, che deve sentire la febbre di una attenzione continua e particolare.
Così quel ragazzo di una volta ora sa, sa che prima o poi quella promessa, fatta alle vecchie pietre, verrà onorata, che riuscirà a ridare vita e dignità alle calci e argille cotte, che uno dei suoi giovani sogni diverrà realtà.
Non sa quando e poco importa perché ciò che realmente conta è continuare ad alimentare il desiderio, e che questo luogo e il nostro mondo sarà finalmente meraviglioso quando riusciremo a guardare con amore anche i muri e tutta la gente, dei nostri paesi…

2 –    la Chiusa

Microsoft Word 2.Turchetti CP100 Chiusa.docx Ci sono luoghi che, nel corso della vita di ciascuno, rappresentano dei veri e propri punti di riferimento. Luoghi da cui si è partiti, luoghi a cui si è approdati, luoghi verso cui si ritorna, luoghi che comunque e in ogni caso formano e ricorrono.
La Chiusa di San Marco, per me è uno di questi luoghi, una vera e propria palestra di libertà!
Avevo nove anni quando andai ad abitare in una casa distante appena 200 metri dalla Chiusa che da subito diventò meta prediletta dei miei pomeriggi estivi.
Le esplorazioni sulle sue scoscese sponde, sugli scogli della riva sinistra, sulla sua spiaggetta di destra, i fitti canneti, la magia del suono dell’acqua quasi sconosciuto quaggiù nella bassa, erano un’attrazione alla quale non potevo e non sapevo resistere.
Imparare a pescare, nuotare nelle scure acque, raccogliere creta dal greto, imparare a riconoscere specie anfibie e ittiche erano la pratica quasi quotidiana che attraverso incontri con personaggi pittoreschi e generosi mi insegnavano la vita.
A lei ho legato alcuni degli episodi più significativi ed importanti della mia formazione: il primo inesperto gioco amoroso, gli sfoghi di una rabbia urlata che assorbiva mediando, il vero amore dichiarato con una piccola rosa bianca…
Credo che ognuno di noi abbia la propria “Chiusa”, luogo quasi sacro, cattedrale della propria fede nella vita, meta comunque di periodici pellegrinaggi in cui compiere piccoli viaggi reali o metaforici, che implichino nessi con la memoria o la ricerca spirituale.
Tornate ai vostri luoghi, tornate nelle vostre palestre di vita, fatelo con devozione tornate spesso alla vostra “Chiusa” che pardossalmente vi manterrà …aperti.

3 –    San Lorenzo, Filetto

Microsoft Word 3.Turchetti CP100 San Lorenzo Filetto.docx Il fascino dei luoghi si accompagna al loro destino e spesso a un sentimento di abbandono.
Esiste cioè una bellezza particolare nella polvere che il tempo disperde nei luoghi e una seduzione singolare nei brandelli delle cose che non servono più.
L’abbandono livella i destini, i ruderi sono simili nel colore, negli spacchi, nelle infestazioni della natura. I muri, sono pieni di tutte le vite di chi ci ha preceduto, delle lacerazioni delle guerre, della furia della natura.
L’abbandono riduce le dissomiglianze sociali, economiche, geografiche e persino quelle religiose. Le sontuose ville di campagna, ad esempio, oggi somigliano a quelle dimesse abitazioni dei contadini. Tutte sono segnate da crepe e coperte di edera . Anche la più nobile dimora non è diversa dall’umile chiesa campestre di San Lorenzo a Filetto. Entrambe sono prive di orpelli e hanno assunto il colore della terra.
Bisogna sentire l’urgenza di guardare le cose inutili e vecchie cui dare significati nuovi. I paesi abbandonati, benché esprimano una poetica stramba e malinconica, non sono privi di una gioia speciale, quasi tattile. È importante toccare la superfice delle case, la loro pelle ferita e sentire in che modo resistono al tempo. In questi luoghi, se la fine è venuta è anch’essa passata: non sono morte perché anche la morte da qui se ne è andata. I ruderi stanno lì, imperfetti e pericolanti, come un canto alla durata.
I nostri ruderi sono lo spaccato di un paese franante e crudele, nel quale, figure decise e disperate, lottano per curare le ferite di un mondo di vinti.

4 –    Arte silente

Microsoft Word 4.Turchetti CP100 Arte Silente.docx Se, «l’arte è una manifestazione dell’intelligenza dell’uomo e se nessuno può definire i segni, i limiti, le ragioni le necessità», come teorizzava Lucio Fontana, “l’intelligenza” di un’artista consiste nell’aver raggiunto quei limiti e quelle ragioni in una poetica che ha conquistato una risolutiva stabilità in uno stato in cui non sono permesse facili cadute neoavanguardistiche, ma dove si delinea un raggiunto equilibrio tra intelletto e poesia.
Forse molti di voi non lo sanno o solo semplicemente non se ne sono accorti ma se entrate nella piazza dei Goti nel quartiere Anic a Ravenna è possibile ammirare un’opera singolare e straordinaria (dove l’artista ha lavorato con la “Compagnia del Progetto”, Franco Purini, Carlo Maria Sadich e Francesco Moschini) dove la grande installazione, che perfeziona uno dei prospetti della piazza, ci mostra l’aspetto lirico dell’arte di Roberto Pietrosanti. Accanto alle rigorose ripartizioni razionali della tecnica, esiste, in parallelo, l’equilibrio di una composizione solidamente strutturata con lo stesso ordine compositivo, che gli è caratteristico, ottenuto tramite la giustapposizione di materia e spazio che, per mano dell’artista, subiscono una trasformazione, non in senso simbolico, bensì in senso formale, così da ottenere una corrispondenza perfetta tra l’idea e la sua concretizzazione.
Sono tesi di una poetica sempre attenta agli scarti minimi, minime grandezze morali che permettono a Pietrosanti di segnare quel millimetrico spostamento dal già detto, dal già visto, dal già fatto che concede una straordinaria dignità ad ogni sua opera.
Sono queste le cose che in silenzio, senza rumore o proclami rendono più bella e più ricca la nostra città.

5 –    Padelloni

Microsoft Word 5.Turchetti CP100 Padelloni.docx [Ravenna] […] Lungo il canale gli uomini pescano con strane reti sollevate da gru, come grossi insetti dai tentacoli smisurati, due protesi in avanti e due indietro, unita da un’immensa rete di una maglia delicata: essa si cala nell’acqua con un movimento lento e furtivo e, quando viene sollevata, si osserva il pesce saltare nel centro. Alcune di queste creature fantastiche, quasi viventi, minacciano il mare stesso dalle assi e dalle pietre ammucchiate che avanzano sull’acqua su due lunghe linee fino a formare uno stretto porto […].
A. Symons, Cities of Italy (1907)
Difficile sarebbe immaginare il nostro paesaggio, dei fiumi, delle valli e finanche dei moli senza la presenza dei capanni da pesa: i padelloni. Quasi impossibile sarebbe pensare e immaginare che questi ambienti sarebbero più belli senza di loro, come pensare che Ravenna fosse più bella senza il Candiano.
L’ambiente, specialmente quello d’acqua è così perché oltre duemila anni di profonda antropizzazione lo hanno plasmato e, se è vero che ha un valore, dobbiamo trovare il modo di mantenerlo senza renderlo un museo ma al contrario continuando a coltivarlo come fosse l’orto di casa.
Le opportunità che si prefigurano per questi luoghi sono molteplici ma due linee principali di sviluppo sembrano chiaramente emergere: la valorizzazione della vocazione turistica, ricreativa ed escursionistica dei capanni da pesca e l’integrazione del capannista nei processi di monitoraggio dell’ecosistema acquatico e fluviale a supporto di una gestione sostenibile delle aree umide del territorio.
Il programma di riqualificazione dei capanni avviato dal nuovo “regolamento Comunale”, può finalmente innescare un processo virtuoso in cui la bellezza, la tradizione e la storia delle nostre valli diventa finalmente un bene comune a beneficio di tutti.

6 –    Fiore d’autunno

Microsoft Word 6.Turchetti CP100 Fiore D'autunno.docx Quando da fanciullo vagavo per i campi nei pomeriggi oziosi di settembre e ottobre ero letteralmente rapito da queste gialle esplosioni floreali e spesso mi fermavo a raccoglierne un grande mazzo da far dono alla mia mamma.
La natura non spreca nulla, e i primi giorni d’autunno riservano sorprese floreali straordinarie. Giallo a ricordare il sole dell’estate che ci sta per salutare: è questo il colore dei capolini del Topinambur (Helianthus tuberosus). Il Topinambur però ha qualcosa  in più: è un’erbacea perenne, vive dunque per molti anni. Si può coltivare anche in giardino e darà spettacolo per tutto l’autunno. Dominatrice incontrastata dei bordi dei campi e degli incolti, è facile vederla sulle rive dei fossi o gli argini dei fiumi: i fiori che crescono sui forti steli svettano gioiosi, strappandoci un sorriso e destando la nostra ammirazione per il vigore di questa pianta indomita, che rinasce ogni anno più grande.
Questa è una creatura irriverente quindi, non chiedetele di essere ordinata: di carattere è esuberante. E dopo la fioritura in autunno, che succede? Facile, il Topinambur sparisce, ma non muore. Sottoterra, il tubero riposa tranquillo incurante di freddo, per rispuntare a primavera con nuovi germogli. Proprio quando inizia il suo letargo, è il momento giusto per portarlo in tavola. Infatti, morti foglie e fusti, si può estrarlo dal terreno in inverno per usarlo in cucina: le ricette non mancano, dalla bagna-cauda tradizionale a, per esempio, le frittelle di topinambur… Una delizia per il suo sapore che ricorda il carciofo con una nota più dolce. Insomma, una pianta dalle mille opportunità, forte, bella e buona.

7 –    Argini

Microsoft Word 7.Turchetti CP100 Argini.docx L’attuale stato dei nostri fiumi, assieme a tutti i canali derivati, e alle valli e piallasse, sono il risultato di un incessante quanto indispensabile opera di bonifica per la salvaguardia e buona gestione del territorio. Tutta la popolazione rurale ma anche quella cittadina, a vario titolo, partecipava alle vicende dei fiumi; di conseguenza, nella logica di appropriazione culturale del territorio, ne conosceva il variegato percorso. Un’appropriazione difficile, poiché i fiumi hanno prerogative ambivalenti e contraddittorie: sono amici ma possono essere grandi nemici e riservare drammatiche sorprese, specialmente se il loro carattere è sottovalutato. L’assetto delle acque sia per i lavori di trasformazione che di conservazione era conosciuto e ampiamente praticato. Molti dei nostri anziani, potevano permettersi di dichiarare di conoscere il territorio, nessuno meglio di quanti abitavano nei pressi del fiume era in grado di valutarne il suo stato, di intuirne i possibili pericoli e, quindi, di suggerire di quali interventi abbisognasse. Lo sapevano bene i nostri braccianti e i primi cooperatori ravennati che esportarono ovunque la loro fatica e la loro perizia nel regimentare le acque.
Gli sforzi profusi da sempre per avere il governo delle acque davano al rapporto dell’uomo con il fiume un carattere epico; il suo non infrequente sfuggire al controllo lo circondavano di un’aura mitica: necessario, mite, generoso, suscettibile all’azione umana, permaloso, assassino, rabbioso fino alla distruzione, nell’immaginario si faceva quasi persona e, come tale, era raffigurato.
In questa epoca di cambiamenti climatici dobbiamo riabituarci a questi comportamenti resilienti per mantenere con cura il nostro straordinario territorio ma soprattutto per non farci sopraffare  dagli eventi subendoli come torti personali.

8 –    Torrione

Microsoft Word 8.Turchetti CP100 Torrione.docx I luoghi pubblici e i monumenti a Ravenna mutano poco nel tempo ma è cambiato di continuo il modo di comprenderli. L’idea collettiva di un luogo, al di là della sua apparenza fisica, si arricchisce attraverso progetti e la produzione di immagini pittoriche e letterarie: insieme rafforzano testimonianze, aspettative e rimpianti. Solo a queste condizioni i luoghi appartengono a tutti, diventando un valore universale: parti della città, un monumento una piazza, una torre possono essere identificati come opere e valori appartenenti al patrimonio della cultura.
Le mura e alcuni gioielli architettonici su di esse incastonati, non possono competere certo coi monumenti patrimonio Unesco ma sono una ricchezza che non ci possiamo permettere di trascurare ne di sottovalutare, perché come ci ricordava Luciano Berio: «Ogni forma di creatività non è mai solo un fatto individuale. La creazione ha bisogno di dialogo, di interlocutori…».
Ravenna luogo di memoria, di storia e di sedimentazione di materia e non solo.
Dialogando con la città e conoscendola si avverte la possibilità di trovare e creare spazi e luoghi dove si possano costruire insieme progetti per il futuro.
Progettare per il futuro, conservando la memoria e ri-producendo il proprio “essere appartenenti” ad una città mutante, di terra e di mare, di grano e d’acciaio.

9 – Burri

Marco Turchettijpg11 Si è rotto un filo che legava i ravennati al Palazzo delle Arti e dello Sport, forse la caduta dell’impero Ferruzzi, la tragica morte di Raul Gardini hanno allontanato la città dall’edificio che più di ogni alto ne evocava la potenza e i fasti.
Pensare che anche ora a oltre venticinque anni dalla sua edificazione è forse l’opera moderna più significativa, ricca e importante che questa città possa vantare.
Inoltre le opere di artisti contemporanei, che ne sono l’originale e prezioso corredo, ne fanno un museo di arte moderna di rara bellezza ma forse molti lo ignorano proprio.
Solo per fare un esempio, basti pensare alla grande e ultima opera del maestro Burri del quale proprio quest’anno si celebra il centenario della nascita.
Si tratta di un forte elemento simbolico, una sorta di inquieto portale, reiterato nella successione ordinata delle figure.
A partire d questa immagine, Burri ha elaborato il tema del “grande ferro R” la cui enfasi è determinata dall’incontro, disatteso, di queste grandi forme protese l’una verso l’altra.
La scultura – una forma artistica spesso, e soprattutto di recente, trascurata – occupa uno spazio rilevante nell’ambito degli interventi su questo edificio, quasi a fare da contrappunto all’architettura, con il proiettarsi della scultura verso l’architettura tipico delle esperienze contemporanee.
La scultura di Burri riveste un carattere essenzialmente metaforico, rievocando uno spazio simbolico: da sguardo naturalistico diviene l’occhio artificiale attraverso il quale osservare il divenire della storia.

10 –    Sobborghi

Microsoft Word 10.Turchetti CP100 Sobborghi.docx Vi sono zone di Ravenna incastonate nel tessuto viario e anche un po’ caotico delle strade trafficate che sono rimaste vere e proprie gemme, ancora con i tessuti originali con gli edifici che ne hanno mantenuto sostanzialmente volumetrie e morfologie originarie.
Nacquero per lo più nello spazio liberato dalle deviazioni settecentesche dei fiumi come veri e propri centri gemmati e dotati di una certa autonomia e con funzioni di raccordo fra città e campagna. In questo modo si consolidarono nel tempo impedendo di fatto quel fenomeno invece verificatosi in tante altre città, cioè la creazione di suolo pubblico nelle fasce circum-moenia.
Quel che un giorno pareva un limite oggi è forse una grande opportunità, poiché di fatto permette l’espansione del centro storico di Ravenna ben oltre il limite delle antiche mura. Il limite però è la visione limitata e un po’ ottusa che il proprietario ha del suo bene.
Nell’ultimo ventennio si è ristrutturato molto ma ancora è sfuggita la visione d’insieme e la possibilità di valorizzare i luoghi, condividendo il più possibile le aree inedificate, rendendo pubblico e fruibile tutto il patrimonio di piccoli spazi interstiziali e di collegamento delle corti e dei vicoli, liberando lo spazio pubblico dalla colonizzazione delle auto.
La qualità ancora una volta si persegue rendendo il più possibile pubblico e fruibile il bene comune, pensate a quanto sarebbe limitato il fascino di Venezia se ad ogni caletta o campiello trovassimo un cancello a sbarrarci la strada.

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