Indagine dei carabinieri di Faenza. Banda con una organizzazione quasi militare: sopralluoghi di giorno e ritrovo alla stessa ora tutte le sere. Ogni due settimane buttavano via i telefoni. Si vantavano di essere dei “falchi” e la mattina dopo i colpi portavano il bottino a un orefice ora denunciato per ricettazione
Il fascicolo è ancora aperto su un altro filone parallelo, quello che ha portato alla denuncia di altre tre persone per ricettazione: tra loro anche un orefice del centro di Ravenna a cui portavano la refurtiva ogni mattina successiva alle razzie in cambio di contanti. Il negozio è sotto sequestro. Un altro ricettatore senza attività ufficiali veniva invece di solito contattato subito durante la notte. E la terza persona è la fidanzata di uno dei componenti della banda: i carabinieri le hanno trovato addosso alcuni gioielli rubati. A chiudere il quadro degl indagati c’è un altro uomo che avrebbe avuto un ruolo solo marginale.
I carabinieri hanno fermato i quattro presunti ladri poco prima che «montassero di servizio». È l’espressione usata dal capitano Cristiano Marella, comandante della compagnia di Faenza, per indicare la consolidata routine della banda. Quasi ogni giorno si incontravano verso le 18.30 e rientravano a casa verso le 23. Tra loro si erano distribuiti i compiti e avevano messo a punto una metodologia accurata attenta ai minimi dettagli, quasi paramilitare. A partire, come detto, da un’attività preventiva di sopralluogo nelle ore diurne per studiare le zone. I colpi sono distribuiti tra le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena e Ravenna (Fusignano, Savarna, San Bartolo, Alfonsine, Bagnacavallo). Il più anziano faceva l’autista: scaricava gli altri distanti dagli obbiettivi dove non davano nell’occhio e poi questi cominciavano a camminare. Dalle case portavano via di tutto: gioielli, monili, orologi ma anche accessori di abbigliamento griffato come borse, cinture, occhiali. O addirittura profumi. Che regalavano alle fidanzate. Per portare via la refurtiva di solito usavano le federe dei cuscini ma spesso nascondevano il bottino per tornare a riprenderlo solo più tardi, stesso stratagemma utilizzato con gli arnesi da scasso: in questo modo se qualcosa andava storto e veniva fermati non avevano nulla addosso che potesse accusarli. Erano addirittura capaci di portarsi il cambio dei vestiti per sbarazzarsi di quelli sporchi.
Un errore però l’hanno commesso ed è costato caro. In un’abitazione visitata a Faenza hanno dimenticato uno dei telefoni cellulari che usavano per comunicare fra loro. Ogni 15-20 giorni andavano nello stesso negozio e ne compravano dei nuovi con numeri nuovi, i modelli più semplici che servivano solo per “il lavoro” e poi veniva buttati via. I telefoni con i numeri personali invece li lasciavano a casa spenti.
Soddisfazione per il procuratore capo Alessandro Mancini e il colonnello Roberto De Cinti, comandante provinciale dell’Arma. Entrambi hanno sottolineato lo spessore criminale del gruppo e la pericolosità delle loro azioni spendendo parole di elogio all’indirizzo dei militari impegnati sul campo in un’indagine delicata che non ha permesso mai di coglierli in flagranza ma attraverso una meticolosa attività di appostamenti ha consentito la raccolta di importanti elementi d’accusa confluiti nel decreto di fermo.