Carabiniere ucciso da due colleghi: 34 anni fa moriva Sebastiano Vetrano

Il 13 luglio 1987 la sparatoria a Taglio Corelli: perse la vita un 23enne, arrestati altri due militari e un idraulico che poi vennero condannati a pene fra 22 e 25 anni. Ora i tre sono a processo per un altro omicidio di pochi mesi prima

carabinieri

Nella piazzola di una casa cantoniera a Taglio Corelli (Alfonsine) si prese un proiettile calibro 38 nell’addome e poco dopo morì in ospedale. Ucciso mentre era in servizio con la divisa da carabiniere, ammazzato da altri carabinieri che la divisa l’avevano tradita. Sono passati 34 anni esatti dalla morte di Sebastiano Vetrano.

Il 23enne originario di Falciano (Caserta), residente con la moglie a Lido Adriano (sposati da poco e in attesa di una bambina), era al nucleo operativo di Ravenna da qualche tempo e la notte del 13 luglio 1987 era impegnato con una dozzina di colleghi in una delicata operazione per incastrare gli autori di un tentativo di estorsione da 300 milioni di lire. L’imprenditore Roberto Contarini di Alfonsine aveva ricevuto telefonate minacciose nei giorni precedenti: pagaci o ti ammazziamo. L’accordo era arrivato per 150 milioni, i carabinieri erano stati informati.

Erano circa le 23, come riportano le cronache giornalistiche dell’epoca, quando una Fiat 127 bianca con tre persone a bordo arrivò nella piazzola dove era stato lasciato il denaro del riscatto (in realtà una trappola con una borsa piena di carta). Vetrano si gettò addosso all’uomo sceso dalla vettura per raccogliere il bottino. Quello rimasto al posto del passeggerò sparò il colpo mortale, il terzo al volante tentò una fuga fallimentare. Furono tutti arrestati mentre Vetrano moriva: Angelo Del Dotto (24 anni), Orazio Tasca (23), Alfredo Tarroni (31). I primi due erano carabinieri della stazione di Alfonsine, il terzo era l’idraulico del paese diventato loro amico. I due militari presero 25 anni di condanna, all’artigiano incensurato ne diedero 22 e mezzo. Pene che nel frattempo sono state scontate. La procura voleva l’ergastolo.

Gli avvocati difensori nelle loro arringhe, come riporta La Repubblica di novembre 1988, tentarono di smorzare le responsabilità degli imputati. Il difensore di Tasca puntò sulla non partecipazione del suo assistito alla sparatoria e chiese le attenuanti generiche e la derubricazione del reato da omicidio volontario in colposo. Il legale di Del Dotto chiese la concessione delle attenuanti generiche mentre il difensore di Tarroni chiese l’assoluzione per insufficienza di prove perché era stato plagiato (a sostegno della tesi numerosi certificati medici). Poco prima che la corte si chiudesse in camera di consiglio (durata 4 ore e mezza), Tasca e Del Dotto resero spontanee dichiarazioni così riportate dal quotidiano dell’epoca: “Non volevamo che accadesse tutto questo, chiediamo perdono ai familiari di Sebastiano e ci mettiamo nella mani di Dio”.

Pare che tra gli investigatori sapessero che avrebbero trovato di fronte dei colleghi e avevano la convinzione che sarebbero stati disarmati: i sospetti su di loro erano diventati sempre più forti e quella sera i due avevano lasciato le pistole d’ordinanza in caserma. Infatti la Smith&Wesson era di Tarroni, regolarmente detenuta. Ulteriori dettagli di quell’omicidio, che ha già avuto il suo epilogo giudiziario, stanno affiorando ora in corte d’assise a Ravenna perché, come noto, le stesse tre persone stanno affrontando un altro processo per omicidio volontario, occultamento di cadavere e tentata estorsione. La vittima in questo caso è Pier Paolo Minguzzi, 21 anni: il cadavere venne trovato l’1 maggio 1987 nel Po di Volano a Vaccolino dopo dieci giorni di sequestro.

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