La sentenza della corte d’assise d’appello di Bologna sull’omicidio del 21enne Pier Paolo Minguzzi di Alfonsine nel 1987, con la condanna all’ergastolo per due ex carabinieri (assolto un terzo imputato), è un concentrato di emozioni forti per i familiari della vittima che attendevano una risposta da 38 anni (qui tutti i resoconti delle udienze dei due gradi di giudizio).
Per tutti è difficile commentare perché sale il groppo in gola. Quel figlio e quel fratello non tornerà, ma ora un tribunale ha deciso che i colpevoli hanno un nome. È la cosiddetta giustizia terrena, per collegarsi al ragionamento della madre 92enne Rosanna Liverani: «Io so che lassù Pier Paolo è a posto – è il commento fatto dall’anziana con i parenti più stretti –, ma voglio che anche quaggiù si sappia che era un bravo ragazzo».
La donna è stata sentita dai giudici bolognesi anche ieri, 30 settembre, nell’ultima udienza del processo di secondo grado. Si impegna a dire la verità?, la domanda di rito del presidente della corte. «Solo quella so dire», la risposta che ha fatto bagnare gli occhi di tanti in aula, tra avvocati e parenti. E nelle poche risposte date per smentire il presunto alibi di uno degli imputati, c’era tutta la sofferenza di una madre che chiedeva solo di sapere chi le aveva ammazzato un figlio di 21 anni in una notte di aprile del 1987 quando era uscito con amici e fidanzata.
Dopo il verdetto il fratello Gian Carlo, oggi 71enne, riesce a dire solo poche parole: «È una sentenza che sarebbe dovuta arrivare 30 anni fa o 38 anni fa».
La sorella Anna Maria, 68enne, accoglie la condanna come la conferma di qualcosa che dice di aver sempre saputo: «Noi della famiglia abbiamo sempre avuto la convinzione che gli imputati fossero colpevoli, ma l’assoluzione di primo grado ci aveva davvero demoralizzato. In quel momento ho pensato di mollare».
Invece nessuno ha mollato e ora Anna Maria può ricordare l’incontro con l’avvocata Elisa Fabbri nove anni fa: «Se siamo arrivati a questa sentenza è molto merito suo perché mi convinse che si poteva ottenere giustizia. Era il 2016 quando cominciammo a lavorare per presentare un esposto. Noi avevamo un po’ perso le speranze, forse anche per dimenticare un momento così brutto per la nostra famiglia».
Fabbri ha lavorato con i colleghi Paolo Cristofori e Luca Canella, tutti del foro di Ferrara, ognuno in rappresentanza dei tre familiari come parti civili. Anche il commento dei legali dopo la sentenza parte da nove anni fa: «Era il 25 maggio 2016 e facemmo una conferenza a Ferrara per chiedere la riapertura del caso. È stato un percorso lungo e difficile per cui dobbiamo ringraziare i magistrati che hanno creduto in questa vicenda: Alessandro Mancini, Marilù Gattelli e Massimiliano Rossi. Hanno fatto un lavoro puntuale e meticoloso».