L’albero della vita, archetipo di rigenerazione

I molteplici significati di un’immagine da sempre scelta per il valore simbolico

KlimtL’Expo 2015, adottando l’Albero della vita come simbolo dell’esposizione universale e in particolare del padiglione italiano, ha rilanciato sui media internazionali un archetipo presente nell’arte fin dalle origini della civiltà. Le più antiche rappresentazioni si trovano nei bassorilievi del IX secolo a.C. rinvenuti in Mesopotamia, si ripresentano presso gli Egizi associate spesso a quella del fararone-divinità e nella civiltà greca dove il mito dell’Albero della Vita si intreccia a quello dell’albero delle mele d’oro nel giardino delle Esperidi, assimilabile a quello biblico per il serpente che si attorciglia intorno al tronco.
L’Albero della Vita ha rappresentato in ogni contesto storico e geografico il principio vitale, l’energia e la rigenerazione, un archetipo nella foresta dei simboli con cui l’uomo ha interpretato il proprio destino. Nutrito dalla terra, proteso energicamente verso l’alto, sottoposto ai mutamenti atmosferici e stagionali, come l’uomo si eleva con l’anima, l’albero sfiora nel cielo l’infinito.
Se nel Medioevo è stato rappresentato con la figura centrale di un Cristo-albero da cui si diramano gli episodi biblici come percorso necessario per raggiungere Dio, molto “laicamente” si ripropone come soggetto centrale fra una coppia di amanti e una figura stilizzata nel fregio di palazzo Stoclet a Bruxelles realizzato da Gustav Klimt fra il 1905 e il 1909. Il maestro dell’Art Nouveau, che soggiornò a Ravenna nel maggio 1903, vi traspose l’influenza dei mosaici bizantini ravennati in cui il tema è ricorrente.
Esso ritorna nelle vetrate che Henri Matisse realizzò a Vence fra il 1948 e il 1951 e in quelle che Marc Chagall realizzò a Sorrebourg nel 1976. In proposito il pittore-poeta Chagall scrisse: «Non sapremo mai dove e quando l’immaginazione umana abbia piantato il più antico “Albero della vita”. La nascita dell’uomo religioso si perde nella notte dei tempi. È quindi certo che i testi su cui si basano le grandi religioni pongano un albero all’inizio della storia del genere umano, quando l’uomo incontra per la prima volta il mistero della creazione…». La figurazione elementare di Matisse e quella poetica intrisa di cultura ebraica di Chagall esprimono diversamente ma efficacemente l’antico simbolo di energia e spiritualità. A sorpresa il tema si affaccia nell’iconografia urbana e un po’ fumettistica di Keith Haring, quando tratteggia un albero che dà la vita ed è circondato da brulicanti e briosi ominidi nell’insolito connubio di mito e attualità.
Pittura, scultura, arte del vetro sono solo alcuni dei linguaggi tramite i quali è arrivata fino a oggi l’icona dell’Albero della Vita. La nostra città, culla di meraviglie musive, non poteva non raccogliere il richiamo di Otranto, città lontana ma gemellata dal fatto di essere, come Ravenna, un crocevia di culture e una porta aperta sull’Oriente. Lo dimostrano i suoi formidabili mosaici medievali che furono esaminati e restaurati negli anni Ottanta da maestranze ravennati dirette da Carlo Signorini.
Expo 2015 ha annodato un “filo rosso” fra Ravenna, Otranto e Milano coinvolgendo nell’ambizioso progetto gli studenti del Liceo Artistico di Ravenna, che con i loro mosaici adorneranno il padiglione Eataly – I tesori d’Italia nella mostra curata da Vittorio Sgarbi, accompagnati da riprese fotografiche e da video per illustrarne le fasi di esecuzione.

Mimmo PaladinoÈ il progetto intitolato “Le Porte d’Oriente – Tessere di Sapienza nell’Albero della Vita”, siglato tra i Comuni di Ravenna e di Otranto, in cui si annoda anche la memoria del restauro del mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto eseguito da maestri ravennati della conservazione e del restauro musivo. Quelle stesse maestranze, ex allievi dell’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna, reclutate dall’Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei, nel 1986 composero, tessera su tessera, la grande piazza musiva dedicata da Mimmo Paladino al tema dell’Albero della Vita nel Parco della Pace di Ravenna, un museo del mosaico contemporaneo a cielo aperto.
Per l’Expo 2015, gli studenti delle Classi 3F e 5F dell’Istituto d’Arte per il mosaico – Liceo Artistico “P.L. Nervi – G. Severini” di Ravenna, sotto la guida del coordinatore generale Marcello Landi e dei docenti Elena Pagani e Felice Nittolo, hanno realizzato le copie dei mesi di febbraio e di settembre dal mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, un progetto in collaborazione con Ravenna Festival 2015 ispirato anche dalla visione dell’Inferno tratta da fonti condivise da Pantaleone e da Dante, presentato nel gennaio 2015 a Ravenna dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e da Cristina Mazzavillani Muti della direzione del Ravenna Festival. La Cattedrale di Otranto accoglierà il concerto de Le vie dell’amicizia diretto dal maestro Riccardo Muti, stabilendo un dialogo fra due città italiane affratellate anche (e non solo) dall’arte musiva.
La cattedrale di Otranto sorge sui resti di un villaggio messapico, di una domus romana e di un tempio paleocristiano, fondata nel 1068 dal vescovo romano Gugliemo, sintesi di diversi stili architettonici comprendenti elementi bizantini paleocristiani e romanici. Essa fu consacrata l’1 agosto 1088 durante il papato di Urbano II dal legato pontificio Roffredo, arcivescovo di Benevento. Nell’agosto 1480 fu espugnata dai Turchi che ne distrussero gli affreschi del XIII secolo e la trasformarono in moschea.

satana mosaico di OtrantoLa cattedrale custodisce l’imponente mosaico pavimentale che il monaco e artista Pantaleone realizzò fra il 1163 e il 1165 su commissione dell’Arcivescovo Gionata, considerato oggi uno spaccato di cultura medioevale e un labirinto teologico ancora passibile di interpretazioni. L’Albero della vita centrale,  germogliato dal dorso di due elefanti, va letto dall’alto in basso, partendo dalla Cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Sedici medaglioni rimandano ad animali o figure mitiche dal significato allegorico. Dodici cicli dei mesi illustrano le  attività quotidiane umane: aratura, pascolo, caccia, allevamento, specchi in cui anche gli umili potevano riconoscersi sentendosi parte della Casa del Signore. Nella navata di sinistra l’Albero del Giudizio Universale divide l’area in due parti: una relativa al Paradiso (la Redenzione), l’altra all’Inferno (la Dannazione). Nella prima i tre patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, in linea con l’iconografia bizantina, ammettono in Paradiso gli uomini eletti; nell’area della Dannazione un angelo con bilancia giudica i peccati (la cerimonia di psicostasia molto diffusa negli affreschi dell’epoca) mentre i dannati si contorcono nei loro supplizi, immagini simili a quelle che scaturiscono dai versi visionari dell’Inferno dantesco. Oltre che alla tradizione musiva dell’arte bizantina, lo stile di Pantaleone si allaccia all’arte e alla scultura romanica per il Bestiario medioevale (grifoni, draghi, sirene) e per le narrazioni del Vecchio Testamento. Dall’opera trapela, come da un libro di pietra, la cultura del tempo e l’intento pedagogico delle immagini dirette ai  fedeli, ai pellegrini e ai crociati per cui Otranto era una tappa del viaggio in Terra Santa. La concezione iconografica e la ripartizione degli spazi fra i rami dell’albero è assolutamente originale rispetto ai mosaici dell’epoca.

autoritratto Pantaleone OtrantoSimbolicamente esso richiama tanto l’albero dell’Eden quanto quello della Cabala, ma anche l’Albero del settimo cielo della religione islamica, un simbolo in cui si annidano il bene e il male, la virtù e il vizio secondo il concetto condiviso dai mistici ebrei, all’epoca numerosi e attivi in Otranto. Fatti, miti, allegorie, personaggi delle leggende nordiche del ciclo bretone e classico, Sacre Scritture, Bibbia e letteratura profana, tutto in Pantaleone confluisce in un’enciclopedia squadernata per la comprensione di eruditi e incolti. Per Grazio Gianfreda, studioso e parroco della cattedrale, l’albero è uno e trino: nella navata centrale crea, nella navata di destra redime, in quella di sinistra giudica. La semplicità quasi primigenia delle figure è rafforzata dall’uso di tessere ricavate da materiale lapideo di tipo calcareo nei colori rosso, nero, grigio, giallo e verdastro in cui si affacciano poche tessere di pasta vitrea nei colori verde, giallo e azzurro.
Dal grande pavimento musivo di Pantaleone all’enorme piazza musiva del Parco della Pace di Ravenna il passo è breve. «Il lavoro è stato pensato non come segno cromatico nel tessuto architettonico naturale, ma come pedana poetica, simbolica, praticabile, […] un segno di vita» scrisse Paladino presentando quell’affiorare di figure, di forme larvali e di corpi indecifrabili, di simboli e maschere,  impressionante sintesi di un’era geologica già conclusa. L’Albero della Vita di Paladino è l’immagine di un domani che è anche passato, memoria di vita per sempre impressa nella pietra. Poco più in là, si incontra l’Albero della Vita di Josette Deru in cui un uomo e una donna mettono a dimora piante protetti da un frondoso albero in una composizione di stampo fiabesco i cui materiali litoidi esaltano il legame fra l’uomo e la terra nel fluire delle stagioni.

Josette DeruUn solo soggetto, tante letture. «Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, il cielo cadrà sugli uomini»: ne erano convinti gli indiani d’America per cui l’albero sosteneva il cielo, e oggi, consci degli effetti della disboscazione selvaggia, lo pensiamo tutti, mentre ammiriamo l’Albero della Vita di Expo 2015 splendente di suoni, colori e zampilli d’acqua. Superbamente tecnologico, l’albero spettacolare evoca incanti cinematografici e riporta alle “meraviglie” del periodo barocco, sebbene riproponga ancora e sempre lo stesso significato: rigenerazione, armonia, amore universale ed elevazione dello spirito, icona reiterata nei secoli fino ai giorni nostri dove il passato e presente si intrecciano per gettare i semi di un futuro, si spera, migliore per il genere umano, con l’esposizione universale di Milano e le virtù italiane, mosaico compreso, al centro del mondo.

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